Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31825 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31825 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 307/2025
NOME Casa
UP – 29/04/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 40094/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 28/09/2001
NOMECOGNOME nato a Palermo il 29/09/1995
COGNOME GiovanniCOGNOME nato a Palermo il 01/01/1954
Buongiorno NOME nato a Palermo il 07/08/1967
COGNOME NOME nato a Palermo il 28/05/1978
NOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 16/09/1993
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 28/07/1994
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 12/05/1955
NOMECOGNOME nato a Palermo il 11/08/2000
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 17/07/1964
NOMECOGNOME nato in Francia il 08/07/1949
COGNOME nato a Palermo il 18/10/1995
NOMECOGNOME nato a Palermo il 27/04/1994
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 02/07/1987
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 04/03/1999
NOMECOGNOME nato a Palermo il 28/12/1995
NOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 14/08/1988
COGNOME NOME nato a Palermo il 09/08/1998
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 31/05/1974
COGNOME NOME nato a Palermo il 04/05/1974
avverso la sentenza del 26/02/2024 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto: l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla misura della pena, da rideterminarsi ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen., e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso dell’imputato nel resto; il rigetto dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME; la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi rimanenti;
uditi i sottoindicati difensori di parte civile, che hanno chiesto la dichiarazione di inammissibilità e/o il rigetto dei ricorsi avversari con il favore delle spese di lite:
– avvocato dello Stato NOME COGNOME per il Commissario straordinario del
Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura;
avvocato NOME COGNOME per il Comune di Palermo, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, Centro studi ed iniziative culturali RAGIONE_SOCIALE e Confcommercio di Palermo;
avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE;
avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME
avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME e NOME COGNOME;
avvocato NOME COGNOME per Comitato Addio pizzo;
uditi i sottoindicati difensori, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi rispettivamente proposti nell’interesse dei loro assistiti:
avvocato NOME COGNOME per l’imputato NOME COGNOME;
avvocato NOME COGNOME per l’imputato NOME COGNOME
avvocato NOME COGNOME per l’imputato NOME COGNOME;
avvocato NOME COGNOME per l’imputato NOME COGNOME
avvocato NOME COGNOME per gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
avvocato NOME COGNOME per l’imputato NOME COGNOME;
avvocato NOME COGNOME per gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
avvocato NOME COGNOME per gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 26 febbraio 2024 la Corte di appello di Palermo ha solo parzialmente riformato quella pronunciata il 4 maggio 2022, in rito abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del locale Tribunale, avente ad oggetto la famiglia mafiosa di Borgo INDIRIZZO, facente parte del mandamento di INDIRIZZO, articolazione di ‘RAGIONE_SOCIALE‘, la collegata associazione di narcotraffico e la serie di attività criminali connesse all’operatività dei due sodalizi.
La Corte di appello ha riaffermato la penale responsabilità degli imputati in epigrafe menzionati, nei termini che risulteranno dal prosieguo della narrativa.
La sentenza di appello è oggetto di ricorso dinanzi a questa Corte ad opera dei medesimi imputati.
Ragioni di comodità espositiva consigliano di adottare, in questa narrativa, una tecnica redazionale che ancori l’esposizione delle vicende processuali alle posizioni individuali, rispettando l’ordine di ruolo ed operando, laddove necessario, gli opportuni rimandi.
Dei motivi di ricorso si darà conto, in ossequio al disposto dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3. NOME COGNOME.
3.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contestato al capo 29) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di sei anni e otto mesi di reclusione.
Secondo la ricostruzione giudiziale, NOME COGNOME promuoveva ed organizzava all’interno del INDIRIZZO di Palermo e dalla sua abitazione una florida attività di spaccio di stupefacenti, dirigendo un’associazione dedita al
narcotraffico di cui facevano parte, in qualità di partecipi, i suoi fratelli NOME e NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Dalle captazioni effettuate all’interno di detta abitazione e dai contestuali servizi di monitoraggio e osservazione predisposti in esterno dalla polizia giudiziaria emergevano, infatti, elementi dimostrativi della massiccia consistenza dello spaccio, nonché dell’esistenza di una struttura organizzata, tendenzialmente stabile, diretta appunto da NOME COGNOME e partecipata dagli altri soggetti, che si coordinavano sinergicamente tra loro al fine di commettere plurimi reati non predeterminati di acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti.
3.2. Ricorre COGNOME per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di due motivi.
3.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione.
L’elemento distintivo del delitto di cui all’art. 74 T.U. stup., rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e cessione di sostanza, sarebbe ravvisabile nel carattere dell’accordo criminoso (avente nel solo primo caso ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti), nella permanenza del vincolo e nella esistenza di un’organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso.
Tutti questi elementi sarebbero carenti nella specie, in ragione della brevissima durata dei rilevati rapporti tra i pretesi associati, della mancata predisposizione di mezzi idonei alla bisogna, dell’assenza di ruoli ben definiti, di cassa comune, di fornitori fidelizzati e di acquirenti stabili.
Ciò risulterebbe dalle intercettazioni, che la Corte di appello avrebbe travisato e, in ogni caso, non correttamente decifrato.
3.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo della partecipazione associativa del ricorrente.
La Corte di appello avrebbe derivato tale partecipazione anzitutto dal contributo da COGNOME apportato nella «vicenda Altieri-Marino», tramite la consegna ad entrambi, in cambio di 900 euro, di due panetti di hashish che erano nella sua disponibilità, consegna che sarebbe stata comandata da NOME COGNOME.
Senonché, la stessa Corte di merito, occupandosi in seguito della vicenda, avrebbe considerato non raggiunta la prova di detta consegna (al ricorrente, peraltro, mai formalmente contestata come condotta autonoma di spaccio), assolvendo COGNOME e NOME dal relativo reato-fine.
Di qui la denuncia di contraddittorietà di ricostruzione e valutazione.
Nessun’altra delle condotte accertate a carico di COGNOME sarebbe realmente espressiva di intraneità associativa, anche dal lato dell’elemento psicologico.
3.3. È pervenuto un motivo aggiunto, con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, di nuovo sul rilievo della partecipazione associativa.
Si denuncia, in particolare, l’inadeguatezza probatoria dell’intercettazione ambientale inerente alla vicenda COGNOME–COGNOME. Le conversazioni captate avrebbero ad oggetto solo meri contatti preliminari, o ancora rivelerebbero la mera fissazione di appuntamenti o incontri, senza che risulti la detenzione effettiva delle sostanze stupefacenti o la natura consuetudinaria degli incontri medesimi funzionali alla cessione di droga, e non vi sarebbe dunque spazio per ritenere integrato, a carico del ricorrente, il reato associativo.
L’assunzione del ruolo di fiduciario del capo sarebbe indimostrata e la relativa qualità sarebbe comunque insufficiente ai fini dell’attribuzione al ricorrente della condotta di partecipazione, con i dovuti caratteri di inserimento funzionale e consapevole condivisione di strategie associative.
4. NOME COGNOME.
4.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di acquisto di sostanza stupefacente di tipo hashish, contestato al capo 47) della rubrica, limitatamente alla condotta del 26 febbraio 2020.
È stato condannato alla pena finale di un anno e quattro mesi di reclusione e 3.442 euro di multa.
4.2. Ricorre COGNOME per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME.
Nel motivo unico si deduce vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
Le disagiate condizioni economiche del ricorrente e il non particolare disvalore penale della condotta avrebbero dovuto condurre alla mitigazione, ulteriore, del trattamento sanzionatorio.
5. NOME COGNOME.
5.1. È stato riconosciuto colpevole dei reati di tentato omicidio aggravato e di danneggiamento seguito da incendio, contestati ai capi 3) e 4) della rubrica, uniti in continuazione.
È stato condannato alla pena finale di otto anni e quattro mesi di reclusione. Secondo la ricostruzione giudiziale, il 12 dicembre 2018 NOME COGNOME e NOME COGNOME attentavano alla vita di NOME COGNOME senza riuscirvi per cause indipendenti dalla loro volontà; successivamente, incendiavano l’abitacolo dell’automobile Ford Fiesta, in uso alla vittima, parcheggiata sulla pubblica INDIRIZZO
Tale ricostruzione è basata su prove costituite dalla testimonianza della vittima e dalle risultanze delle intercettazioni ambientali in corso sul suo veicolo.
Affermava COGNOME di essersi trovato, quel giorno, sull’automobile Toyota, guidata da COGNOME. COGNOME era seduto a fianco del conducente, COGNOME sul sedile posteriore. Reduci da una bevuta in una taverna, erano saliti sulla vettura, che aveva preso marcia. Durante il tragitto, COGNOME aveva riferito ai compagni di viaggio che correva voce che, in zona INDIRIZZO, entrambi erano andati a mangiare in una osteria e avevano pagato con una banconota falsa. Ne era nata una discussione animata, al cui apice COGNOME iniziava improvvisamente a colpire a coltellate, da tergo, ripetutamente e con forza, COGNOME. La vittima, in stato di ebbrezza alcolica al pari dei suoi interlocutori, aveva aperto lo sportello ed era fuggita a piedi, riuscendo a riguadagnare la propria automobile Ford Fiesta e a salirvi sopra, venendo però subito raggiunto dagli altri due uomini. Costoro avevano iniziato ad insultare COGNOME, invitandolo a scendere. COGNOME aveva aperto lo sportello e si era dato nuovamente alla fuga, lasciando il veicolo aperto. Raggiunta infine, rocambolescamente, l’abitazione della cognata, NOME COGNOME era stato soccorso e condotto in ospedale.
La Ford Fiesta veniva poi trovata incendiata.
A disvelare con nitidezza l’intento omicida, e a consentirne la compiuta qualificazione dal punto di vista giuridico, contribuivano, secondo i giudici del merito, gli esiti delle intercettazioni ambientali in atto quel giorno all’interno della predetta Ford Fiesta. Le microspie si erano infatti attivate quando COGNOME e COGNOME si erano avvicinati ad essa per darle fuoco. Nel corso del dialogo intercettato, COGNOME imprecava contro COGNOME, rimproverandogli di non essere riuscito ad uccidere COGNOME.
Riteneva la sentenza impugnata che COGNOME e COGNOME avessero dato fuoco alla Ford Fiesta al chiaro ed evidente fine di eliminare qualsivoglia traccia dell’azione da loro compiuta ai danni di COGNOME, non prestandosi le frasi intercettate ad alcun’altra possibile interpretazione. La conversazione dimostrava, inoltre, che gli imputati erano in possesso di un coltello.
Secondo la Corte di appello, certamente indicativo del dolo di omicidio era il condiviso auspicio che COGNOME potesse morire per dissanguamento, avendo COGNOME affermato di averlo colpito alla gola, rimasta indenne solo per la pronta reazione della vittima, riparatasi con l’avambraccio (che infatti aveva riportato ferite «penetranti», inferte con pressione per mezzo di un coltello).
5.2. Ricorre COGNOME per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di due motivi.
5.2.1. Violazione di legge in ordine all’affermazione di penale responsabilità per il delitto di tentato omicidio di cui al capo 3), ovvero in ordine alla sua mancata derubricazione in lesione personale.
Il referto medico rifletteva lesioni incompatibili con l’imputazione elevata.
Nella successiva conversazione con COGNOME COGNOME avrebbe accentuato la portata lesiva del suo gesto solo per darsi un tono. Si tratterebbe, del resto, di una «conversazione tra ubriachi».
L’arma era un semplice temperino, non avente attitudine letale.
Non sarebbe affatto certo che i colpi sferrati fossero indirizzati alla gola o al petto. Le dichiarazioni, rese posteriormente dalla vittima a terzi, sarebbero state volutamente «esagerate».
Gli aggressori erano in superiorità numerica e, se avessero voluto, avrebbero potuto bloccare le portiere dell’automobile di COGNOME, impedendogli di fuggire.
COGNOME aveva reagito in stato d’ira, innescato dalle affermazioni della persona offesa e da un’aggressione già subita. Vi sarebbe stata una perdita di autocontrollo, sfociata in colluttazione; reazione censurabile, ma non indicativa di intento omicida.
5.2.2. Vizio di motivazione quanto al reato di cui al capo 4), sotto il profilo del rilievo della fattispecie del secondo comma dell’art. 424 cod. pen. e del rilievo dell’aggravante del nesso consequenziale tra il reato in esame e il tentato omicidio.
Nessun incendio si sarebbe in realtà verificato, ma solo un piccolo rogo nell’abitacolo della vettura, inidoneo ad integrare il paradigma legale.
L’appiccamento del fuoco, inoltre, non sarebbe espressivo della volontà di nascondere l’esistenza del pregresso fatto di sangue, volontà non emergente dalle parole intercettate di COGNOME
6. NOME.
6.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, contestato al capo 43) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di sei anni e otto mesi di reclusione.
Secondo i giudici di merito, la famiglia mafiosa di Borgo INDIRIZZO, approfittando del seguito popolare legato alla festa patronale del quartiere e per affermare il suo controllo sul territorio di riferimento, monopolizzava l’organizzazione delle manifestazioni canore stabilendo quali cantanti ingaggiare e quale fosse il loro compenso; la consorteria, inoltre, autorizzava i commercianti ambulanti a vendere i loro prodotti nel corso della festa, stabilendo anche la loro disposizione sulla pubblica via.
La festa in onore di Madre Sant’Anna costituiva occasione propizia allo sviluppo delle attività criminali dell’associazione e, in particolare, delle estorsioni ai danni di titolari e gestori di attività commerciali, di fatto costretti, a pena di ritorsioni, a contribuire economicamente all’organizzazione della festa attraverso ‘riffe’ e ‘sponsorizzazioni’, i cui proventi confluivano, in parte, nelle casse della famiglia e, in parte, servivano per pagare i compensi degli artisti chiamati ad esibirsi.
