Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43090 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 43090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 28/02/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per l’imputato, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 28 febbraio 2024 dalla Corte di appello di Napoli, che – per quanto qui di interesse – ha confermato la sentenza
del Tribunale di Napoli Nord, che aveva condannato NOME per il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere di tipo camorristico.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato avrebbe partecipato all’associazione camorristica denominata “RAGIONE_SOCIALE“, radicata, con stabile organizzazione, in Afragola e con articolazioni territoriali presenti nei comuni limitrofi (Casoria, Arzano, Caivano, Crispano e Cardito). L’associazione, avvalendosi della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo nonché della nota appartenenza del RAGIONE_SOCIALE allo storico “cartello camorristico” della “RAGIONE_SOCIALE“, sarebbe finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti di estorsione, di traffico di stupefacenti, di contrabbando di t.l.e. e in materia di armi.
Il NOME avrebbe operato nell’ambito del “gruppo RAGIONE_SOCIALE“, operativo nell’ambito della predetta associazione, svolgendo varie attività al servizio dei promotori e degli organizzatori, rendendosi responsabile anche di estorsioni e di gravi atti di intimidazione.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che la prova dichiarativa sarebbe stata palesemente travisata.
Al riguardo, rappresenta che la Corte di appello ha affermato che risultavano convergenti le dichiarazioni rese dai collaboratori in ordine alla partecipazione dell’imputato al sodalizio criminale, divergendo esclusivamente su aspetti marginali.
Il ricorrente, invece, sostiene che le divergenze non sarebbero marginali, ma riguarderebbero aspetti essenziali e, segnatamente, l’individuazione del gruppo di presunta appartenenza. Evidenti sarebbero quelle emerse da quanto riferito dai collaboratori COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ciascuno dei quali avrebbe rese dichiarazioni differenti in ordine al gruppo di appartenenza dell’imputato.
Il ricorrente, inoltre, contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che l’imputato si sarebbe avvicinato al gruppo COGNOME. Tale affermazione, invero, sarebbe contraddetta dalle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME NOME, che aveva sostenuto che l’imputato avrebbe fatto parte di un gruppo contrapposto a quello del COGNOME. Dichiarazioni che non sarebbero state valutate dai giudici di merito.
2.2. Con un secondo motivo, articolato in più censure, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.
2.2.1. Con una prima serie di censure, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa alla valutazione delle risultanze istruttorie.
In primo luogo, lamenta l’omessa valutazione delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia COGNOME, richiamando le argomentazioni già esposte nell’ambito del primo motivo di ricorso.
Con una seconda censura, pone in rilievo le dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria COGNOME, secondo il quale l’imputato sarebbe stato inserito nel gruppo facente capo a COGNOME NOME. Tali dichiarazioni sarebbero incompatibili con l’affermazione contenuta nella sentenza, secondo la quale l’imputato si sarebbe avvicinato al gruppo COGNOME. Il ricorrente, in particolare, contesta la sentenza, nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato che l’imputato si era recato dai COGNOME per ricevere la “mesata”. Al riguardo, pone in rilievo che tale affermazione sarebbe basata su una conversazione intercettata il 10 maggio, quando COGNOME NOME era ancora libero, essendo stato tratto in arresto solo in data 12 maggio.
Quanto alle dichiarazioni rese dai collaboratori COGNOME COGNOME COGNOME, il ricorrente evidenzia che si trattava di dichiarazioni de relato, che avrebbero dovuto essere confermate dal teste diretto.
Il ricorrente evidenzia anche le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, che aveva riferito di avere appreso da altre persone della partecipazione dell’imputato al gruppo facente capo a COGNOME NOME. Dichiarazioni che si porrebbero in contrasto con quanto riferito dallo stesso COGNOME, che aveva sostenuto che l’imputato facesse parte della fazione facente capo al COGNOME.
Con un’ulteriore censura, il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe risposto all’atto di impugnazione, nella parte in cui la difesa aveva rappresentato che non fosse stato l’imputato a recarsi il 10 maggio presso l’abitazione di NOME, atteso che quest’ultimo non conoscerebbe l’imputato (come sarebbe desumibile da una sua affermazione: “chi è u panzaruttaro”) e che il NOME, in quel periodo, era ristretto agli arresti domiciliari.
