Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5631 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5631 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME, nato a Barcellona il DATA_NASCITA
NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/01/2023 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME COGNOME limitatamente alla pena accessoria che i ricorsi siano dichiarati inammissibili siano rigettati l’annullamento con senza rinvio della sentenza impugnata udito il difensore, AVV_NOTAIO per COGNOME, che ha concluso
chiedendo che l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino riformava parzialmente la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino del 9 marzo 2022 che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato,
tra gli altri, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati agli stessi rispettivamente ascritti (per entrambi il capo 11, art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990; per COGNOME anche il capo 1, artt. 110 cod. pen., 73 e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990; per COGNOME anche il capo 8, artt. 110, 497-bis cod. pen., il capo 9, art. 378 cod. pen., il capo 10, artt. 110 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990, e il capo 12, artt. 110, 477, 482 cod. pen.) e segnatamente COGNOME alla pena di anni quattro, mesi nove e giorni dieci di reclusione e NOME alla pena di anni sette, mesi uno, giorni dieci di reclusione.
In sede di appello, mentre la Corte di appello confermava la sentenza per la posizione di NOME, riduceva invece sull’accordo delle parti, ex art. 599-bis cod. proc. pen., la pena per NOME ad anni cinque e mesi quattro di reclusione.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati sopra indicati, denunciando, a mezzo dei rispettivi difensori, i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso di NOME COGNOME (AVV_NOTAIO).
2.1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 in punto di valutazione dei rapporti tra la partecipazione al reato-scopo e la partecipazione al reato associativo.
La Corte di appello ha ritenuto di ravvisare il ruolo partecipativo del ricorrente nel sodalizio di cui al capo 11) nel fatto che era un corriere che aveva effettuato molti viaggi (e quindi di reato-scopo) a favore del sodalizio.
Posto che non è sufficiente la commissione di reati-scopo, come ha affermato la Corte di legittimità per la figura del corriere, la sentenza impugnata ha ritenuto di superare tale principio introducendo un elemento (il numero dei viaggi) che nulla dimostrava quanto all’adesione consapevole del ricorrente al sodalizio criminoso.
Gli elementi valorizzati dalla Corte territoriale rientrano nell’ambito del reato concorsuale e sono coerenti con il mero ruolo di corriere svolto dal ricorrente nel reato di trasporto di stupefacente (la ripetitività dei viaggi; i rapporti con coimputato COGNOME e con un terzo in Spagna; la prova fatta senza carico per verificare la sicurezza del percorso; l’utilizzo di un camion di sua proprietà per i trasporti; la disponibilità di telefoni dedicati, il trasporto di fototessere), men non rivelano quel quid pluris richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per provare il ruolo partecipativo all’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
In particolare, l’uso di un telefonino dedicato era strettamente funzionale al trasporto di stupefacenti per le necessarie comunicazioni (non era usato al di fuor(
di tale ambito; il ricorrente non aveva il numero del soggetto al quale consegnare il carico e non aveva avuto altri contatti con i presunti sodali); anche l’uso del proprio autocarro era connesso al solo trasporto di stupefacente (erroneamente la Corte di appello cita due viaggi, in realtà quello del 12 ottobre 2020 era assolutamente lecito e dimostrava che egli si era staccato dall’attività illecita; congetturale è la spiegazione che il viaggio con merce regolare servisse a depistate gli inquirenti; in ogni caso l’utilizzo del camion è fatto per sicurezza personale – in quanto fermato due volte con altro mezzo – e per ottenere un facile guadagno) e non perché egli aveva messo il mezzo a disposizione dell’associazione (tanto che il camion non era soggetto a bonifiche da parte degli associati); si inserivano sempre nell’attività di corriere i “viaggi senza carico” (viaggi che comunque il ricorrente effettuava senza sapere cosa trasportasse e i motivi e i destinatari – i COGNOME) e il trasporto delle fototessere (in ogni caso l’asserito incontro tra il ricorrente e COGNOME, per la consegna da parte del primo delle fototessere riproducenti NOME COGNOME, è frutto di travisamento, posto che nell’atto di polizia giudiziaria, citato dalla Corte di appello, non è menzionato mentre in altra annotazione della Questura in atti risulta riferito in termini di mera verosimiglianza; l’esame delle posizioni degli imputati non ha dimostrato l’aggancio da parte dei due della stessa cella telefonica; non risulta aliunde che il ricorrente fosse al corrente della presenza delle buste con le fototessere nel camion da lui guidato; in ogni caso il ricorrente non conosce il COGNOME; non vi era motivo di consegnare le fototessere a COGNOME dopo il controllo subito con il rischio di essere pedinato).
Quanto al ruolo svolto dal ricorrente si tratta di attività fungibile e comunque svolta da altri prima di lui, come dimostra il fatto che il camion da lui usato era già utilizzato in precedenza.