In questo contesto si colloca l’accusa, mossa al ricorrente, di avere posto continuativamente in essere, pur in assenza di una vera e propria affiliazione mafiosa, una serie di condotte agevolatrici del sodalizio rispetto al fine da esso perseguito, quello di assicurarsi il controllo del territorio, delle attività economiche ivi svolte e, in modo specifico, delle manifestazioni canore della festa patronale.
Buongiorno avrebbe preso disposizioni da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in merito all’ingaggio dei cantanti neomelodici scelti dai predetti, attenendosi alle indicazioni sui nominativi, sui rispettivi compensi e sul luogo ove allocare il palco delle manifestazioni; Buongiorno, inoltre, si sarebbe messo a disposizione del sodalizio per ‘avvicinare’ i titolari e gestori di attività commerciali del Borgo e del INDIRIZZO per chiedere la ‘sponsorizzazione’ delle manifestazioni canore mediante la corresponsione di somme di denaro, ponendo in essere condotte impositive.
Ciò avrebbe fatto ottenendo, in cambio, il vantaggio di lavorare in regime di monopolio nel settore della organizzazione degli eventi canori e dunque nel settore territoriale di competenza della famiglia mafiosa.
A riprova dell’assunto stanno, secondo la sentenza impugnata: 1) le captazioni che vedono coinvolto, direttamente e indirettamente, l’odierno imputato, la lettura dei cui dialoghi consentirebbe di affermare, con certezza, che Buongiorno intrattenesse consolidati e costanti rapporti con i membri dell’associazione e frequentasse spesso l’abitazione di NOME COGNOME discutendo con i sodali le strategie da adottare nella organizzazione delle manifestazioni canore; 2) le dichiarazioni, a riscontro, dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME giudicate attendibili.
6.2. Ricorre Buongiorno per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di due motivi.
6.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine all’affermazione di penale responsabilità per il reato di concorso esterno.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di esattamente individuare le note modali della condotta e i correlativi dati sintomatici del preteso effettivo contributo dato dal ricorrente al sodalizio mafioso.
I suoi contatti con soggetti contigui od organici alla cosca e le frequentazioni ambigue del medesimo non sarebbero sufficienti per l’integrazione del reato. L’organizzazione di eventi canori, da parte del ricorrente, era sempre avvenuta sotto il controllo delle autorità preposte. Il fatto che l’organizzazione avvenisse con l’appoggio e la protezione dell’organizzazione mafiosa (famiglia di Borgo Vecchio), alla quale l’imputato avrebbe versato parte degli incassi, sarebbe totalmente indimostrato, e in particolare non si ricaverebbe né dalle captazioni, di cui la Corte di appello avrebbe offerto una lettura fuorviante e travisata, né dalle generiche affermazioni del collaboratore di giustizia COGNOME o da quelle confuse e non decisive del collaboratore COGNOME, smentite dalle investigazioni testimoniali difensive.
6.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
Il motivo passa in rassegna i criteri giurisprudenziali che presidiano il tema, cui la sentenza impugnata non si sarebbe attenuta.
7. NOME COGNOME.
7.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione all’associazione mafiosa armata (famiglia di Borgo Vecchio), contestato al capo 2) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di otto anni di reclusione.
Secondo la sentenza impugnata, il ricorrente era fattivamente impegnato a gestire le attività criminali della cosca mafiosa ed era appieno coinvolto nelle dinamiche dell’associazione, con particolare riferimento alla celebrazione della festa in onore di Sant’Anna, patrona del quartiere, tramite la quale la cosca come sopra – riaffermava la propria egemonia criminale trasformando la manifestazione religiosa in una occasione di guadagno e imponendo estorsioni mascherate da ‘sponsorizzazioni’ e ‘riffe’.
La prova dell’intraneità associativa è ricavata da captazioni e da servizi di osservazione.
7.2. Ricorre COGNOME per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
7.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo della condotta di partecipazione associativa.
La Corte di appello, così come il primo giudice, avrebbero dovuto approfondire la natura dei rapporti di conoscenza tra il ricorrente e i malavitosi di INDIRIZZO, tra cui in particolare NOME COGNOME. Tra i due vi sarebbe stato un rapporto di risalente vicinanza, favorita dal comune radicamento territoriale e dalla comune estrazione sociale, tuttavia non
connotato da caratteristiche tali da poterlo ricondurre ad indice di affiliazione alla cosca.
L’imputato non era coinvolto nelle dinamiche di essa, non partecipava alle riunioni né alle conseguenti decisioni. Dalla lettura delle conversazioni captate emergerebbero, peraltro, numerosi contrasti tra i due uomini in merito alle più disparate vicende.
Il motivo ripercorre il contenuto di alcune captazioni, offrendone una lettura divergente da quella recepita dai giudici del merito. A tutto concedere, il ricorrente sarebbe stato persona ‘contigua’ al sodalizio criminale, appartenente alla ‘zona grigia’ non penalmente rilevante ex art. 416bis cod. pen.
7.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla negata sussumibilità delle condotte sopra descritte nel paradigma del mero concorso esterno.
7.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo, anche nei confronti di COGNOME, dell’aggravante del carattere armato dell’associazione.
8. NOME COGNOME.
8.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di detenzione e cessione di sostanza stupefacente del tipo hashish, contestato al capo 30) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di due anni di reclusione e 5.333 euro di multa.
La sostanza in questione, secondo la ricostruzione giudiziale, era acquistata da NOME COGNOME ma, risultando di cattiva qualità, veniva in parte successivamente restituita all’imputato che ne era il fornitore.
8.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite dei difensori di fiducia avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
8.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità.
L’episodio di detenzione e spaccio sarebbe totalmente indimostrato.
Le fotografie depositate in atti dalla difesa attesterebbero come il ricorrente non fosse presente sui luoghi al momento della «riconsegna dello stupefacente di scarsa qualità»; sarebbe stato questo un elemento decisivo per la configurazione del reato, poiché i giudici del merito avevano sempre sostenuto -sulla scorta di quanto scritto dalla polizia giudiziaria nella comunicazione della notizia di reatoche COGNOME era stato invitato a tornare a riprendersi la droga perché (a parere dell’acquirente) inutilizzabile e che lo stesso l’aveva poi rivenduta a fantomatici «clienti di un comune limitrofo a Palermo».
I fotogrammi richiamati dalla sentenza impugnata immortalavano, invece, l’imputato in una diversa fase della giornata ed erano la dimostrazione certa ed inequivocabile che questi non potesse essere il personaggio che la polizia giudiziaria riferirà di avere visto ritornare in serata (diversa sarebbe l’altezza, la struttura fisica, il taglio di capelli e l’abbigliamento tra le due persone effigiate).
Se COGNOME dunque, era il soggetto che conversava con i correi all’interno dell’appartamento di uno di loro, chiaramente egli non poteva essere il personaggio immortalato dai video della sorveglianza nella prima serata mentre era in strada in attesa.
Le conversazioni captate non dimostrerebbero il contrario.
Non si rinverrebbero, dunque, gli estremi di una condotta punibile, né direttamente, né nella forma concorsuale ex art. 110 cod. pen.
La motivazione sarebbe tutta orientata a «narrare», anziché «spiegare», e sarebbe priva di adeguato confronto con i rilievi difensivi.
8.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione della condotta ai sensi del comma 5 dell’art. 73 T.U. stup., in rapporto alla non accertata quantità dello stupefacente, alla sua scarsa qualità e allo stato di incensuratezza del ricorrente.
La Corte di merito avrebbe motivato indistintamente, sul punto, rispetto al ricorrente e ad altro correo, che incensurato non sarebbe, e la giurisprudenza delle Sezioni unite è orientata nel senso che l’attenuante della lieve entità del fatto può essere riconosciuta anche solo rispetto a taluno dei concorrenti.
8.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, giustificato alla stregua di inesistenti pregiudizi penali e nonostante non emergessero circostanze ostative.
9. NOME COGNOME.
9.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di acquisto di sostanza stupefacente del tipo hashish, contestato al capo 45) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di un anno e quattro mesi di reclusione e 3.443 euro di multa.
La sostanza in questione, secondo la ricostruzione giudiziale, era all’imputato ceduta da NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME.
9.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di unico motivo.
In esso si deduce vizio della motivazione.
L’affermazione di penale responsabilità sarebbe frutto del travisamento della prova. Non sarebbe certa l’identificazione dell’imputato nel soggetto,
soprannominato COGNOME, che secondo le intercettazioni era salito in casa Ingarao portando il denaro necessario per l’acquisto della partita di droga.
10. NOME COGNOME.
10.1. È stato riconosciuto colpevole dei reati di tentato omicidio aggravato e di danneggiamento seguito da incendio, contestati ai capi 3) e 4) della rubrica, uniti in continuazione.
È stato condannato alla pena finale di otto anni e quattro mesi di reclusione.
Per la ricostruzione dell’occorso si rimanda al § 5.1.
10.2. Ricorre COGNOME per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di dieci motivi.
10.2.1. Violazione di legge.
L’imputato aveva chiesto il rito abbreviato, condizionato all’audizione della vittima del tentato omicidio, COGNOME. Il diniego, frapposto dal G.u.p., validato dalla Corte territoriale, sarebbe lesivo del diritto dell’accusato di fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a carico, prevalente sulle esigenze di celerità del rito abbreviato.
Sarebbe stato importante sentire COGNOME per chiarire che COGNOME aveva agito d’impulso e che l’episodio era stato sopravvalutato nella sua valenza penalistica.
10.2.2. Vizio di motivazione in ordine alle caratteristiche di idoneità ed inequivocità degli atti nella pretesa direzione del tentato omicidio.
Tali caratteristiche non sarebbero riscontrabili, alla luce del mezzo usato e relativa natura, della parte del corpo attinta, delle lesioni inferte e relativa gravità.
10.2.3. Vizio di motivazione in ordine al rilevato concorso morale dell’imputato nel tentato omicidio.
COGNOME non sarebbe stato in alcun modo l’istigatore di COGNOME, la cui reazione il ricorrente non avrebbe potuto nemmeno antevedere. Sino ad un attimo prima, infatti, il clima nell’autovettura era sereno.
COGNOME, ad aggressione perpetrata, aveva intimato ad entrambi di cessare le ostilità e aveva fermato l’automobile, così consentendo a COGNOME di fuggire.
Quando COGNOME si era lamentato con COGNOME per non essere riuscito ad uccidere COGNOME, in realtà lo stava apostrofando con ironia per avere tentato un’azione scellerata che aveva colto di sorpresa lo stesso ricorrente.
10.2.4. Vizio ulteriore di motivazione sulla ricostruzione della vicenda di cui al capo 3). Se fosse realmente esistito un accordo tra d’COGNOME e COGNOME per uccidere COGNOME, l’esecuzione del reato sarebbe stata meglio orchestrata.
10.2.5. Vizio di motivazione sull’esistenza del dolo di concorso, frutto di errata interpretazione delle intercettazioni ambientali.
Il rilevato dolo d’impeto in capo a COGNOME sarebbe, esso stesso, incompatibile con il dolo di concorso.
10.2.6. Vizio di motivazione in ordine al rilievo dell’aggravante dei futili motivi, assunta quasi a rimedio dell’altrimenti insuperabile aporia dell’assenza di movente.
10.2.7. Vizio di motivazione in ordine al rilievo dell’ulteriore aggravante della minorata difesa.
10.2.8. Vizio di motivazione, quanto al reato di cui al capo 4), in ordine al rilievo dell’aggravante del nesso consequenziale ex art. 61, n. 2), cod. pen.
L’automobile incendiata non era, infatti, quella ove era avvenuta l’aggressione.
10.2.9. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
10.2.10. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente della desistenza volontaria o del recesso attivo, a parere del ricorrente alternativamente sussistenti nell’occorso.
11. NOME COGNOME
11.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contestato al capo 29) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di sei anni e otto mesi di reclusione.
Per la ricostruzione dell’occorso si rimanda al § 3.1.
11.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
11.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’associazione di narcotraffico di cui al capo 29) e in ordine alla ritenuta partecipazione ad essa del ricorrente.
Dell’associazione mancherebbero (o non sarebbero provati) gli elementi costitutivi, atteso che non sarebbe ravvisabile alcun gruppo stabilmente aggregato per il compimento di una serie indeterminata di delitti in materia di stupefacenti.
L’inserimento del ricorrente nella compagine sarebbe poi totalmente indimostrato. NOME era stato intercettato in sole due occasioni in compagnia degli Ingarao, dal che l’assenza di un suo ruolo attivo e stabile, caratterizzato da affectio societatis . L’imputato compariva nelle intercettazioni (di breve durata) tardivamente e marginalmente, non essendo sostenibile che svolgesse i compiti
di fiduciario del capo dell’organizzazione, anche per l’omessa contestazione di reati-fine.
La prova indiziaria complessiva di partecipazione associativa sarebbe troppo debole. Al più, si dovrebbe parlare di connivenza non punibile, o di favoreggiamento.
Mancherebbe, altresì, il dolo di partecipazione.
Sarebbe infine improprio valorizzare, in chiave di riconoscimento della penale responsabilità, la sua storia passata.
11.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione della condotta ai sensi del comma 6 dell’art. 74 T.U. stup., in rapporto alla lieve entità delle programmate condotte illecite, da apprezzare in rapporto all’intero fenomeno di spaccio concretamente rilevato.
11.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante del danno di lieve entità, delle attenuanti generiche e dell’attenuante della minima partecipazione, nonché in ordine alla dosimetria della pena.