2.2.2. Il ricorrente, infine, sostiene che la Corte di appello non avrebbe fornito un’effettiva motivazione al rigetto all’istanza con la quale la difesa aveva chiesto di ritenere i fatti oggetto di contestazione già coperti dal giudicato o quantomeno di riconoscere il vincolo della continuazione tra tali fatti e quelli oggetto della sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 19 ottobre 2021. Al riguardo, la difesa aveva rappresentato che: l’apparente diversità temporale dei fatti era conseguenza di un’arbitraria parcellizzazione della contestazione operata al
momento dell’esercizio dell’azione penale; dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia emergeva «una continuità della partecipazione del NOME al sodalizio».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, essendo privo di specificità estrinseca.
Il ricorrente, invero, non si confronta con le due sentenze di merito (ci troviamo di fronte a una “doppia conforme”), limitandosi a riproporre le medesime doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con congrua motivazione.
I giudici di merito hanno ricostruito le particolari vicende del RAGIONE_SOCIALE, nel periodo di rilievo per i fatti oggetto di processo.
In particolare, hanno evidenziato che: nel periodo in questione, numerosi esponenti del RAGIONE_SOCIALE COGNOME erano stati arrestati; a seguito di tali vicende, si erano verificate forti “tensioni” tra i vari gruppi del sodalizio criminale, che avevano portato a un nuovo assetto del sodalizio criminale sul territorio; in particolare, all’interno del rione Salicelle, «aveva preso il sopravvento» il gruppo di COGNOME NOME. In tale contesto, l’imputato (conosciuto con il soprannome di NOME o’ panzaruttar’, in ragione dell’attività di RAGIONE_SOCIALE), militante di «lungo corso» del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per un certo periodo alle dipendenze di COGNOME NOME e poi inquadrato, nel periodo risalente all’omicidio di NOME, come componente della fazione riferibile a COGNOME NOME, successivamente all’arresto di quest’ultimo e alla progressiva ascesa di COGNOME NOME a un ruolo di vertice nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE, si era avvicinato proprio alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
La Corte di appello, nel rispondere al motivo di appello che poneva le medesime censure riproposte con il ricorso, ha spiegato che le dichiarazioni dei collaboratori relative ai diversi gruppi ai quali, nel corso del tempo, aveva appartenuto il COGNOME erano coerenti con le ricostruite vicende del RAGIONE_SOCIALE COGNOME e con il conseguente riposizionamento dell’imputato nell’ambito dei vari gruppi che lo componevano.
Questi ultimi erano, comunque, articolazioni del medesimo RAGIONE_SOCIALE ed era comprensibile che un associato di «lungo corso» come il COGNOME, nel corso del tempo, si era avvicinato ora all’uno, ora all’altro gruppo, in conseguenza delle vicende che influivano sulla struttura e sull’operatività del sodalizio criminale.
Risulta, in ogni caso, errato il riferimento al vizio del travisamento della prova, atteso che il ricorrente non deduce che la Corte di appello abbia attribuito al singolo
collaboratore di giustizia delle dichiarazioni difformi da quelle che questi aveva effettivamente reso, ma invece contesta il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori.
Quanto alla censura relativa all’omessa valutazione di quanto dichiarato dal COGNOME in ordine al gruppo di appartenenza dell’imputato, va rilevato che essa è inammissibile, perché versata in fatto, atteso che, mediante un “frammento” di prova, il ricorrente tende a ottenere un inammissibile sindacato sulle valutazioni di merito della Corte di appello, e perché del tutto generica, non avendo il ricorrente dimostrato la decisività delle dichiarazioni in questione. Al riguardo, peraltro, va evidenziato che la Corte di appello, nel ricostruire il quadro probatorio a carico dell’imputato, ha dato un ruolo primario alle conversazioni intercettate.
1.2. Le censure mosse nella prima parte del secondo motivo sono inammissibili.
Con esse, il ricorrente non deduce alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma tende a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME). Egli, in realtà, offre al giudice di legittimità alcuni elementi frammentari – molti dei quali basati su mere asserzioni – che tendono a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti nella loro interezza.
