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Partecipazione associativa: quando è provata?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5090/2024, ha rigettato il ricorso di un soggetto indagato per partecipazione associativa di stampo mafioso ed estorsione aggravata, confermando la misura della custodia cautelare in carcere. La Corte ha stabilito che la prova della partecipazione associativa non deriva solo dai singoli reati-fine, ma da un complesso di elementi che dimostrano un inserimento stabile e organico nel sodalizio, come il mantenimento di contatti con altre realtà criminali, l’interesse per le dinamiche interne del clan e la tutela della sua “immagine”. Inoltre, ha chiarito che il concorso morale in un’estorsione continuata sussiste anche quando l’azione di istigazione è volta a rafforzare la determinazione di proseguire l’attività criminosa già in atto.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associativa e Concorso in Estorsione: I Criteri della Cassazione

La recente sentenza n. 5090/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui presupposti per configurare la partecipazione associativa a un sodalizio di stampo mafioso e il concorso morale in un reato continuato come l’estorsione. Questo pronunciamento è cruciale perché delinea come la valutazione del ruolo di un individuo all’interno di un clan non possa limitarsi alla sola analisi dei singoli reati commessi, ma debba basarsi su un quadro indiziario più ampio che ne dimostri l’organico inserimento. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: La Misura Cautelare

Il caso nasce dal ricorso presentato da un individuo contro l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro che confermava la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. Le accuse erano estremamente gravi: partecipazione ad associazione di tipo mafioso e concorso in estorsione continuata, aggravata dal metodo mafioso. La difesa sosteneva l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza per entrambi i reati.

I Motivi del Ricorso: La Tesi Difensiva

La difesa ha articolato il ricorso su tre punti principali:

1. Sull’estorsione: Si contestava la condotta istigatrice, sostenendo che l’intervento dell’indagato fosse avvenuto quando l’estorsione era di fatto già conclusa. Inoltre, si evidenziava la sua mancata partecipazione alla spartizione dei proventi e l’assenza di un chiaro vantaggio economico.
2. Sull’aggravante mafiosa: Si negava che l’azione avesse avvantaggiato la consorteria e che fosse stato utilizzato il metodo mafioso.
3. Sulla partecipazione associativa: Si riteneva che gli indizi fossero deboli, fondati unicamente sul presunto coinvolgimento nell’estorsione e su intercettazioni dal tenore non univoco, oltre che su meri rapporti familiari con altri indagati.

L’Analisi della Corte sulla Partecipazione Associativa

La Corte di Cassazione ha respinto integralmente il ricorso, ritenendo le argomentazioni del Tribunale del riesame logiche e ben fondate. Per quanto riguarda la partecipazione associativa, i giudici hanno sottolineato che la prova non si esaurisce nel singolo reato-fine contestato. Al contrario, essa emerge da una serie di “indicatori fattuali” che, letti nel loro complesso, dimostrano un’integrazione stabile e funzionale dell’individuo nel tessuto organizzativo del clan.

Nel caso specifico, le intercettazioni avevano rivelato che l’indagato:
* Manteneva fitti contatti con altre realtà criminali di rilievo.
* Si interessava all’acquisto di armi.
* Era a conoscenza delle dinamiche interne al clan, inclusi debiti tra sodali e possibili reazioni violente.
* Mostrava preoccupazione per l'”immagine” della cosca, criticando un affiliato che svolgeva un lavoro umile.
* Si era attivato per la restituzione di un’auto rubata tramite la pratica del “cavallo di ritorno”, interfacciandosi con esponenti di altre organizzazioni criminali.

Questi elementi, secondo la Corte, vanno oltre la mera connivenza e delineano un ruolo attivo e una piena disponibilità agli scopi del sodalizio.