12. NOME COGNOME.
12.1. È stato riconosciuto colpevole del reato associativo contestato al capo 1), derubricato come condotta di mera partecipazione al sodalizio (famiglia mafiosa di Borgo Vecchio).
È stato condannato, previo riconoscimento della continuazione esterna con altri delitti, alla pena finale di quattordici anni, otto mesi e quattordici giorni di reclusione.
Secondo la sentenza impugnata il ricorrente, già pregiudicato per il medesimo reato associativo, aveva ulteriormente militato nel sodalizio con accesso alla cassa della famiglia mafiosa, di cui aveva piena disponibilità, intrattenendo altresì stretti rapporti di colleganza malavitosa con i fratelli COGNOME.
Il costituto probatorio è costituito da intercettazioni.
12.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di sei motivi.
12.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla rilevata partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa operante in INDIRIZZO
Il motivo richiama i principi giurisprudenziali che concorrono a definire il concetto di partecipazione penalmente rilevante, negando la configurabilità di quest’ultima nella specie, per mancanza di un «contributo effettivo, concreto e visibile» apportato dal ricorrente alla vita dell’organizzazione, a nulla valendo che l’intraneità associativa fosse stata ritenuta per periodi temporali antecedenti. La
presunzione assoluta di perduranza nel tempo del vincolo associativo, salvo espressa dissociazione, è stata infatti espunta dall’ordinamento per effetto di Corte cost. n. 253 del 2019 e Corte EDU 13 giugno 2019, Viola.
In realtà, dei tanti collaboratori di giustizia, ex esponenti della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, che avevano reso dichiarazioni nell’ultimo ventennio, nessuno aveva indicato il ricorrente come intraneo a Cosa nostra. E, passando la prova di penale responsabilità solo attraverso gli esiti di intercettazioni, la loro valutazione dovrebbe essere particolarmente rigorosa, come nella specie non sarebbe avvenuto.
12.2.2. Vizio di motivazione in ordine al rilievo dell’aggravante del carattere armato dell’associazione.
La disponibilità delle armi in capo alla consorteria di Borgo Vecchio non sarebbe attendibilmente accertata, né COGNOME sarebbe stato comunque a conoscenza della circostanza.
Il ricorso al notorio non sarebbe ammesso in materia.
Nessun’arma risultava mai impiegata nelle vicende per cui è processo.
Anche per gli accidentalia delicti varrebbe il principio di offensività.
12.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo della recidiva, reiterata, specifica e infraquinquennale.
12.2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla misura della pena all’esito della rilevata continuazione esterna.
Il reato più grave sarebbe quello di associazione di stampo mafioso già giudicato (essendo la relativa condotta dotata di disvalore maggiore), e non quello odierno.
La misura della pena base relativa a quest’ultimo sarebbe comunque eccessiva.
Gli aumenti per i reati satellite sarebbero stati calcolati in misura indebitamente cumulativa.
12.2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione ancora in ordine alla misura della pena conseguente alla rilevata continuazione esterna, con censure che investono l’erronea individuazione della pena base, l’eccessivo aumento per la continuazione e l’inadeguata giustificazione delle relative quantificazioni.
12.2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’applicazione della libertà vigilata, non preceduta dall’accertamento concreto della pericolosità sociale.
13. NOME COGNOME.
13.1. È stato riconosciuto colpevole, per quanto di interesse ulteriore in questa sede, del reato di partecipazione all’associazione mafiosa armata
(famiglia di Borgo Vecchio), contestato al capo 2) della rubrica, e delle estorsioni-fine aggravate, consumate o tentate, di cui ai capi:
5), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
7), ai danni dell’esercizio commerciale RAGIONE_SOCIALE;
8), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
9), ai danni di NOME COGNOME titolare della trattaria COGNOME;
10), ai danni di NOME COGNOME;
12), ai danni dell’impresa edile COGNOME Davide;
13), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
20), ai danni dell’impresa RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME.
È stato condannato, previo riconoscimento della continuazione interna tra detti reati e di quella interna ed esterna con delitti ulteriori, alla pena finale di venti anni di reclusione.
Secondo la ricostruzione giudiziale, COGNOME era addetto, assieme a NOME COGNOME entrambi affiliati alla cosca mafiosa, alle attività prettamente estorsive della medesima, poste in essere in pregiudizio di commercianti e altri imprenditori.
La disamina delle prove raccolte in ordine alle singole estorsioni (dichiarazioni delle persone offese, attività tecniche d’intercettazione, servizi di osservazioni, immagini di videosorveglianza) consentiva di collegare le medesime alla famiglia di Borgo Vecchio e al contempo disvelava la piena intraneità associativa dei rispettivi autori.
13.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di sette motivi.
13.2.1. Sovrapponibile al primo motivo del ricorso COGNOME
13.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità con riferimento ai reati di estorsione, consumata o tentata, di cui ai capi sopra indicati.
Si tratterebbe di vicende estorsive in cui, secondo la stessa sentenza impugnata, l’imputato non si sarebbe esposto in prima persona, facendosi scudo di COGNOME.
Il ragionamento sarebbe inaccettabile.
Al di là di una presenza meramente defilata e a distanza, penalmente irrilevante perché non determinante alcun turbamento o timore negli offesi, null’altro sarebbe addebitabile all’imputato. Nessun contributo egli avrebbe dato ai fatti di reato in esame, essendosi limitato ad accompagnare sui luoghi COGNOME e ad attenderlo al bar, con conseguente insussistenza di responsabilità concorsuale per totale difetto dei relativi estremi.
13.2.3. Sovrapponibile al secondo motivo del ricorso COGNOME
13.2.4. Sovrapponibile al terzo motivo del ricorso COGNOME
13.2.5. Sovrapponibile al quarto motivo del ricorso COGNOME.
13.2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche. Sovrapponibile, nel resto, al quinto motivo del ricorso COGNOME
13.2.7. Sovrapponibile al sesto motivo del ricorso COGNOME.
14. NOME COGNOME.
14.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contestato al capo 29) della rubrica, e dei reati-fine di cui ai capi 31), 32) e 33), uniti in continuazione.
È stato condannato alla pena finale di otto anni di reclusione.
Per la ricostruzione delle vicende di tipo associativo si rimanda al § 3.1.
Gli acquisti e/o le cessioni di stupefacente, parti integranti del narcotraffico gestito dal sodalizio, riguardavano hashish.
Il costituto probatorio è costituito da intercettazioni.
14.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
14.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo della partecipazione del ricorrente al sodalizio di narcotraffico, desunta dal mero intrattenimento di rapporti, asseritamente strutturali, con soggetti appartenenti al sodalizio, e/o coinvolti nello spaccio, che sarebbero tuttavia, essenzialmente e solo, suoi prossimi congiunti.
Le conversazioni intercettate non delineerebbero alcun ruolo particolarmente attivo nello spaccio organizzato (in effetti, solo tre reati fine erano stati contestati) quanto, semmai, l’esercizio di attività illecite in proprio, in concorrenza.
14.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità sui reati-fine di cui ai capi 31), 32) e 33).
In nessuna delle vicende contestate sarebbe stata osservata la ricezione/consegna di sostanza drogante, da parte del ricorrente, in cambio di denaro; né il ricorrente sarebbe mai stato trovato in possesso di stupefacente, mai sequestrato.
Saremmo in presenza di droga solo ‘parlata’ (mere conversazioni intercettate).
14.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena.
NOME COGNOME.
15.1. È stato riconosciuto colpevole del reato associativo contestato al capo 1), derubricato come condotta di mera partecipazione al sodalizio (famiglia mafiosa di Borgo Vecchio) e di una serie di reati-fine corrispondenti.
È stato altresì riconosciuto colpevole del reato di direzione di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contestato al capo 29) della rubrica, e di una serie di reati-fine corrispondenti, tra cui quello di cui al capo 33).
È stato condannato, con la continuazione interna, alla pena finale di sedici anni, dieci mesi e venti giorni di reclusione.
Secondo la ricostruzione giudiziale, COGNOME faceva parte integrante della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio. Molte delle conversazioni ambientali captate nell’ambito del procedimento odierno si erano svolte proprio nell’abitazione dell’imputato, oggetto peraltro di una costante attività di monitoraggio ed osservazione di polizia giudiziaria, che aveva permesso di appurare come all’interno dell’abitazione medesima si erano tenute molteplici riunioni di interesse associativo, relative alle condotte delittuose del sodalizio.
COGNOME che si trovava agli arresti domiciliari, aveva più volte rivendicato l’aiuto e il sostegno economico dovuto ai sodali in stato di detenzione.
Egli costituiva, altresì, punto di riferimento e svolgeva un ruolo di intermediazione anche rispetto ai privati cittadini del quartiere, che si rivolgevano alla cosca invocando la sua protezione e il suo intervento risolutivo.
Per la ricostruzione delle vicende relative all’associazione di narcotraffico si rimanda al § 3.1.
15.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di quattro motivi.
15.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del delitto di partecipazione ad associazione mafiosa.
Mancherebbe, nella sentenza impugnata, una specifica indicazione delle riunioni rilevanti per la vita associativa, che, in tesi accusatoria, si sarebbero svolte presso l’abitazione ove il ricorrente era in arresti domiciliari.
Le richieste di sostentamento economico, avanzate dall’imputato allo zio, NOME COGNOME, all’epoca reggente della famiglia del Borgo Vecchio, non sarebbero connesse alla pregressa militanza associativa e non sarebbero espressive di un contributo dinamico-funzionale attuale alla vita dell’organizzazione, richiesto per l’integrazione del reato. Da una specifica conversazione intercettata tra i due sarebbe dato comprendere solo l’esistenza di una progettualità futura di inserimento all’interno di Cosa nostra.
Non risulterebbe alcun intervento risolutore o altrimenti significativo del ricorrente nella vita associativa; veniva deciso tutto dallo zio NOME COGNOME che non riconosceva all’imputato autorevolezza alcuna.
L’affiliazione alla cosca non avrebbe potuto prescindere dalla volontà di chi già partecipava all’associazione e la dirigeva, qui mancante.
Nessuna permanente disponibilità dell’accolito, o presunto tale, a servizio dell’organizzazione si ricaverebbe dagli atti.
15.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del delitto di partecipazione qualificata ad associazione dedita al narcotraffico.
Il ricorrente era stato arrestato nel corso dell’operatività della pretesa associazione, che non ne avrebbe affatto risentito.
Quest’ultima non sarebbe mai esistita come tale, essendo i pretesi reati-fine stati commessi in un arco temporale molto ristretto ed apparendo essi frutto di accordi occasionali, dettati dalla contingenza.
La struttura operativa sottostante non avrebbe avuto alcuna stabilità. Il numero assai modesto di transazioni illecite, nel motivo ripercorse, confermerebbe l’assunto.
Non vi sarebbero dunque elementi concreti per il ‘salto’ di fattispecie (dal riscontro mero di una pluralità di condotte ex 73 T.U. stup. alla configurabilità di un vero e proprio sodalizio).
In ogni caso non sarebbe adeguata la motivazione sul ruolo direttivo ascritto al ricorrente.
15.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo del carattere armato dell’associazione di cui al capo 1).
Sarebbe inesatto sostenere che qualunque soggetto che entri in un’associazione mafiosa armata debba, per ciò solo, rispondere del reato così aggravato.
La giurisprudenza escluderebbe che per l’imputazione dell’aggravante sia sufficiente il mero riferimento alla notorietà della dotazione di armi in capo al sodalizio storico.
Nel processo nessuna accusa di detenzione o impiego di armi era stata, d’altra parte, formulata.
15.2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo dell’aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente, inerente il reato di cui al capo 33).
Il mero superamento aritmetico del valore soglia non sarebbe dirimente. Occorrerebbe guardare alla pericolosità della condotta. Si tratterebbe, comunque, di droga mai sequestrata, onde l’impossibilità di stabilire anche i quantitativi reali.
16. NOME COGNOME.
16.1. È stato riconosciuto colpevole del reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contestato al capo 29) della rubrica, e del reato-fine di cui al capo 33), uniti in continuazione.
È stato condannato alla pena finale di sette anni e quattro mesi di reclusione.
Per la ricostruzione delle vicende di tipo associativo si rimanda al § 3.1.
La condotta di cessione di stupefacente, parte integrante del narcotraffico gestito dal sodalizio, riguardava hashish.
Il costituto probatorio è costituito da intercettazioni.
16.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di quattro motivi.
16.2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità relativa al reato associativo.
Si lamenta l’illegittimo uso circolare della prova e la lettura distorta delle emergenze probatorie, e in particolare delle intercettazioni, che sarebbero in parte riferite ad epoca antecedente la pretesa affiliazione.
L’inserimento organico del ricorrente sarebbe stato dedotto dalle condanne per soli tre reati-fine. Non si sarebbe considerato che, se un inserimento di tal genere fosse intervenuto, molte altre condotte di cessione avrebbero dovuto essere rilevate.
All’imputato sarebbe stato arbitrariamente attribuito il ruolo di cassiere.
Altrettanto arbitraria sarebbe l’attribuzione del ruolo di supporto al fratello NOME.
Si denuncia il fatto che la sentenza impugnata avrebbe delineato un’impropria forma di responsabilità oggettiva di tipo familiare, in contrasto con l’art. 27, primo comma, Cost.
Da ultimo, ci si duole del mancato inquadramento nel paradigma di cui all’art. 74, comma 6, T.U. stup. (associazione dedita a condotte di lieve entità).
16.2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità relativa al reato di cui al capo 33).