Va, in ogni caso, osservato che la Corte di appello, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, ha ricostruito i fatti in conformità all’ipot accusatoria, rispondendo anche alle censure mosse con l’atto di appello (cfr. pagine 4 e ss. della sentenza impugnata).
Il particolare, la Corte di appello ha riportato e rigorosamente analizzato le prove a carico dell’imputato, costituite dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, dalle testimonianze e dalle conversazioni intercettate.
Ha ritenuto che, da tali prove, emergesse in maniera univoca la partecipazione attiva, consapevole e volontaria dell’imputato al consorzio delinquenziale, con un ruolo ben definito, relativo al settore delle estorsioni.
La gran parte delle censure mosse dal ricorrente, peraltro, è sempre legata alla questione che i collaboratori avrebbero riferito circostanze diverse in relazione al gruppo di appartenenza dell’imputato. Sotto tale profilo, va ribadito che le censure sono viziate da genericità estrinseca, essendo prive del necessario confronto con la sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha spiegato che le dichiarazioni dei collaboratori relative alle diverse fazioni alle quali, nel corso del tempo, aveva appartenuto il NOME trovavano piena giustificazione
nelle ricostruite vicende del RAGIONE_SOCIALE COGNOME e nel conseguente riposizionamento dell’imputato nell’ambito dei vari gruppi che lo componevano.
Quanto alla questione delle testimonianze indirette e della necessità di una loro conferma, va evidenziato che la necessità di sentire la fonte diretta sorge solo a seguito di specifica richiesta delle parti, che nel caso in esame il ricorrente non deduce esservi stata.
Manifestamente infondata è la censura con la quale il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe risposto ai rilievi difensivi.
La Corte territoriale, invero, ha risposto alle censure mosse con l’atto di impugnazione, ritenendo evidentemente “assorbite” le questioni poste dalla difesa completamente incompatibili con la ricostruzione dei fatti ritenuta fondata. Al riguardo, va ribadito che, «nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935; cfr. anche Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593).
La Corte di appello, in particolare, ha risposto anche al rilievo difensivo con il quale l’appellante aveva evidenziato che il COGNOME non conoscesse l’imputato. Al riguardo, ha evidenziato che il COGNOME, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, aveva riconosciuto l’imputato e si era dimostrato contrario a corrispondergli “la mesata”, perché, fino a quel momento, egli era ancora ritenuto formalmente appartenente alla fazione che faceva capo a COGNOME NOME, ragion per cui si era convinto a riconoscergli solo una piccola elargizione, pari a euro 200,00.
Va sottolineato che l’episodio della richiesta della “mesata” è stato ricostruito dai giudici di merito sul contenuto delle conversazioni intercettate, nel corso delle quali gli interlocutori utilizzavano un linguaggio abbastanza esplicito (cfr. anche pagine 11 e ss. della sentenza di primo grado).
1.3. È infondata la censura con la quale il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe fornito un’effettiva motivazione al rigetto all’istanza con la quale la difesa aveva chiesto di ritenere i fatti oggetto di contestazione già coperti dal giudicato o quantomeno di riconoscere il vincolo della continuazione tra tali fatti e quelli oggetto della sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 19 ottobre 2021.
La Corte di appello, infatti, ha adeguatamente risposto a entrambe le istanze, rappresentando che l’applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen. era preclusa dal fatto che la precedente sentenza aveva a oggetto la partecipazione dell’imputato all’associazione, in un periodo di tempo ben diverso da quello preso in considerazione dall’imputazione contestata in questo processo. Rispetto a tale profilo, va rilevato che l’affermazione con la quale il ricorrente sostiene che «la diversità temporale» sarebbe legata a una scelta arbitraria, effettuata in sede di esercizio dell’azione penale, risulta del tutto generica.
Quanto alla richiesta di applicazione della continuazione, la Corte di appello ha evidenziato che la precedente sentenza non era ancora passata in giudicato.
Al rigetto del ricorso, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 9 ottobre 2024.