Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1666 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1666 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza il 10/06/1972
avverso l’ordinanza del 04/06/2024 del Tribunale di Catanzaro;
letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
letta la memoria conclusiva del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nei confronti di NOME COGNOME indagato per i reati di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico
di stupefacenti (capo 1 dell’incolpazione provvisoria), per vari “reati-scopo” (capi 158, 161 e 169) e per detenzione e porto di arma comune da sparo (capo 169).
Avverso quella decisione ricorre l’indagato, con atto del proprio difensore, per quattro motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione degli artt. 292, comma 2, lett. c), e 309, comma 9, cod. proc. pen., per avere il primo giudice omesso l’autonoma valutazione del quadro indiziario e delle esigenze cautelari e per avere il Tribunale del riesame disatteso la relativa eccezione di nullità, non limitandosi a rilevare il vizio originario del provvedimento dinanzi ad esso impugnato, ma indebitamente integrandone la motivazione.
Viene ribadita, dunque, detta violazione di legge processuale, sorreggendo l’assunto con la trascrizione di vari passaggi testuali della richiesta di misura cautelare avanzata dal Pubblico ministero e dell’ordinanza applicativa della misura e ponendone in risalto la sostanziale identità, nonché rilevando la simmetrica struttura dei due provvedimenti ed evidenziando l’esiguità del tempo impiegato dal primo giudice per l’emissione del proprio provvedimento (due mesi, a fronte di una richiesta di circa 4.500 pagine e di un’ordinanza di 364); né – si aggiunge potrebbe condurre a conclusioni differenti l’accoglimento soltanto parziale della richiesta avanzata dal Pubblico ministero, sul quale il Tribunale ha fondato in via esclusiva la propria decisione sul punto.
Infine, anche l’ordinanza di riesame si sarebbe ripiegata pressoché testualmente su quei precedenti provvedimenti, oltre a presentare ampi tratti comuni a quelle adottate dal Tribunale nei confronti di altri indagati nel medesimo procedimento, perciò incorrendo anch’essa nel medesimo vizio.
2.2. La seconda doglianza riguarda il giudizio di gravità indiziaria per il delitto associativo, che sarebbe stato formulato in violazione dei relativi presupposti di legge.
Il ricorrente, infatti, avrebbe intrattenuto relazioni illecite soltanto con i proprio genero, NOME COGNOME; la collaborazione con questi si sarebbe protratta soltanto per circa tre mesi; non emergerebbe alcun suo contatto con altri ipotizzati sodali; né vi sarebbero riferimenti a questi ultimi nelle sue conversazioni intercettate: mancherebbe, dunque, qualsiasi elemento da cui poter logicamente dedurre che egli abbia agito con la consapevolezza e la volontà di contribuire all’operatività di un gruppo organizzato di persone, necessarie per la configurabilità di una partecipazione associativa.
Inoltre, il Tribunale ha escluso senza una persuasiva motivazione la valenza interruttiva, rispetto ad un’ipotetica adesione dell’indagato all’associazione, del tentato omicidio di NOME COGNOME parente di sua moglie: delitto per il quale è indagato
NOME COGNOME ovvero colui che viene indicato come il referente del sodalizio per il narcotraffico di cui NOME COGNOME farebbe parte.
Non avrebbe fondamento normativo, poi, l’ipotizzata aggravante dell’art. 416bis.1, cod. pen.: non vi è, infatti, ad oggi, alcuna sentenza definitiva attestante l’esistenza di un sodalizio mafioso nel territorio interessato dalle presenti vicende criminose; e, comunque, nell’àmbito di un diverso processo, COGNOME è imputato di partecipazione ad un clan differente rispetto a quello quivi indicato.
2.3. Violazioni di legge processuale vengono dedotte, con il terzo motivo, anche con riferimento ai singoli delitti ulteriori, lamentandosi anzitutto, ancora una volta, l’assenza di un’autonoma valutazione delle emergenze investigative da parte sia del primo giudice che del Tribunale del riesame, che avrebbero valorizzato conversazioni intercettate e videoriprese nonostante evidenti discrasie.