Erroneamente la Corte di appello avrebbe desunto dalla mera presenza del ricorrente presso l’abitazione del fratello NOME, peraltro indimostrata, un suo ruolo fattivo ed operativo nella consumazione del reato in esame.
Detta presenza, in caso, sarebbe stata sempre e solo posteriore alla consumazione.
Nessun sequestro era stato mai operato e si era di fronte a droga solo ‘parlata’, sicché le stesse conversazioni captate apparivano prive di riscontro.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata redatta ‘in ciclo stile’.
16.2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo dell’aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente, inerente il reato di cui al capo 33).
Il riferimento alla «massiccia immissione nel mercato palermitano di sostanza stupefacente» sarebbe assertivo e inconcludente, non essendo stato possibile verificare la qualità, il grado di purezza, la capacità dogante e la quantità di sostanza riferibile alla specifica condotta di causa.
16.2.4. Assenza grafica di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
17. NOME COGNOME.
17.1. È stato riconosciuto colpevole, per quanto di interesse in questa sede, del reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contestato al capo 29) della rubrica, nonché dell’estorsione di cui al capo 40), in forma solo tentata.
È stato condannato, con la continuazione interna tra tutti i reati accertati a suo carico, alla pena finale di sette anni e sei mesi di reclusione.
Per la ricostruzione della partecipazione associativa si rimanda al § 3.1. Il costituto probatorio è costituito da intercettazioni.
17.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per mezzo del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME sulla base di due motivi.
17.2.1. Vizio di motivazione sui capi 29) e 40).
Quanto al primo, COGNOME sarebbe responsabile di una condotta meramente esecutiva, come ‘staffetta’ per il trasporto di stupefacente. Asserito stupefacente, sottolinea la difesa ricorrente, posto il mancato sequestro di quantitativo alcuno di sostanza e l’estrema concentrazione dell’attività di intercettazione (solo due giorni: 24 e 25 febbraio 2020).
In realtà, più che di ruolo marginale occorrerebbe parlare di assoluta carenza di elementi qualificanti l’inquadramento nella fattispecie associativa.
In particolare, sarebbero carenti i seguenti requisiti: a) l’esistenza di un gruppo i cui membri siano consapevolmente aggregati per il compimento di una serie di delitti; b) l’organizzazione di beni economici e attività personali in funzione di ciò; c) sotto il profilo soggettivo, un apporto individuale apprezzabile e non episodico.
Sul punto, così come in ordine al reato di cui al capo 40), la sentenza impugnata sposerebbe acriticamente le errate conclusioni del giudice di primo grado.
17.2.2. Vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.
18. NOME COGNOME
18.1. È stato riconosciuto colpevole, ma in forma solo tentata, del reato di acquisto di sostanza stupefacente del tipo hashish, contestato al capo 47) della rubrica, limitatamente alla condotta del 26 febbraio 2020.
È stato condannato alla pena finale di due anni di reclusione e 5.164 euro di multa.
La sostanza in questione, secondo la ricostruzione giudiziale, era ceduta all’imputato da NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME.
Il costituto probatorio era costituito da intercettazioni.
18.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME sulla base di due motivi.
18.2.1. Vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità.
Sarebbe incerta l’identificazione stessa del ricorrente quale soggetto presente nell’abitazione di Ingarao. Il riconoscimento di polizia giudiziaria non risulterebbe attendibile.
18.2.2. Vizio di motivazione sulla dosimetria della pena.
19. NOME COGNOME.
19.1. È stato ritenuto colpevole, per quanto di ulteriore rilievo in questa sede, del reato di estorsione aggravata di cui al capo 39) della rubrica.
È stato condannato, con la continuazione interna con l’ulteriore reato di ricettazione accertato a suo carico, alla pena finale di cinque anni, tre mesi e venti giorni di reclusione e 1.400 euro di multa.
I giudici di merito hanno ritenuto NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME in concorso tra loro, responsabili di estorsione aggravata ai danni di NOME COGNOME, costretto a pagare una somma di denaro per la restituzione di un motociclo rubatogli.
La pronuncia di colpevolezza poggia sulle captazioni svoltesi a partire dal 2 giugno 2019, allorquando emergeva la vicenda del furto del motociclo in questione, che vedeva coinvolto COGNOME in qualità di intermediario per la restituzione. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, infatti, COGNOME riceveva nella sua abitazione la visita di NOME COGNOME, zio di NOME COGNOME, il quale gli chiedeva di mediare con gli autori del furto del motociclo di proprietà di suo nipote affinché questi potesse rientrarne in possesso. Gli autori materiali del furto, poi risultati essere NOME COGNOME ed NOME COGNOME, avevano inizialmente richiesto – tramite il meccanismo del cosiddetto ‘cavallo di ritorno’ – il pagamento di 400 euro; grazie all’intermediazione di COGNOME, NOME COGNOME riusciva ad ottenere la riconsegna del mezzo, per conto di suo nipote, pagando
solo 300 euro (delle quali 200,00 venivano destinate agli autori del furto e la somma di 100 euro veniva intascata da COGNOME per la mediazione).
19.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
19.2.1. Vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità.
Sarebbe interamente travisata la lettura della conversazione intercettata su cui il verdetto di colpevolezza si è basato, giacché il ricorrente potrebbe (a tutto concedere) essere individuato come l’autore del furto, mentre nessun elemento lo chiamerebbe in causa rispetto all’ipotizzato ‘cavallo di ritorno’, alle relative discussioni avendo egli solo passivamente assistito.
Il motivo ripercorre i dialoghi intercettati per validare l’assunto, segnalando anche l’assenza di servizi di pedinamento e/o osservazione che accreditino l’ipotesi accusatoria.
19.2.2. Assenza grafica di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e al rilievo della recidiva.
19.2.3. Erroneità del calcolo relativamente alla pena.
Il quantum finale, antecedente la riduzione di un terzo per il rito abbreviato (anni 8 mesi 3 di reclusione ed euro 2.800 di multa), non corrisponde al risultato delle operazioni aritmetiche precedentemente illustrate (pari ad anni 7 mesi 10 di reclusione ed euro 2.100 di multa).
20. NOME COGNOME.
20.1. È stato ritenuto colpevole dei medesimi reati ascritti a Matranga.
È stato condannato, con la continuazione interna, alla pena finale di sette anni, quattro mesi e ventisei giorni di reclusione e 1.482 euro di multa.
20.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME sulla base di unico motivo.
In esso si deduce il vizio di motivazione in ordine alla dosimetria della pena.
21. NOME COGNOME.
21.1. È stato ritenuto colpevole del reato di estorsione aggravata di cui al capo 55) della rubrica.
È stato condannato alla pena finale di quattro anni e otto mesi di reclusione e 3.333 euro di multa.
L’estorsione è stata riscontrata per essersi COGNOME presentato presso l’abitazione palermitana di NOME COGNOME per avere dapprima minacciato di percuotere NOME COGNOME, amico di COGNOME e da quest’ultimo già autorizzato a dimorare in detto immobile, e per avere quindi effettivamente colpito NOME
con calci e schiaffi, così costringendolo ad abbandonare la casa, della quale l’imputato si appropriava, anche cedendola in godimento a terzi, per poi in seguito impedire a NOME di rientrarne in possesso, se non dietro ingiusto pagamento di una somma di denaro, oggetto di profitto ingiusto in altrui danno.
21.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avvocati NOME e NOME COGNOME sulla base di unico motivo.
In esso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, quanto all’affermazione di penale responsabilità.
I punti critici, segnalati dalla difesa, sarebbero la credibilità soggettiva delle dichiarazioni rese dalle persone offese (NOME COGNOME e NOME COGNOME) e l’erronea riconduzione del fatto al modello legale dell’estorsione.
Su quest’ultimo aspetto, la condotta che, in tesi accusatoria, COGNOME avrebbe posto in essere ai danni di NOME mancherebbe di quel coefficiente minimo di violenza, in grado di impegnare la fattispecie contestata.
Né sarebbe logicamente provato il fine estorsivo (l’abitazione, a condotta esaurita, sarebbe rimasta disabitata e nella disponibilità della medesima persona offesa).
22. NOME COGNOME.
22.1. È stato riconosciuto colpevole, per quanto di interesse ulteriore in questa sede, del reato di partecipazione all’associazione mafiosa armata (famiglia di Borgo Vecchio), contestato al capo 2) della rubrica, e delle estorsioni-fine aggravate, consumate o tentate, di cui ai capi:
5), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
6), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
7), ai danni dell’esercizio commerciale RAGIONE_SOCIALE;
8), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
9), ai danni di NOME COGNOME titolare della trattaria COGNOME;
11), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
12), ai danni dell’impresa edile COGNOME Davide;
13), ai danni di RAGIONE_SOCIALE;
17), ai danni dell’impresa edile COGNOME NOME;
19), ai danni dell’impresa edile COGNOME Mario;
20), ai danni dell’impresa RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME;
21), ai danni del locale RAGIONE_SOCIALE;
24), ai danni dell’impresa edile RAGIONE_SOCIALE
È stato condannato, previo riconoscimento della continuazione interna tra detti reati e quello ulteriore di danneggiamento accertato a suo carico, alla pena finale di tredici anni e sei mesi di reclusione.
Per l’evocazione del contesto criminoso di cui sopra si rimanda al § 13.1.
22.2. Ricorre l’imputato per cassazione, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME sulla base di ventitré motivi, come di seguito riordinati.
22.2.1. Primo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, quanto all’affermazione di penale responsabilità in ordine al reato di partecipazione a Cosa nostra, famiglia di Borgo Vecchio.
La condotta di vita dell’imputato e il suo profilo personologico non consentirebbero di classificarlo come ‘uomo d’onore’; egli, mai in precedenza inquisito o condannato per il reato in esame, non era neppure originario del quartiere in cui la consorteria si radicava, né vi aveva mai risieduto, sicché sarebbe incredibile che il clan gli affidasse, un mese dopo la scarcerazione, nientemeno che la riscossione del ‘pizzo’. Non vi era traccia di una ‘rituale’ affiliazione. L’appartenenza all’organizzazione postula il rispetto di rigidi obblighi, tali da comporre una sorta di ‘codice mafioso’, al cui disciplinare gli atti e i comportamenti del ricorrente non sarebbero stati conformi (uso di stupefacenti, abuso di alcol, situazione familiare non ‘cristallina’, inclinazione a commettere reati comuni). Non sarebbe stata adeguatamente provata l’ affectio societatis .
Per corroborare l’assunto il ricorrente ripercorre sia i contenuti delle informative di polizia giudiziaria su talune tentate estorsioni ai danni di imprese edili (contenuti che – rettamente intesi – dimostrerebbero come COGNOME agisse in autonomia rispetto alla mafia), sia taluni passaggi di conversazioni intercettate (il cui significato la Corte di appello avrebbe travisato).
Né il subito accoltellamento di cui al capo 3) della rubrica, rispetto al quale l’imputato si è costituito parte civile, dimostrerebbe alcunché circa la sua intraneità a Cosa nostra.
22.2.2. Secondo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, quanto alla qualificazione delle estorsioni, consumate e tentate, come reati-fine dell’associazione di stampo mafioso.
I reati sarebbero stati viceversa commessi per ragioni personali (contingente situazione di difficoltà economica).
22.2.3. Terzo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle intercettazioni, le quali avrebbero potuto rappresentare prova autosufficiente solo se dai caratteri gravi, precisi e inequivoci, qui inesistenti, necessitando dunque, in concreto, di riscontri esterni che nella specie farebbero parimenti difetto.
22.2.4. Quarto motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, di nuovo quanto all’affermazione di penale responsabilità in ordine al reato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il reato si lega non già ad uno status di appartenenza, ma implica l’assunzione di un ruolo dinamico funzionale espressivo di stabile ed organica compenetrazione nel tessuto organico del sodalizio; a ciò si deve accompagnare l’adesione dell’agente sorretta dall’ affectio societatis ( ex adverso riscontrata e recepita). La rilevazione di tali caratteristiche sarebbe manchevole, essendo lacunose ed evanescenti le argomentazioni della Corte territoriale al riguardo.
Il ricorrente si chiede retoricamente come sarebbe egli potuto entrare a far parte del sodalizio (nel giugno 2018, con il coinvolgimento nella prima delle contestate estorsioni) appena tre mesi dopo la sua carcerazione; e come potrebbero in questo scenario spiegarsi le richieste estorsive avanzate verso gli stessi membri del clan.
22.2.5. Quinto motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo del carattere armato della consorteria mafiosa.
22.2.6. Sesto motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, ancora in ordine alla qualificazione delle estorsioni, consumate e tentate, come reati-fine dell’associazione di stampo mafioso.
22.2.7. Settimo motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al rilievo, sui fatti di estorsione, delle aggravanti di cui all’art. 628, terzo comma, n. 3), e 416bis .1 ( sub specie della finalità di agevolazione), cod. pen.
Non vi sarebbe connessione tra detti reati-fine e l’attività di cosche mafiose, cui il ricorrente sarebbe estraneo.
22.2.8. Ottavo motivo (in ricorso erroneamente rinumerato come settimo). Violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al rilievo, sui fatti di estorsione, dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 (sub specie del metodo mafioso) cod. pen.
La forza di intimidazione sarebbe stata in realtà scarsa, tant’è che nella massima parte i reati sarebbe rimasti allo stadio del tentativo.
Le componenti costitutive dell’aggravante non sarebbero dimostrate.
22.2.9. Motivi dal nono al ventunesimo (in ricorso tutti erroneamente numerati). Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai fatti di estorsione, consumata o tentata, di cui in imputazione.