Dal punto di vista soggettivo, il ricorrente si è mosso per momentanee esigenze economiche proprie e nulla dimostra la affectio societatis (tra l’altro nessuno dei soldali lo considera intraneo e lo ha coinvolto nelle altre fasi del traffico di droga; non è mai stato posto al corrente dei particolari del trasporto e a dividerne i frutti e neppure era stato notiziato dell’arresto di COGNOME)
2.1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al comma 7 degli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 quanto all’attenuante della collaborazione.
Il ricorrente ha offerto tutto il suo patrimonio di conoscenze e la decisione della Corte territoriale erroneamente si basa sull’utilità del risultato.
2.2. Ricorso di NOME (AVV_NOTAIO).
2.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 29 e 77 cod. pen. e alla conferma della interdizione perpetua dai pubblici uffici.
La Corte territoriale, nel ridurre la pena per effetto del concordato in appello, ha confermato le restanti statuizioni, tra le quali anche la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, applicata in primo grado. Peraltro, dalla motivazione si evince che tale pena doveva essere sostituita – una volta ridotta la pena principale – con la pena dell’interdizione da pubblici uffici per anni cinque. Trattandosi di pena illegale, il ricorso non è ostacolato dalla definizione del procedimento ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato, mentre quello proposto da NOME COGNOME non supera la soglia dell’ammissibilità.
Quanto al ricorso di NOME COGNOME si osserva quanto segue.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente ripropone tutti gli argomenti difensivi avanzati con il gravame di appello, a fronte di una risposta fornita dalla Corte di appello che non può essere definitiva erronea in diritto o logicamente viziata.
La sentenza impugnata ha infatti fatto corretta applicazione del principio secondo cui lo svolgimento dell’attività di “corriere” per conto del sodalizio non costituisce, in sé ed automaticamente, prova della partecipazione al reato associativo, qualora non venga dimostrato che il soggetto agente, consapevole dell’esistenza di un sodalizio volto alla commissione di una serie indefinita di reati nel settore degli stupefacenti, aderisca volontariamente a tale programma ed assicuri la sua stabile disponibilità ad attuarlo (tra tante, Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016, dep. 2017, Rv. 269881; Sez. 6, n. 5150 del 16/01/2014, Rv. 258570).
Ebbene, tutti gli elementi indiziari valorizzati concordemente dai giudici del merito, in chiave sintomatica, ai fini prova della adesione del ricorrente al sodalizio sono letti dalla difesa in una prospettiva meramente atomistica e parcellizzante, per contrastarne la complessiva visione unitaria e convergente e quindi secondo un metodo di analisi palesemente erroneo (tra tante, Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, Rv. 280605).
Proprio la lettura unitaria di questi elementi consentiva di superare le alternative ipotesi ricostruttive proposte dalla difesa e le relative ambiguità dei singoli elementi segnalate nell’appello.
Gli elementi evidenziati dalla Corte territoriale sono i seguenti:
– l’elevato numero di viaggi (almeno 16) effettuati dal ricorrente nel corso di alcuni mesi (a partire dal 3 giugno 2020, ovvero in occasione della utilizzazione da parte di COGNOME di un capannone ad Avigliana, che era risultato destinato allo stoccaggio fl
di ingenti quantitativi di stupefacente) e a cadenza settimanale; a fronte della mancata individuazione, nonostante le serrate indagini, di altro trasportatore operante nel periodo per il sodalizio, nonostante il flusso notevole di stupefacente distribuito dai sodali. Quindi un rapporto di collaborazione non occasionale ed estemporaneo.
i rapporti in tale periodo avuti dal ricorrente con almeno due persone del sodalizio, ovvero con tale NOME, che organizzava i viaggi, dando le direttive e le scansioni dei tempi, fornendo i materiali, gli stupefacenti e i telefonini, e con NOME COGNOME che era l’addetto alla ricezione dei carichi presso il capannone; la consapevolezza del ricorrente di collaborare con persone stabilmente e continuativamente dedite ed organizzate (stante la presenza del capannone utilizzato per il ricovero della sostanza stupefacente, la messa a disposizione di un camion per i trasporti, l’uso di telefoni “criptati” dedicati alle operazioni trasporto, l’effettuazione ben compensata di viaggi di “controllo”) per il trasporto di quantitativi anche elevati di stupefacente tra la Spagna e l’Italia; la presenza di altre persone del sodalizio era provata inoltre dall’episodio delle fototessere del COGNOME.
la messa a disposizione del ricorrente per le esigenze del sodalizio: il ricorrente aveva effettuato viaggi anche senza carico per “sondare” la sicurezza del percorso.
l’elevato compenso a lui riconosciuto per i numerosi viaggi (quelli con carico 5.000 euro, quello senza carico 1.000 euro), tale da far comprendere la rilevanza del ruolo ricoperto in un contesto organizzato.
il ruolo fiduciario svolto per conto del sodalizio: trasportava infatti anche ingenti somme di danaro, a testimonianza della piena fiducia in lui riposta dal sodalizio.