Il Concorso Morale nell’Estorsione Continuata

Anche la censura relativa al reato di estorsione è stata respinta. La difesa aveva puntato sulla collocazione temporale dell’intervento dell’indagato, a suo dire tardivo per poter configurare un’istigazione. La Cassazione ha smontato questa tesi, chiarendo un principio fondamentale: nel caso di un reato continuato, il concorso morale non si limita a determinare ab initio la volontà criminale, ma può consistere anche nel rafforzare la determinazione a proseguire le condotte illecite già in atto.

L’indagato, infatti, non solo aveva incitato il nipote a continuare le vessazioni nei confronti della vittima, ma si era anche costantemente informato sui tempi e le cifre della riscossione, dimostrando un interesse diretto o indiretto alla realizzazione del profitto ingiusto.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda sul principio consolidato secondo cui la partecipazione associativa è una condotta che implica una compenetrazione stabile e organica con il sodalizio criminale. Non è necessario commettere una serie infinita di reati, ma è sufficiente essere a disposizione dell’organizzazione per i suoi fini, essere riconosciuto come membro dagli altri e svolgere un ruolo funzionale. Gli elementi raccolti nel caso di specie (interessamento per le armi, gestione di affari illeciti, preoccupazione per la reputazione del clan) sono stati ritenuti indicatori gravi, precisi e concordanti di tale inserimento.
Per quanto riguarda l’estorsione, la Corte ha ribadito che l’istigazione a perseverare in un’azione criminosa già iniziata costituisce un contributo causale penalmente rilevante. Inoltre, il reato di estorsione si configura anche quando il profitto è procurato “ad altri”, come nel caso di specie, dove il principale beneficiario era il nipote, ritenuto a capo della cosca.
Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo all’aggravante del metodo mafioso per carenza di interesse. Poiché la sola accusa di associazione mafiosa comporta una presunzione legale per l’applicazione della custodia in carcere, l’eventuale esclusione dell’aggravante per l’estorsione non avrebbe comportato alcun beneficio concreto per l’indagato.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un orientamento giurisprudenziale di grande importanza nella lotta alla criminalità organizzata. In primo luogo, conferma che la prova della partecipazione associativa si costruisce attraverso una valutazione complessiva di una pluralità di condotte, anche non costituenti di per sé reato, che rivelano l’appartenenza di un soggetto al gruppo. In secondo luogo, offre una lettura estensiva del concorso morale nei reati permanenti o continuati, valorizzando qualsiasi contributo che rafforzi il proposito criminoso, anche se fornito in corso d’opera. Si tratta di principi che garantiscono agli inquirenti strumenti efficaci per colpire le strutture criminali nella loro interezza, andando oltre la semplice punizione dei singoli atti delittuosi.

Quali elementi provano la partecipazione associativa a un clan mafioso?
Non è sufficiente la commissione di un singolo reato-fine. La prova si basa su un complesso di indicatori fattuali che dimostrano un inserimento stabile e organico nel sodalizio, come mantenere contatti con altri gruppi criminali, conoscere le dinamiche interne, interessarsi agli affari illeciti (es. acquisto armi) e agire per tutelare l’immagine e gli interessi del clan.

È possibile essere considerati concorrenti morali in un’estorsione se l’intervento avviene quando il reato è già in corso?
Sì. Secondo la Corte, in un reato continuato come l’estorsione, il concorso morale non consiste solo nel determinare l’inizio dell’azione criminale, ma anche nel fornire un contributo causale che rafforzi la “determinazione a proseguire le periodiche vessazioni” a cui la vittima è già sottoposta.

In un ricorso contro una misura cautelare, è sempre utile contestare una circostanza aggravante?
No, non sempre. È necessario che dall’esclusione dell’aggravante derivi una concreta utilità per l’indagato. Nel caso specifico, poiché la sola accusa di partecipazione ad associazione mafiosa prevede una presunzione per la custodia in carcere, l’eventuale eliminazione dell’aggravante per il reato di estorsione non avrebbe modificato la misura cautelare applicata, rendendo il motivo di ricorso inammissibile per carenza di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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