La penale responsabilità per le estorsioni di cui ai capi 13), 19), 20), 21) e 24) andrebbe esclusa, in assenza di prova oltre ogni ragionevole dubbio.
Le estorsioni di cui ai capi 6) e 12) non sarebbero integrate, non avendo la condotta oltrepassato la soglia del tentativo punibile.
Per le estorsioni di cui ai capi 5), 8), 11) e 17) sarebbe configurabile la desistenza volontaria.
Per le estorsioni residue, sarebbe ingiusta l’esclusione dell’attenuante del danno di speciale tenuità.
22.2.10. Ventiduesimo motivo (in ricorso erroneamente rinumerato come diciannovesimo). Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
22.2.11. Ventitreesimo motivo (numerato erroneamente come ventesimo). Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rilievo della recidiva.
Hanno presentato rituale memoria, in vista della discussione odierna, il Procuratore generale presso questa Corte, l’imputato COGNOME nonché le parti civili Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Centro studi ed iniziative culturali RAGIONE_SOCIALE, Comune di Palermo, Sicilindustria Palermo, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
All’udienza odierna le parti presenti hanno rassegnato le conclusioni di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La trattazione dei motivi sarà strutturata, d’ora innanzi, per temi e fattispecie.
Le posizioni individuali verranno riordinate in correlazione.
I motivi comuni o connessi saranno oggetto, ove opportuno, di disamina congiunta.
La famiglia mafiosa di Borgo Vecchio. Il ruolo di NOME COGNOME al riguardo. Le posizioni degli imputati COGNOME e COGNOME. I reati-fine. Le posizioni degli imputati ulteriori COGNOME e COGNOME.
Viene pregiudizialmente in esame il terzo motivo del ricorso COGNOME il quale investe il valore probatorio delle intercettazioni, che nel processo rappresentano elemento dimostrativo cruciale a sostegno della penale responsabilità dell’imputato.
Il motivo è inammissibile, per genericità e manifesta infondatezza.
2.1. A proposito delle intercettazioni telefoniche o ambientali, costituisce ius receptum che le informazioni raccolte in corso di captazione, quand’anche non vi
abbia partecipato l’imputato, integrino fonte di prova soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento, razionalmente motivato, previsto dall’art. 192 comma 1, cod. proc. pen.; e, pertanto, se il contenuto delle intercettazioni deve essere attentamente interpretato sul piano logico e rigorosamente valutato su quello probatorio, non è però necessario reperire gli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714-01; nella giurisprudenza successiva v. Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, COGNOME Rv. 265747-01; Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414-01; Sez. 3, n. 10683 del 07/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286150-04).
Qualora, poi, quel contenuto abbia natura indiziaria, esso dovrà possedere i requisiti di gravità, precisione e concordanza, in conformità al disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260842-01, seguite da Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 26650901; Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042-01; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314-02; Sez. 6, n. 5224 del 2/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611-02, resa quest’ultima proprio in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui è stato precisato che le intercettazioni vanno valutate verificando che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all’imputato, se quest’ultimo non partecipa al dialogo; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori non vi sia motivo per ritenere che parlino non seriamente degli affari illeciti trattati; d) non vi sia alcuna ragione per ritenere che un interlocutore riferisca all’altro circostanze false).
In ogni caso, il giudice di merito è libero di ricostruire il reale significato della conversazione, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui essa avviene (Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650-01). E tale operazione è censurabile in cassazione soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare, in sede di legittimità, un’interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 2015, Sebbar, cit.; Sez. 5, n. 1532 del 9/09/2020, dep. 2021, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558-01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25951601; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 237994-01; Sez. 6, n. 11189 del 8/03/2012, COGNOME, Rv. 252190-01).
2.2. La sentenza impugnata appare all’evidenza conforme al paradigma sopra formulato.
A fronte, il motivo in scrutinio non analizza il contenuto delle singole captazioni, né coglie alcuno specifico profilo di criticità interpretativa emergente dal ragionamento giudiziale.
Vengono quindi in esame il primo motivo del ricorso COGNOME, il primo motivo del ricorso COGNOME, il primo motivo del ricorso COGNOME, il primo motivo del ricorso COGNOME NOME, il primo e il quarto motivo del ricorso COGNOME che sollevano censure inerenti alla rilevata condotta di partecipazione associativa.
Trattasi di motivi infondati, alla stregua delle considerazioni che seguono.
3.1. Va ricordato che l’art. 416bis cod. pen., rubricato «associazione di tipo mafioso», configura una peculiare fattispecie associativa che ricorre quando «tre o più persone» fanno parte di un’associazione la quale si avvalga «della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni unite, la condotta di partecipazione non può consistere in un mero status , né in una condivisione meramente psicologica del programma criminoso e delle relative metodiche, dovendo al contrario sostanziarsi in un agire concreto e causalmente efficace rispetto agli scopi dell’associazione.
Tale agire può assumere forme e contenuti diversi e variabili, così da delineare una figura di reato “a forma libera”. Fermo ciò, l’azione del partecipe deve sempre consistere, in modo pregnante, «nella concreta assunzione di un ruolo materiale all’interno della struttura criminosa, manifestato da un impegno reciproco e costante, funzionalmente orientato alla struttura e all’attività dell’organizzazione criminosa», quale espressione di un inserimento strutturale, a tutti gli effetti, in tale organizzazione, nella quale l’agente risulta stabilmente e organicamente incardinato; inserimento idoneo, per le specifiche caratteristiche del caso concreto, ad attestare la sua “messa a disposizione” in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, COGNOME, Rv. 281889-01; in termini già Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670-01 e, nella giurisprudenza ad essa
successiva, Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270468-01; Sez. 2, n. 18940 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 269659-01; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207-01; Sez. 6, n. 12554 del 1/03/2016, COGNOME, Rv. 267418-01).
Quanto all’elemento soggettivo della condotta di partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, esso sussiste allorché ricorra la consapevole volontà di fare parte della compagine criminosa al fine di condividerne l’attività svolta e gli obiettivi criminali. Dunque, il partecipe è colui che esercita la forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva, o che di essa si avvale, o che comunque agevola o collabora direttamente, attraverso un’attività strettamente correlata all’attività di intimidazione, con chi la esercita o se ne avvale, ovviamente agendo allo scopo di raggiungere i fini criminali del sodalizio, di cui sia consapevole di far parte.
3.2. In materia il thema probandum riguarda dunque, precipuamente, la condotta di partecipazione al sodalizio criminale attuata con la stabile e volontaria compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del medesimo; di tal che gli elementi dimostrativi devono riguardare un’appartenenza così connotata e devono inquadrare il contributo offerto dall’imputato all’esistenza del medesimo (Sez. 5, n. 32020 del 16/3/2018, COGNOME, Rv. 273572-01; Sez. 2, n. 24995 del 14/5/2015, Rechichi, Rv. 26438001; Sez. 5, n. 17081 del 26/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263699-01; Sez. 2, n. 23687 del 3/5/2012, COGNOME Rv. 253221-01).
Il fulcro centrale della prova è costituito, nella prevalenza dei casi, dalla prova logica, dal momento che la dimostrazione dell’esistenza della volontà di assumere il vincolo associativo è desunta, per lo più, dall’esame d’insieme di condotte frazionate, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, non è immediatamente indicativa dell’inserimento nel sodalizio. La prova della partecipazione è però ricavabile, in tali ipotesi, attraverso un ragionamento dal quale si possa dedurre che i singoli comportamenti, diretti o meno all’esecuzione di reati ulteriori, costituiscono l’espressione del programma delinquenziale oggetto dell’associazione stessa (Sez. 6, n. 35914 del 30/5/2001, COGNOME, Rv. 221247-01; Sez. 5, n. 1631 del 11/11/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 216263-01).
3.3. Ad essere rilevante è così, in chiave dimostrativa, la selezione di affidabili ‘indicatori’ logici dell’avvenuto inserimento attivo del soggetto nel gruppo criminale.
Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, cit., affermano con assoluta chiarezza che il ‘fare parte’ di una associazione mafiosa è espressione di sintesi, che implica l’assunzione di un ruolo e lo svolgimento di compiti effettivi,
sposando la visione ‘dinamica e funzionale’ della condotta partecipativa, in aderenza al principio di materialità e offensività della condotta punibile.
Prendere parte al fenomeno associativo non è uno stato d’animo, né il risultato di una generica condivisione, ma implica lo svolgimento di compiti funzionali e tendenzialmente stabili, coessenziali al raggiungimento dei fini del gruppo.
Sul piano della dimensione probatoria rilevano, in questo scenario, tutti gli indicatori fattuali, dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, e cioè la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio. Deve dunque trattarsi di indicatori gravi e precisi dai quali, anche a prescindere dalla cerimonia di rituale affiliazione o dall’investitura della formale qualifica di ‘uomo d’onore’, sia lecito dedurre, senza alcun automatismo probatorio, la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, nonché della duratura e sempre utilizzabile ‘messa a disposizione’ della persona per ogni attività del sodalizio, con puntuale riferimento allo specifico periodo temporale considerato nella imputazione.
Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, cit., precisano che la prova del solo accordo di ingresso, ancorché estrinsecato in forma solenne, non esaurisce il tema del giudizio, perché l’ordinamento giuridico non accoglie il modello organizzatorio puro nella configurazione del reato, e invece pretende l’assunzione successiva di condotte ‘espressive del ruolo’, in ossequio al profilo funzionalistico della condotta di partecipazione, o quanto meno richiede l’identificazione di un sia pur minimo apporto causale dell’affiliato alla vita dell’associazione.
Di qui la necessità di individuare, sul terreno probatorio, un contributo anche atipico – del partecipe, contributo che può essere tanto materiale che morale, ricostruibile anche in via indiziaria (tramite ricognizione di condotte indicative) e che viene esemplificato in termini di ‘messa a disposizione’ effettiva e consapevole.
È in tale caso che può dirsi, a ragione, che il soggetto ‘prende parte’ all’associazione, infrangendo il precetto penale. La ‘messa a disposizione’ deve rivestire i caratteri della serietà e continuità, attraverso comportamenti capaci di dimostrare in concreto l’adesione libera e volontaria da parte del singolo e l’accettazione da parte del gruppo. La ‘messa a disposizione’, in tale chiave, indica non già un’astratta attitudine ad operare per il clan, ma il precipitato di un concreto attivismo, tale da rientrare nel ‘profilo dinamico’ della partecipazione.
3.4. La sentenza impugnata non si è discostata dai principi di diritto sopra enunciati e ha desunto la dimostrazione della stabile intraneità dei ricorrenti al sodalizio, nel senso già delineato, dalle circostanze, in tal senso adeguatamente significative, passate in rassegna in parte narrativa.
Il corrispondente quadro probatorio, inappuntabilmente valutato dal giudice di merito, è alimentato dagli esiti, realmente eloquenti, delle captazioni e dei servizi di osservazione di polizia giudiziaria, che riflettono l’inserimento dei ricorrenti, qualificabile come organico e stabile, nell’ambito della famiglia mafiosa di cui in imputazione.
3.5. Quanto a Canfarotta, la sentenza impugnata opportunamente valorizza la fitta rete di contatti da lui intrattenuti non già soltanto con NOME COGNOME, ma con lo stesso NOME COGNOME che era al vertice della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio (e verso cui l’imputato manifesta ‘rispetto’ e sottordinazione gerarchica), e con altri sodali, contatti funzionali alla gestione delle attività criminali della cosca, di cui il ricorrente si dimostra a perfetta conoscenza quand’anche non direttamente interessato, con una padronanza di ruolo che si addice solo al soggetto affiliato.
Tra le attività criminali in questione spicca il dominio esercitato sull’organizzazione della festa rionale in onore di Sant’Anna, fulcro dell’egemonia della consorteria, che l’aveva altresì resa un’occasione di profitto ingiusto, legato ai proventi delle estorsioni camuffate da ‘sponsorizzazioni’ e ‘riffe’.
Nell’organizzazione della festa rionale, diretta dalla mafia, COGNOME risulta impegnato in prima persona, come la trama delle intercettazioni, dalle sentenze di merito puntualmente delineata, plasticamente evidenzia.
Da esse, altresì, risalta il pieno coinvolgimento dell’imputato nella vicenda originata dalle lamentele di NOME COGNOME per l’insoddisfacente mantenimento garantitogli dalla cosca durante lo stato detentivo, e ciò nella logica di una piena condivisione delle regole del sodalizio e quale sicura spia di corrispondente appartenenza, non smentite da eventuali divergenze di vedute tra i due compartecipi su singole vicende di comune rilievo associativo.
Il motivo di ricorso non coglie alcuna effettiva criticità della ricostruzione giudiziale, vanamente impegnandosi nella diretta rilettura, non consentita in questa sede, del materiale probatorio, e in particolare nella contestazione del significato delle intercettazioni, secondo forme e modalità che esulano dai limiti del sindacato di legittimità.
3.6. Quanto a COGNOME, la (perdurante) sua intraneità alla cosca non è stata affatto principalmente ricavata ‘per inerzia’ dal precedente giudicato di condanna per partecipazione associativa e dalla mancanza di successiva esplicita condotta di recesso (circostanze che pure, nella fenomenologia dei sodalizi
mafiosi, in cui il vincolo associativo tra il singolo e l’organizzazione si instaura nella prospettiva di una futura permanenza in essa a tempo indeterminato, riveste valenza indiziante: Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013, dep. 2014, Sapienza, Rv. 258954-01), ma ha trovato autonomo e compiuto fondamento negli elementi descritti alle pagg. 125 segg. della sentenza impugnata, e quindi nel fatto che l’imputato avesse accesso alla cassa della famiglia mafiosa e ne avesse la diretta disponibilità in funzione del perseguimento degli scopi dell’organizzazione, secondo le direttive impartite dal suo Vertice.