Questi elementi, oltre ad essere sviliti nel ricorso nella loro pregnanza attraverso una lettura parcellizzata, sono censurati con argomenti, che lungi da rivelare travisamenti della prova rilevanti in sede di legittimità, mirano ad introdurre questioni di puro fatto.
Così in particolare la fittizietà dei viaggi “leciti” è stata adeguatamente ricostruita dai giudici di merito sin dal primo grado (cfr. pag. 8 della sentenza di primo grado) e ammessa dallo stesso ricorrente. In tale prospettiva, non manifestamente illogica è la conclusione che anche l’ultimo viaggio fatto con merce regolare si inserisse in questa serrata sequenza di viaggi nel contesto associativo.
Così l’incontro con COGNOME per il trasporto delle fototessere, per il quale il ricorrente propone una diversa lettura degli atti, non evidenziando in ogni caso la forza dimostrativa, disarticolante dell’eventuale travisamento sul ragionamento c probatorio.
Così la mancanza di contatti telefonici con i vari sodali, che non si correla alle evidenze processuali (nel corso delle indagini erano infatti disposte intercettazioni ambientali e solo dall’ascolto di tali captazioni emergeva l’uso dei sodali di telefoni criptati non intercettabili dedicati ai traffici illeciti, come specificato a pag. 29 del sentenza di primo grado).
2.2. Quanto al riconoscimento delle attenuanti di cui al comma 7 degli art. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 il motivo è generico, posto che le due fattispecie rispondono a presupposti diversi, e comunque aspecifico rispetto al ragionamento giustificativo della sentenza impugnata.
Va infatti rammentato che, secondo un costante orientamento, il riconoscimento dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, non comporta automaticamente anche quello dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, non coincidendo i presupposti delle due circostanze, in quanto la prima riguarda l’assicurazione, “ex post”, delle prove dei commessi reati e, ai fini della sua applicazione, è necessario che i dati forniti siano nuovi, oggettivamente utili e costituiscano tutte le conoscenze a disposizione del dichiarante, mentre per la concessione della seconda, è necessario che il contributo conoscitivo offerto dall’imputato, nel corso della consumazione del reato, sia utilmente diretto ad interrompere non tanto il traffico della singola partita di droga, bensì l’attività complessiva del sodalizio criminoso (Sez. 3, n. 23528 del 19/01/2018, Rv. 273563).
Ebbene l’unico dato che il ricorrente valorizza nel ricorso per entrambe le attenuanti speciali è l’aver posto a disposizione degli inquirenti tutto il suo patrimonio conoscitivo, obiettivamente utile.
In ogni caso, il ricorrente non si confronta con la risposta offerta dalla Corte di appello, che ha definito la sua collaborazione limitata ad una mera “ammissione dei fatti” “del tutto riduttiva”, che non ha avuto alcun’utilità alle indagi (spiegandone dettagliatamente il motivo, cfr. pag. 18 della sentenza impugnata) e che tantomeno ha avuto l’effetto di interrompere l’attività del sodalizio.
2.3. Conclusivamente, alla stregua di tali rilievi, il ricorso di NOME deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato inoltre che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve disporsi che il ricorrente versi anche la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
Il ricorso di NOME va accolto.
Effettivamente la Corte di appello in motivazione ha affermato che la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, inflitta in primo grado, doveva essere ridotta ad anni cinque (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata) per effetto della riduzione della pena principale operata nel grado. Peraltro, nel dispositivo ha omesso di pronunciarsi sul punto.
Va a tal riguardo rammentato che, ai fini dell’applicazione della pena accessoria dell’interdizione legale, nel caso di più reati unificati sotto il vincolo dell continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena determinata in concreto per il reato più grave, nell’eventualità ulteriormente ridotta per la scelta del rito, e non a quella complessiva risultante dall’aumento della continuazione (Sez. 1, n. 8126 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 272408).
Nel caso in esame, la pena inflitta al ricorrente per il reato più grave (anni quattro, mesi dieci e giorni 20 di reclusione) è inferiore a quella di anni cinque di reclusione di cui all’art. 29 cod. pen. e quindi si versa in ipotesi di pena illegale con la conseguenza che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente alla determinazione della pena accessoria della quale si tratta, alla quale segue la rideterminazione della stessa, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., nella misura di cinque anni.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME, limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, che elimina, applicando quella della interdizione temporanea per la durata di anni cinque.
Così deciso il 14/11/2023.