Inoltre, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112, Cost., e 50, cod. proc. pen., in quanto le conversazioni cc.dd. “ambientali” intercettate ed utilizzate nel presente procedimento erano già state acquisite dalla medesima Procura della Repubblica nel corso di una precedente indagine, dovendo da ciò desumersi che il Pubblico ministero abbia consapevolmente violato il proprio obbligo di esercitare l’azione penale.
2.4. Sarebbe, infine, viziata la motivazione del ritenuto pericolo di reiterazione criminosa, avendo il Tribunale omesso di considerare la lontananza nel tempo dei fatti, semmai esistenti, e difettando perciò i necessari requisiti dalla concretezza e dell’attualità di tale pericolo.
Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità od il rigetto del ricorso.
Ha depositato memoria e conclusioni scritte la difesa ricorrente, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, perché generico.
In tema di impugnazioni avverso i provvedimenti cautelari personali, il ricorrente per cassazione che ne denunci la nullità per omessa valutazione autonoma delle esigenze cautelari e/o dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario e di rilevanza tale da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate, non potendosi limitare ad un’analisi dei
provvedimenti di tipo meramente formale (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, COGNOME, Rv. 274760).
Peraltro, in presenza di un’eccezione non sorretta da siffatte indicazioni specifiche, il Tribunale del riesame, nel rigettarla, non è tenuto a fornire una motivazione più articolata e ad indicare specificamente le pagine ed i passaggi del provvedimento impugnato in cui rinvenire detta autonoma valutazione (Sez. 2, n. 42333 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 278001).
Nello specifico è sufficiente osservare, allora, che la doglianza in rassegna è di natura essenzialmente formale, non essendo con essa indicato alcun dato probatorio od argomentativo acriticamente recepito dal primo giudice, se non entro i limiti connaturati alla fisiologica assenza di contraddittorio che caratterizza la fase di prima applicazione delle misure cautelari.
Merita di essere accolta, invece, la seconda doglianza, in tema di gravità indiziaria per il delitto associativo.
Dall’ordinanza impugnata, infatti, emerge nitidamente che la condotta addebitata al ricorrente è quella della custodia e del frazionamento delle sostanze stupefacenti commerciate dal proprio genero NOME COGNOME (pagg. 15-18).
Più labile, invece, è la descrizione del rapporto tra quest’ultimo e l’asserito referente del gruppo, tale NOME COGNOME la quale si esaurisce sostanzialmente nel riferimento ad alcune loro conversazioni intercettate, nelle quali, a sèguito del rinvenimento di una consistente quantità di varie sostanze stupefacenti nell’abitazione di COGNOME, i due discutono delle conseguenze economiche e delle possibili contromisure da adottare per ripianare la perdita (pag. 18, ord.).
Pressoché inesistente, poi, è l’indicazione di circostanze significativamente rappresentative di una collaborazione prestata da NOME COGNOME all’organizzazione criminale nel suo complesso, con la consapevolezza e volontà, cioè, di contribuire all’operatività della stessa, e non, invece, di agire nell’esclusivo interesse del proprio congiunto, in ragione del loro legame parentale e di un comune interesse economico da esso scaturente. L’unico – eventuale – tratto di collegamento tra il ricorrente e l’associazione, che è dato scorgere nell’ordinanza impugnata, risiede, infatti, in una battuta del predetto NOME nel corso di una conversazione da lui intrattenuta con una terza persona, allorché, parlando di NOME, ha affermato: «tengo a NOME che c’è il suocero, che è la stessa cosa» (pag. 19). Si tratta, tuttavia, di un’affermazione dal contenuto generico, che, tanto più in quanto presentata dal Tribunale in modo completamente decontestualizzato, non consente di dedurre, con la qualificata probabilità necessaria per il giudizio di gravità indiziaria, l’esistenza di un rapporto di stabile collaborazione del ricorrente con il gruppo e non, ad esempio, limitato ad un episodio circoscritto.