Stretti erano, altresì, i rapporti dell’imputato con i fratelli COGNOME, e in particolare con NOME, alimentati non già, secondo l’ineccepibile apprezzamento della sentenza impugnata, da una reciproca diretta e personale consuetudine, ma dal perseguimento del comune disegno di militanza nell’associazione criminale, di cui il tenore delle conversazioni intercettate – dal ricorrente inammissibilmente rivisitate nel loro significato di merito – offre adeguato spaccato, non bisognoso di conferme basate su prova dichiarativa.
Il mancato riscontro e la conseguente mancata imputazione di specifici reatifine, come già rilevato dalla Corte territoriale, in linea con i principi di diritto innanzi esposti, non impedisce il rilievo della ‘messa a disposizione’ del soggetto incriminato in favore del gruppo criminale, penalmente rilevante perché accompagnato da condotte causalmente orientate al mantenimento in vita e alla concreta operatività del gruppo stesso.
3.7. L’intraneità associativa di NOME COGNOME emerge con palmare evidenza dalla sentenza impugnata e le censure sviluppate a contrasto rasentano l’inammissibilità per palese infondatezza.
Il ricorrente offre una lettura minimizzante del dato probatorio a carico, omettendo di considerare ed analizzare le intercettazioni che rivelano il suo attuale e fattivo inserimento in Cosa nostra e smentiscono la suggestione dell’esistenza, al riguardo, di una mera progettualità, destinata ad attuarsi in futuro.
Il mantenimento in corso di detenzione, che all’imputato veniva erogato da COGNOME, sul quale erano nati i contrasti con il capo-clan, NOME COGNOME sta a testimoniare l’attualità dell’affiliazione, cui davano corpo e sostanza i numerosi interventi, risolutori o altrimenti significativi per la vita associativa, che il ricorrente operava o che erano a lui richiesti (basti rimandare, in proposito, alle pagg. 127 e 128 della sentenza impugnata), restando così anche smentito l’assunto contro-valutativo che COGNOME non si vedesse riconosciuta alcuna autorevolezza dal medesimo NOME COGNOME suo zio.
L’abitazione di Ingarao rappresentava del resto, come ben evidenziato dalla Corte territoriale, luogo privilegiato di riunione per la trattazione di questioni
associative, a dimostrazione dal riconoscimento reciproco tra i sodali che vi intervenivano e dall’evidente accettazione del contributo partecipativo dell’imputato ad opera di chi aveva la guida dell’associazione.
Le obiezioni del ricorrente sul punto trovano, nella sentenza impugnata, convincente e preventiva confutazione, che per compiutezza e robustezza di argomentazioni supera ampiamente il vaglio di legittimità.
3.8. Le posizioni di COGNOME e COGNOME possono essere trattate congiuntamente sotto il profilo della partecipazione associativa, perché, per entrambi, essa è inappuntabilmente ancorata al ruolo cruciale loro attribuito nel settore delle estorsioni.
Come si vedrà ulteriormente in prosieguo (§§ 6 e 7), COGNOME era l’autore materiale delle pressioni e intimidazioni ai danni degli imprenditori della zona, agendo egli di concerto e sotto il controllo di COGNOME, che gli forniva costanti direttive.
Come ineccepibilmente rilevato dalla sentenza impugnata, la sistematicità delle condotte estorsive, perpetrate all’interno del territorio di riferimento della famiglia mafiosa (che, notoriamente, non avrebbe tollerato ‘incursioni’ di estranei, che avessero agito a titolo personale e fuori del suo dominio), nonché gli acclarati rapporti con i rimanenti sodali e i continui riferimenti a questi ultimi nell’ambito delle conversazioni intercettate qualificano le condotte criminose in discorso quali reati-fine dell’organizzazione.
Ad essa, attraverso la loro consumazione, COGNOME e COGNOME hanno dato un fattivo contributo, consentendone l’operatività e garantendone il mantenimento e il rafforzamento, e in ciò è ravvisabile il proprium della partecipazione associativa penalmente rilevante loro ascritta.
3.8.1. Anche rispetto a COGNOME vale dunque il rilievo, secondo cui la sua intraneità alla cosca nel periodo in imputazione non è derivata dal precedente giudicato di condanna per reato associativo in assenza di recesso, ma dal riscontro di precisi indicatori fattuali di persistenza del vincolo e dal rilievo di condotte materiali in chiave di inserimento dinamico e funzionale, offensive nell’attualità del bene protetto dalla norma incriminatrice.
3.8.2. Con riguardo a COGNOME, i motivi di ricorso in scrutinio sono intessuti di obiezioni di fatto, estranee al sindacato che questa Corte è chiamata ad esercitare e, in ogni caso, contrastanti con puntuali risultanze processuali, ineccepibilmente esposte nella sentenza impugnata, dalle quali risulta che l’imputato frequentasse ogni giorno il quartiere di INDIRIZZO pur non risiedendovi, fosse specificamente remunerato per la riscossione del ‘pizzo’, si assoggettasse alle regole dell’organizzazione (rimanendo emarginato e
dovendosi scusare, in caso di trasgressione) e si fosse specificamente rivolto ad NOME COGNOME per invocare ‘protezione’ dopo il subito accoltellamento.
3.9. Gli indicati elementi, valutati nel loro insieme, compongono un tessuto complessivamente adeguato all’affermazione di penale responsabilità rispetto a tutti i ricorrenti, facendo risaltare il requisito della ‘messa a disposizione’ con carattere di serietà e continuità, nell’interesse del clan, a seguito di adesione consapevole, e di compartecipazione fattiva, alle relative dinamiche criminali, accettata dal gruppo.
La sentenza impugnata è così conforme al quadro legale di riferimento, né i ricorrenti colgono, nell’apprezzamento che del quadro probatorio opera il giudice a quo , alcuna reale criticità motivazionale, o aporia logica di ragionamento
Gli elementi di responsabilità risultano, in effetti, vagliati con rigore, apparendo adeguatamente rappresentativi del ruolo dinamico e funzionale assunto da COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME nell’organizzazione mafiosa.
In disamina ulteriore, inammissibile risulta il secondo motivo del ricorso COGNOME.
Esso si risolve in una mera rassegna di precedenti giurisprudenziali in tema di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, seguita dalla generica ed assertiva affermazione secondo cui la Corte di appello non vi si sarebbe conformata.
Infondati sono il terzo motivo del ricorso COGNOME, il secondo motivo del ricorso COGNOME, il terzo motivo del ricorso COGNOME, il terzo motivo del ricorso COGNOME NOME e il quinto motivo del ricorso COGNOME.
Il rilievo dell’aggravante del carattere armato dell’associazione, operato dal giudice a quo , poggia non solo sul fatto notorio, trattandosi di clan mafioso facente parte di Cosa Nostra, ma su pregressi giudicati, specificamente riferiti alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, e su dati probatori specifici emergenti dal processo e riferiti all’attualità (si veda, in particolare, l’intercettazione ambientale citata a pag. 162 della sentenza impugnata), dai quali risulta la presente disponibilità di armi da fuoco in capo all’organizzazione, funzionale al perseguimento dei suoi obiettivi criminali.
Contro tale accertamento di fatto, qui insindacabile, si infrangono le censure dei ricorrenti, tenuto anche conto del fatto che, ai fini della configurabilità della circostanza, non è richiesta l’esatta individuazione dell’armamentario (da ultimo, Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284761-01), né il
suo effettivo utilizzo (Sez. 2, n. 2833 del 27/09/2012, dep. 2013, Adamo, Rv. 254295-01).
Avendo, poi, l’aggravante natura oggettiva, essa è ascrivibile ad ogni partecipe che sia consapevole della disponibilità di armi da parte dell’associazione, o anche solo la ignori per colpa (Sez. 6, n. 32373 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276831-02; Sez. 1, n. 7392 del 12/09/2017, dep. 2018, di COGNOME, Rv. 272403-01), al cui riscontro concorre effettivamente, nella specie, il fatto notorio della stabile detenzione di tali strumenti di offesa da parte dei sodalizi di mafia storica (Sez. 2, n. 50714 del 07/11/2019, COGNOME, Rv. 27801001). Il ragionamento giudiziale non è, sul punto, validamente censurato,
Inammissibile risulta il secondo motivo del ricorso COGNOME diretto a contrastare l’affermazione di penale responsabilità in ordine alle estorsioni, consumate o tentate, a lui intestate.
La sentenza impugnata ineccepibilmente motiva il concorso prevalentemente morale dell’imputato in ordine a ciascuna condotta estorsiva con argomentazioni perfettamente logiche, saldamente ancorate alle risultanze delle intercettazioni, delle videoriprese e delle dichiarazioni testimoniali.
Il motivo di ricorso non analizza le singole vicende descritte nei capi di imputazione, limitandosi ad offrire una generica lettura alternativa degli accadimenti nel loro complesso, senza adeguatamente confrontarsi con gli elementi probatori in sentenza esposti, risultando in tal modo aspecifico ed inidoneo a rappresentare una valida ragione di critica.
Infondati, nel complesso, risultano il secondo motivo del ricorso COGNOME e quelli dal sesto al ventunesimo, ivi contenuti, in tema di condotte di estorsione, consumate o tentate.
7.1. La natura mafiosa delle estorsioni, anzitutto, è legata a dati di perfetta evidenza e di comune esperienza, opportunamente messi in risalto dalla sentenza impugnata.
La cosca non avrebbe mai tollerato estorsioni nel suo territorio, da essa non autorizzate e non finalizzate ad implementare le sue casse. Risulta, inoltre, da precise intercettazioni che COGNOME sia stato rimproverato per avere chiesto il ‘pizzo’ a soggetti appartenenti o contigui a Cosa Nostra (pagg. 133-135), così come emergono le rimostrano di NOME COGNOME per non essere stato egli delegato alle estorsioni in nome della consorteria, essendo stato tale compito affidato all’odierno ricorrente (pag. 73: COGNOME viene tacitato da COGNOME, non avendo i Monti gradito le sue rimostranze).
L’obiezione, mossa con il sesto motivo, per cui COGNOME avrebbe messo in atto i fatti di estorsione per bisogno personale, saltuariamente devolvendo le somme riscosse a COGNOME, risulta generica, inconcludente e comunque smentita da precise risultanze processuali, in questa sede non rivedibili (v. pag. 133 della sentenza impugnata, ove si segnala il fatto che COGNOME riferisse puntualmente a COGNOME dell’avvenuta devoluzione dei proventi estorsivi in favore del cassiere della cosca e dei suoi vertici).
7.2. A proposito delle aggravanti ex artt. 628, terzo comma, n. 3), cod. pen., e 416bis .1 cod. pen., la sentenza impugnata inappuntabilmente evidenzia che il denaro provento delle estorsioni, come già ampiamente sottolineato, dovesse rimpinguare le casse del clan e fosse primariamente destinato al sostentamento delle famiglie dei sodali detenuti. Le estorsioni, d’altra parte, erano sostenute da quella peculiare e latente forza intimidatrice, essa stessa in sentenza compiutamente evidenziata, che sprigiona dalla conoscenza, ad opera della vittima, per comunicazione esplicita o per atteggiamento concludente, dell’appartenenza dell’agente ad una consorteria di stampo mafioso.
Ricorrono così in tutta evidenza gli elementi costitutivi sia della prima circostanza, essendo detta appartenenza nel processo positivamente riscontrata, sia della seconda, ossia la perpetrazione di reati al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa, da un lato, e l’impiego in fase realizzativa del peculiare metodo, legato a condotta idonea, con l’evocazione del contesto associativo di riferimento, a suscitare – di per sé, senza l’enunciazione di particolari e gravi espressioni di minaccia -una particolare coartazione psicologica sulla vittima e ad indebolirne la capacità di resistenza (v. già Sez. 1, n. 2667 del 30/01/1997, Barcella, Rv. 207178-01, nonché Sez. 1, n. 1327 del 18/03/1994, Torcasio, Rv. 197430-01), anche indipendentemente dal reale conseguimento dell’effetto (l’eventuale resistenza della persona offesa non esclude la configurabilità dell’aggravante del metodo).
Non smentisce l’impiego effettivo del metodo mafioso la circostanza che alcune vittime non si siano piegate al volere della cosca, in quanto le sentenze di merito hanno descritto in modo compiuto e chiaro il modus operandi degli imputati COGNOME e COGNOME per imporre la ‘messa a posto’ ad imprenditori ed esercenti o per ottenere da loro ‘un pensierino’.
7.3. Quanto alle condotte estorsive di cui ai capi 13), 19), 20), 21) e 24), il ricorso contesta l’esistenza di prova sufficiente di penale responsabilità, ma le censure – come preannunciato – sono passibili di rigetto.
Nel dettaglio.
Estorsione tentata ai danni di RAGIONE_SOCIALE Sono da escludere le denunciate discrasie dei racconti testimoniali, facendo i medesimi riferimento a
distinte ‘visite’ in cantiere degli estorsori, che avevano, in ciascuna occasione, incontrato soggetti diversi e con loro interloquito, secondo modalità che non potevano pertanto risultare sovrapponibili.
Estorsione tentata ai danni dell’impresa edile NOME COGNOME Si è denunciata la mancanza dei fotogrammi delle videoriprese e l’incertezza sul fatto che al secondo incontro COGNOME avesse dialogato con lo stesso soggetto già in precedenza intimidito. Non si coglie, tuttavia, la rilevanza di tali rilievi, posto che la sentenza impugnata richiama (pag. 96) le conversazioni intercettate, nelle quali COGNOME quantifica la somma ingiustamente pretesa (un ‘pensierino’), per poi ridurne l’importo preannunciando la data in cui passerà di nuovo per l’incasso.
Estorsione tentata ai danni dell’impresa RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME. La vicenda estorsiva è inappuntabilmente ricostruita alle pagg. 96-100 della sentenza impugnata. Le doglianze sono meramente rivalutative della prova. La conversazione intercettata, in sentenza riportata, è ampiamente in grado di riflettere la richiesta estorsiva, sotto forma di ‘pensierino’, rivolta sotto la minaccia dell’arresto dei lavori.
Estorsione tentata ai danni del locale La Gintoneria. Si contesta, su un piano di puro fatto, la localizzazione dell’esercizio commerciale teatro del delitto e l’identità dell’operaio destinatario dell’intimidazione. Trattasi di censure reiterative di profili già esaustivamente trattati dalla sentenza impugnata e di rilievo comunque marginale, a fronte dell’intercettazione e della videoripresa che rappresentano valida piattaforma probatoria a sostegno dell’imputazione.
Estorsione tentata ai danni dell’impresa RAGIONE_SOCIALE. Non sarebbe qui certa l’identificazione, in COGNOME, del soggetto che avrebbe intimidito il titolare, perché la descrizione fornita dalla vittima non corrisponderebbe alle immagini filmate. Le espressioni usate dall’estortore non sarebbero, inoltre, quelle usualmente impiegate da COGNOME, non direttamente riconosciuto dalla persona offesa. Trattasi di motivo interamente versato in fatto, reiterativo del corrispondente motivo di appello, respinto con lucide argomentazioni. Si chiarisce, nella sentenza impugnata (pagg. 103 seg.), che la videoripresa immortala proprio l’odierno ricorrente, noto alle forze dell’ordine e da esse perfettamente riconosciuto. Quanto al tenore del dialogo, Ravenna ne riporta senza equivoci il contenuto estorsivo, riferendo altresì delle minacce conseguite al suo rifiuto di pagare.
7.4. Quanto alle condotte estorsive di cui ai capi 6) e 12), si contestano gli estremi del tentativo punibile.
Le censure sono infondate, avendo il soggetto agente (COGNOME realizzato, in entrambe le vicende, ancorché solo eventualmente in parte, senza cioè
portarla a compimento, l’azione intimidatoria diretta a produrre l’evento (il compimento forzoso dell’atto di disposizione patrimoniale), che segna l’approdo allo stadio del tentativo (da ultimo, Sez. 2, n. 18578 del 08/04/2025, Sirchia, Rv. 288038-01).
Nel caso della condotta ai danni di RAGIONE_SOCIALE, è infatti provata l’esistenza di almeno un contatto tra l’estorsore e la vittima designata, e risulta altresì la strumentalità del contatto medesimo all’ottenimento di una ingiusta remunerazione, alla cui corresponsione la persona offesa è riuscita tuttavia a sottrarsi, denunciando l’accaduto.
Nel caso della condotta ai danni dell’impresa edile NOME COGNOME, dal costituto probatorio (dichiarazioni della vittima, corroborate da videoriprese) risultano tanto la richiesta esplicita, ed ingiustificata, di somme di denaro, quanto l’ultimativa minaccia di ritorsione all’annuncio che la vittima non intendeva pagare.
7.5. Per le estorsioni tentate di cui ai capi 5), 8), 11) e 17) il ricorrente prefigura la causa di non punibilità della desistenza volontaria.
È tuttavia pacifico che, in materia, vada considerata integrata l’ipotesi tentata ed esclusa la desistenza allorché la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata in forma violenta o minatoria, non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell’imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima (Sez. 2, n. 3793 del 11/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277969-01; Sez. 2, n. 41167 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 256728-01).
Ebbene, nei casi descritti nei capi d’imputazione la ricostruzione giudiziale, contrastata con argomentazioni di puro merito, inapprezzabili in questa sede, evidenzia che le vittime non cedettero alle pressioni e alle minacce dell’estorsore, rivolte prima dell’interruzione dei lavori (RAGIONE_SOCIALE), o prima dell’incidente (NOME COGNOME), talora anche reiterate (RAGIONE_SOCIALE) e mai ritirate.
La ragione del mancato buon fine dell’azione delittuosa non è dunque identificabile nella resipiscenza del reo.
7.6. Per le estorsioni di cui ai capi 7) e 9) si fa questione solo intorno al disconoscimento dell’attenuante del danno di speciale tenuità.
È noto però che, in materia e a tali fini, la valutazione deve essere complessiva, dovendosi avere riguardo, da parte del giudice, non solo alla rilevanza minima del pregiudizio patrimoniale subito dalla persona offesa, ma anche agli effetti dannosi conseguenti alla lesione della libertà morale della persona destinataria della violenza o della minaccia, attesa la natura
plurioffensiva dei citati delitti (da ultimo, Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280173-01).
A quest’ultimo riguardo la sentenza impugnata inappuntabilmente argomenta, facendo opportuna e assorbente leva sulla natura protratta delle condotte estorsive e sul rilevante e duraturo turbamento indotto nelle vittime dai continui taglieggiamenti.
Il terzo motivo del ricorso COGNOME, il quarto motivo del ricorso COGNOME e il ventitreesimo motivo del ricorso COGNOME insistono sul tema della recidiva.
Per COGNOME e COGNOME si tratta di questione che non aveva formato oggetto di corrispondente motivo di appello. I motivi di ricorso sono dunque inammissibili, a norma dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Per COGNOME la valutazione compiuta dalla Corte di appello supera il vaglio di legittimità, dovendo il motivo di ricorso giudicarsi infondato.
È agevole, infatti, constatare come la sentenza impugnata si sia fedelmente attenuta al consolidato principio di diritto (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838-01; Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Antignano, Rv. 284425-01; Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419-01), secondo cui, ai fini della rilevazione della recidiva, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, alla loro distinta offensività, alla consecuzione temporale, alla genesi della ricaduta, nonché ad ogni parametro significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Nel riconoscere l’aggravante, strettamente inerente alla persona del colpevole, la sentenza stessa non si è infatti attestata sui soli precedenti penali dell’imputato, ma li ha posti in relazione con le rinnovate condotte delittuose e ha valorizzato la più accentuata capacità a delinquere da esse espressa, da intendere come persistenza di stimoli criminogeni, e il corrispondente maggior grado di colpevolezza, che giustificano l’accresciuto rigore sanzionatorio in conclusivo esito di un ragionamento esente da vizi logici.
Il sesto motivo del ricorso COGNOME, in parte qua , e il ventiduesimo motivo del ricorso COGNOME contestano il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che risulta invece assistito da congrua motivazione, la quale dà perfetto conto (come dovuto: Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-02; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509-03; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01) degli elementi, tra
quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della sfavorevole decisione (nella specie, il peso e la mole dei precedenti penali, non bilanciati da elementi decisivi di segno contrario).
I motivi devono, dunque, considerarsi infondati.
Sono viceversa fondati, per quanto di ragione, il quarto e quinto motivo del ricorso COGNOME nonché il quinto e sesto motivo, parte ulteriore, del ricorso COGNOME in tema di quantificazione della pena conseguente alla riconosciuta continuazione esterna.
La pena base è stata, invero, individuata -per entrambi- in quella irroganda nel presente processo per il reato di natura associativa. Ai fini della determinazione della violazione più grave andavano, in effetti, messe a confronto le singole pene inflitte, in concreto, per i reati già giudicati, da un lato, e la pena (o le pene) da infliggere per il reato (o i reati) oggetto del giudizio odierno, dall’altro (in applicazione analogica dell’art. 187 disp. att. cod. proc. pen.: Sez. 2, n. 13539 del 02/11/2023, dep. 2024, Altamura, Rv. 286206-01; Sez. 2, n. 21769 del 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259572-01; Sez. 2, n. 41575 del 04/10/2006, COGNOME, Rv. 235384-01). Non consta, e non è nei ricorsi neppure denunciato, che la Corte territoriale abbia violato questo corretto criterio legale.
La dosimetria della pena base in questione non ha, del resto, formato oggetto di censura con i motivi di appello.
I motivi in scrutinio sono però meritevoli di accoglimento, nella parte in cui denunciano la violazione del principio per cui, in materia di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, debba anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269-01). La Corte di appello ha proceduto ad aumenti indistinti e sul punto la pronuncia deve essere censurata.
Sono inammissibili il sesto motivo del ricorso COGNOME e il settimo motivo del ricorso COGNOME perché il punto di decisione concernente la misura di sicurezza della libertà vigilata non aveva formato oggetto di corrispondente motivo di appello.
In conclusione, e rimandata al prosieguo la definizione della posizione di NOME COGNOME:
la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente alla determinazione degli aumenti di pena a titolo di continuazione per i reati satellite, con rinvio per nuovo giudizio
sui già menzionati punti ad altra sezione della Corte di appello di Palermo; i ricorsi di COGNOME e COGNOME debbono essere respinti nel resto;
i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere respinti e tali imputati debbono essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali;
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere, altresì, condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comitato NOME COGNOME, Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Confcommercio di Palermo, RAGIONE_SOCIALE, Comune di Palermo, RAGIONE_SOCIALE e Centro studi ed iniziative RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere, poi, condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME deve essere, infine, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo.
Il concorso esterno e la posizione dell’imputato Buongiorno.
Il primo motivo del ricorso Buongiorno, che investe l’affermazione di penale responsabilità in ordine al contestato reato di concorso esterno in associazione mafiosa, deve essere pregiudizialmente vagliato.
13.1. Con tale categorizzazione si è data forma giuridica a una specifica manifestazione empirico-criminologica del fenomeno mafioso, propria di colui il quale, senza entrare a far parte dell’organizzazione mafiosa, ma condividendone obiettivi e azione operativa, apporti dall’esterno un contributo rilevante alla conservazione o al rafforzamento del sodalizio.
Nel caso del concorso esterno, attraverso lo strumento offerto dall’art. 110 cod. pen., viene operata un’estensione delle condotte di rilevanza penale che va oltre il dato della partecipazione tout court al reato associativo, il quale già prevede la necessaria adesione di una pluralità di individui (almeno tre), in tal
modo attribuendo rilevanza penale anche a comportamenti di concorso, appunto, “esterno” al sodalizio che siano in concreto funzionali alla consumazione dello stesso reato associativo (e che in questo si distinguono, perciò, anche dal mero favoreggiamento a vantaggio personale di uno o più dei singoli associati).
Secondo la giurisprudenza di legittimità (v. Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME, cit., e, successivamente, Sez. 5, n. 2653 del 13/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265926-01; Sez. 6, n. 33885 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 26017801; Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014, COGNOME, Rv. 258807-01; Sez. 6, n. 49820 del 5/12/2013, COGNOME, Rv. 258137-01; Sez. 6, n. 47081 del 24/10/2013, COGNOME, Rv. 258028-01; Sez. 6, n. 29458 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 244471 01; Sez. 6, n. 542 del 10/05/2007, dep. 2008, Contrada, Rv. 23824201), il concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa presuppone che l’agente, pur non essendo inserito in maniera stabile e organica nel sodalizio e pur essendo privo dell’affectio societatis (presupposti negativi), tuttavia fornisca un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, il quale, valutato ex post , riveli una effettiva incidenza causale sulla conservazione, sull’agevolazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’associazione o di un suo particolare settore, ramo o articolazione territoriale.
Un risultato che può prodursi anche quando non si tratti di un’attività continuativa o, comunque, ripetuta nel tempo, quanto piuttosto dell’effetto di un intervento isolato e occasionale (Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME, cit.; Sez. 2, n. 35051 del 11/06/2008, COGNOME, Rv. 241813-01), purché comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima associazione (presupposti positivi).
Sul piano della condotta concorsuale, dunque, restano pacificamente escluse le semplici manifestazioni di compiacenza, contiguità e vicinanza all’organizzazione, che non producano in concreto il risultato di conservarne l’esistenza o comunque di rafforzarne l’operatività, mentre è indifferente, sotto il profilo oggettivo, il carattere continuativo o meno della condotta, salvo che la sua occasionalità e modestia fungano da indizio della assenza dell’elemento psicologico del concorso.
Quanto, invece, all’elemento soggettivo, l’atteggiamento psicologico del concorrente esterno è caratterizzato dalla rappresentazione dell’esistenza del sodalizio, dalla consapevolezza dei fini e dei metodi del medesimo e dalla volontà di portare un contributo alla realizzazione dell’evento tipico del delitto associativo, costituito dall’esistenza e dall’operatività del sodalizio medesimo; contributo che, attraverso l’interazione sinergica con le condotte degli altri associati, realizzi la conservazione o il rafforzamento dell’associazione mafiosa (Sez. U, n. 33748 del 2005, COGNOME, cit.).
Un dolo, quello del concorrente, che necessariamente deve presentarsi nella forma “diretta” e non come meramente eventuale, nel senso che il contributo causale del concorrente, pur potendo non avere rappresentato l’obiettivo unico o primario della condotta dell’imputato, deve essere da questi previsto, accettato e perseguito come risultato non solo possibile o probabile, bensì certo o comunque altamente probabile della medesima condotta (Sez. 2, n. 18132 del 13/04/2016, Trematerra, Rv. 266907-01; Sez. 5, n. 15727 del 9/03/2012, COGNOME, Rv. 252330-01).