Mette conto ricordare, in proposito, che, anche nel caso dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, al pari di quanto accade per tutte le fattispecie associative, la singola condotta di partecipazione può atteggiarsi, nella pratica, nel modo più diverso, purché si traduca in un contributo alla vita ed all’operatività del sodalizio nel suo complesso, quantunque solamente per una fase temporalmente limitata o addirittura già ab origine prestabilita, dovendo l’indeterminatezza riguardare soltanto la serie dei delitti che s’intendono commettere e non la durata del pactum sceleris (tra le tante: Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276677; Sez. 6, n. 38524 del 11/07/2018, P., Rv. 274099).
In particolare, poi, tra il fornitore di droga e gli spacciatori acquirenti, l’associazione può ravvisarsi quando sia rilevabile un vincolo durevole, quando, cioè, l’uno fornisca agli altri sostanza stupefacente in via continuativa, al fine di immetterla nel mercato del consumo. In tal caso, infatti, non può essere di ostacolo al vincolo associativo la diversità degli scopi personali e degli interessi economici perseguiti dai singoli partecipi, sempre che si accerti che le condotte siano poste in essere con la consapevolezza dell’esistenza di risorse dell’organizzazione su cui contare e con la coscienza e volontà di far parte del sodalizio e di contribuire perciò, con la propria azione, al suo mantenimento. Occorre, cioè, da parte dell’acquirente, perché possa dirsi partecipe, la costante disponibilità all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, con la consapevolezza e la volontà che la stabilità di tale rapporto garantisce l’operatività dell’associazione, in tal caso potendosi ravvisare la necessaria affectio, ossia l’agire di acquirente e fornitori per il soddisfacimento di un interesse comune (così, fra le tante consimili, Sez. 2, n. 10468 del 10/02/2016, Ancora, Rv. 266405; Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, COGNOME, Rv. 267991).
E, ovviamente, tutto questo deve valere, a maggior ragione, per chi, come NOME COGNOME, abbia agito semplicemente ed esclusivamente come ausiliario dell’acquirente-spacciatore COGNOME.
Non è ammissibile, invece, il terzo motivo, relativo ai “reati-scopo”.
3.1. In ordine al difetto di autonoma valutazione da parte del primo giudice ed al vizio di motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame sulla relativa eccezione, è sufficiente rinviare a quanto esposto al precedente par. 1.
3.2. Semplicemente eccentrica, poi, è la dedotta violazione dell’obbligo di esercizio dell’azione penale, di cui si sarebbe reso autore il Pubblico ministero.
Al di là del difetto d’interesse, non potendo certo l’indagato dolersi dell’eventuale inazione del Pubblico ministero, è sufficiente osservare: che, stando a quanto dedotto dallo stesso suo difensore, l’azione penale sarebbe stata
esercitata nel diverso e precedente processo; che, inoltre, dell’omessa valorizzazione, in quello, delle emergenze investigative tenute in considerazione in questo procedimento, l’indagato non ha motivo di lagnarsi, poiché l’eventuale incompletezza del compendio probatorio non ha potuto che giovargli in quella diversa sede; che, da ultimo, nel presente procedimento, è ancora in corso la fase delle indagini preliminari, e dunque nulla esclude che, all’esito, se reputerà sufficiente a sostenere l’accusa in giudizio il materiale raccolto, il Pubblico ministero eserciterà anche in questo procedimento l’azione penale.
L’ordinanza impugnata, in conclusione, dev’essere annullata con rinvio nel capo relativo alla gravità indiziaria per la partecipazione del ricorrente al delitto associativo di cui al capo 1) dell’incolpazione, affinché il Tribunale integri la motivazione sui profili indicati.
Considerando la rilevanza preponderante di tale addebito ai fini della gravità della condotta dell’indagato complessivamente intesa e, per l’effetto, del quadro cautelare, si rende altresì opportuna una complessiva rivalutazione, all’esito, anche delle esigenze cautelari e della scelta della misura (in questo senso, potendo ritenersi assorbito il quarto motivo di ricorso).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p..
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 13 novembre 2024.