Pertanto, il dolo del partecipe si distingue da quello del concorrente in quanto il primo vuole fornire il descritto contributo dall’interno dell’associazione, mentre il secondo, in corrispondenza del carattere atipico di una condotta rilevante per effetto del citato art. 110 cod. pen., intende prestarlo senza far parte della compagine sociale (Sez. 2, n. 31541 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 270465-01; Sez. 1, n. 4043 del 25/11/2003, dep. 2004, Cito, Rv. 22999201).
Sul piano della pratica giudiziaria, il concorrente esterno si configura, spesso, come un soggetto che svolge attività economiche o istituzionali di cui l’associazione mafiosa intende prendere il controllo e che, all’un tempo, con quest’ultima instaura un rapporto che, sul piano della fattispecie giuridicopenale, deve configurarsi come sinallagmatico e che deve consentire alle parti dell’accordo (l’associazione e il concorrente esterno) di conseguire reciproci vantaggi.
13.2. Alla luce di tali dirimenti coordinate ermeneutiche, il motivo in scrutinio deve giudicarsi infondato.
13.3. Il quadro probatorio, di cui si è dato conto in narrativa, è adeguatamente dimostrativo dell’effettiva posizione di monopolio assunta da Buongiorno nel settore delle manifestazioni canore neomelodiche e nella organizzazione delle feste rionali che si svolgevano nel quartiere, rendendo esso altresì evidente – ogni oltre ragionevole dubbio, come ineccepibilmente ritenuto dalla sentenza impugnata – come tale posizione fosse stata ottenuta grazie al sostegno di importanti esponenti mafiosi della famiglia di INDIRIZZO e in funzione, anche e soprattutto, del perseguimento di precisi interessi economici facenti capo alla consorteria.
Sia le conversazioni intercettate, che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, inappuntabilmente valutate in sede di merito, svelano l’esistenza di un patto stabile tra Buongiorno e i membri di Cosa Nostra, in base al quale l’imprenditore era divenuto l’unico soggetto di fatto autorizzato a gestire il settore di riferimento, lucrando personale profitto e parzialmente riversandolo a
beneficio della cassa del sodalizio, dal quale in cambio otteneva protezione consolidando la sua egemonia.
Sterili appaiono al riguardo le confutazioni difensive, ancorate ad una rilettura diversamente orientata, purtuttavia non consentita in questa sede, dei contenuti delle captazioni, e alla generica negazione dell’attendibilità dei collaboratori, viceversa validamente scrutinata.
Il ricorrente non spiega, del resto, la ragione per la quale egli, se fosse stato realmente mero interlocutore del Comitato di quartiere, da un lato, e delle pubbliche Autorità, dall’altro, si relazionasse così intensamente, in rapporto alla sua attività imprenditoriale nel settore, con gli esponenti mafiosi di Borgo Vecchio (tra cui COGNOME e COGNOME), privi certamente di ruolo ufficiale al riguardo e senza che alcun rapporto di natura legale lo giustificasse; ignora le intercettazioni, nelle quali egli afferma espressamente di volersi pedissequamente attenere alle indicazioni di COGNOME per la scelta dei cantanti e per la determinazione dell’entità dei loro compensi, preannunciando inoltre che avrebbe visitato ‘a tappeto’ i commercianti del INDIRIZZO per imporre loro le sponsorizzazioni; menziona, a suffragio della sua alternativa, ma qui improponibile, ricostruzione degli accadimenti, informazioni testimoniali di fonte difensiva dal contenuto imprecisato.
13.4. Appare dunque corretta la conclusione cui giunge la sentenza impugnata, a mente della quale Buongiorno deve essere qualificato come ‘concorrente esterno’ nel reato associativo, ossia come soggetto il quale, pur non stabilmente inserito all’interno dell’organizzazione malavitosa, fornisce alla medesima un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo al perseguimento del programma criminoso, avente un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione e del rafforzamento del sodalizio, atteggiandosi così a personaggio ‘terzo’, autore di precise condotte agevolative alle quali cui i sodali fanno stabile riferimento.
Il concorso esterno, ravvisabile nella condotta di Buongiorno, risponde perfettamente al modello ‘causalmente orientato’ descritto al § 13.1., presupponendo esso, da un lato, la presa d’atto del non/inserimento del soggetto nel gruppo criminale, e dall’altro la ricostruzione di una condotta capace di realizzare un incremento tangibile del macro-evento rappresentato dalla esistenza e permanenza della associazione (v., conclusivamente sul punto, Sez. 6, n. 16958 del 08/01/2014, Costantino, Rv 261475-01, nonché da Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014, COGNOME, Rv 258807-01).
Il secondo motivo del ricorso Buongiorno contesta l’assenza di motivazione a sostegno del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Al riguardo occorre rilevare che il motivo di appello era, sul punto, astratto e generico.
Il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808-01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700-01; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 213230-01).
Il motivo di ricorso in esame deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
15. In conclusione, il ricorso di Buongiorno deve essere respinto e l’imputato deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Buongiorno deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comitato NOME COGNOME Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Confcommercio di Palermo, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Comune di Palermo, RAGIONE_SOCIALE e Centro studi ed iniziative culturali ‘Pio La Torre’ RAGIONE_SOCIALE liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo.
Il sodalizio dedito al narcotraffico. Il ruolo di NOME COGNOME al riguardo. Le posizioni degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME. I reati-fine. Le posizioni degli imputati ulteriori COGNOME, COGNOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOMECOGNOME
16. Vengono inizialmente in esame il primo e secondo motivo e il motivo aggiunto del ricorso COGNOME, il primo motivo del ricorso NOME, il primo motivo del ricorso COGNOME RAGIONE_SOCIALE., il secondo motivo del ricorso COGNOME NOMECOGNOME il primo motivo del ricorso COGNOME RAGIONE_SOCIALE. e il primo motivo del ricorso COGNOME che sollevano censure inerenti alla rilevata condotta di partecipazione associativa.
Trattasi di motivi infondati, alla stregua delle considerazioni che seguono.
16.1. Va ricordato che questa Corte si è più volte pronunciata in ordine alla fattispecie di cui all’art. 74 T.U. stup., precisando che, per la configurabilità di un’associazione criminosa dedita al narcotraffico, è richiesta la presenza di un’organizzazione a tal fine diretta, non necessariamente complessa, ma deducibile anche dalla predisposizione, con il concorso dei singoli associati, di
mezzi adeguati al perseguimento dell’obiettivo comune, tali da rappresentare un supporto stabile e minimamente duraturo alle singole deliberazioni criminose (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583-01).
Siffatta organizzazione, ove non rudimentale, può risultare strutturata in senso verticale, dovendosi allora distinguere chi al suo interno assuma una posizione propriamente apicale, chi rivesta il ruolo di organizzatore in quanto incaricato di coordinare l’attività dei compartecipi e di assicurare la funzionalità delle strutture del sodalizio in posizione subalterna rispetto ai vertici del sodalizio, e quanti si limitino ad aderirvi (Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, COGNOME, Rv. 281736-02; Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Buono, Rv. 27947602).
Anche la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in modalità diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, COGNOME, Rv. 282139-01). L’appartenenza di un soggetto al relativo sodalizio criminale può, dunque, essere ritenuta anche sulla base della riscontrata partecipazione ai reati-fine, quale che ne sia il numero (Sez. 1, n. 29093 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283311-01), e al limite anche indipendentemente da essa (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703-02), laddove il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo.
Quest’ultimo deve essere infatti piuttosto accertato avuto riguardo agli elementi indicativi dell’inserimento del soggetto nella struttura organizzativa, espressivi dell’accordo che lo leghi agli altri sodali e attraverso i quali si manifesti la c.d. affectio societatis (Sez. 3, n. 25816 del 27/05/2022, Grillo, Rv. 28327801). I rapporti con gli altri sodali devono rappresentare forme di interazione nell’ambito di un gruppo, mosso da comune illecita progettualità, e non devono mancare di riferirsi al ruolo esponenziale svolto da ciascuno per conto della consorteria (Sez. 3, n. 9036 del 31/01/2022, COGNOME, Rv. 282838-01).
16.2. La sentenza impugnata non si è discostata dai principi di diritto sopra enunciati.
Essa ha ineccepibilmente ritenuto che il fenomeno illecito osservato, avente ad oggetto il commercio di sostanze stupefacenti, soddisfi le condizioni previste dall’art. 74 T.U. stup., che ha avuto cura di indicare anche attraverso la citazione dei pertinenti indirizzi ermeneutici, per enucleare, subito dopo, le modalità di estrinsecazione del narcotraffico e i dati di struttura della compagine.
Come emerge dalle captazioni effettuate, e dai contestuali servizi di monitoraggio e osservazione predisposti dalla polizia giudiziaria, il commercio in questione, avente il suo fulcro nell’abitazione di NOME COGNOME, rivestiva massiccia consistenza e presentava chiari elementi di stabilità e continuità temporale e spaziale, presupponendo una previa organizzazione in quanto i sodali, secondo quanto ripetutamente riscontrato, si interfacciavano e coordinavano sinergicamente, operando, in tutta evidenza, in funzione della consumazione di una serie indefinita e non predeterminata di condotte di acquisto, detenzione e cessione di sostanze di abuso.
Inappuntabile appare dunque, in questa sede, la valutazione giudizialmente operata, che ricava i tratti distintivi di un sodalizio appositamente costituito dall’elevato numero di violazioni progettate e realizzate, dalla spasmodica ricerca di nuove forniture in vista del buon fine della programmazione futura, dall’esistenza di una base logistica ben individuata, da una tendenzialmente salda e relativamente rigida ripartizione dei ruoli.
Quest’ultima riconosceva in NOME COGNOME il soggetto in grado di coordinare l’attività dei sodali e di gestire in prima persona i contatti con i fornitori, e negli altri associati altrettanti esponenti dell’organizzazione in grado di garantire la criminale commercializzazione e sviluppare il narcotraffico.
Tutto avveniva, nella esaustiva ricostruzione offerta dalla sentenza impugnata (v. pagg. 213 segg.), che resiste al vaglio di legittimità, secondo modalità predefinite e in ossequio ad un cliché pienamente consolidato, riconducibile appieno al paradigma associativo.
16.3. Ciò posto, la sentenza impugnata sfugge a censura, così come nell’individuazione del fenomeno associativo, nella rilevazione delle singole condotte di partecipazione addebitate a ciascuno dei ricorrenti.
16.4. Quanto ad COGNOME, l’intraneità alla compagine è ineccepibilmente valutata a partire da pag. 218 della sentenza stessa ed essa non si ricava, come opina il ricorrente, tanto e solo dal ruolo da lui ricoperto nella ‘vicenda COGNOME‘, ma dall’essere la sua figura chiaramente delineata dal costituto probatorio come quella di fiduciario e plenipotenziario degli COGNOME, cui veniva affidata tutta una serie di compiti esecutivi, tra i quali l’intermediazione tra il pusher del quartiere Sperone e gli acquirenti.
Nell’individuazione, da parte della sentenza impugnata, della ‘vicenda COGNOME-Marino’ quale ennesima spia di compartecipazione associativa non è, peraltro, ravvisabile alcuna interna contraddizione: la Corte di appello deriva, infatti, la partecipazione associativa già dall’incarico, conferito da NOME COGNOME ad COGNOME, di consegnare i due panetti di hashish, indipendentemente dal fatto che l’incarico fosse stato realmente eseguito.
Come efficacemente sottolineato dal giudice di merito, l’imputato intende la sua attività, ed accetta di prestarla, come servizio inserito nella programmazione di una più complessa struttura organizzativa, opportunamente raccordato all’opera degli adepti ulteriori. Egli esegue puntualmente i delicati compiti affidati, consistenti nel consegnare consistenti quantitativi di stupefacente, o nell’assunzione del menzionato ruolo di intermediario, dando palpabile contributo all’operatività dell’associazione criminosa.
16.5. Anche rispetto a Fortunato gli elementi indicativi della compartecipazione associativa sono stati correttamente indicati alle pagg. 217 segg. della sentenza impugnata, ove la Corte di appello ne delinea il ruolo di intermediario rispetto agli acquirenti finali, facendo specifico e puntuale riferimento a intercettazioni ambientali che di tale ruolo forniscono pronto riscontro e al quale danno puntuale sostanza.
Ne emerge la figura di un partecipe assegnatario di mansioni ‘d’ordine’, meramente esecutive e purtuttavia cruciali per il raggiungimento dei fini dell’organizzazione.
Se è vero che il monitoraggio è limitato alle due giornate del 24 e 25 febbraio del 2020, logico e ragionevole appare il ragionamento giudiziale, lì ove la Corte di appello rileva che la pronta capacità di NOME, attestata dalle captazioni, di comprendere appieno la finalizzazione del compito assegnatogli, così come la precisa conoscenza che il medesimo dimostra in ordine alle persone da accompagnare, ai luoghi dove si trovano e alle ragioni della sua missione, fanno capire come egli si muovesse in esecuzione di un modello collaudato, che ne svela l’intraneità all’organizzazione.
Né i capi di quest’ultima avrebbero affidato mansioni così delicate, da eseguire con prontezza, a persona che non fosse stata inserita nella catena gerarchica e non avesse goduto appieno della loro fiducia.
16.6. Per quanto riguardo NOME COGNOME la sentenza impugnata ne ricostruisce efficacemente (pag. 216), tramite l’attenta e puntuale disamina delle intercettazioni, il ruolo all’interno dell’organizzazione, in cui figura come uno dei soggetti maggiormente attivi.
Costante risulta il suo impegno, volto a garantire il continuativo e sistematico approvvigionamento di sostanza d’abuso, a predisporre il confezionamento delle dosi e a delineare le modalità della vendita al dettaglio, dando l’imputato precise istruzioni a NOME su come contattare due acquirenti. Dalle intercettazioni citate emerge tutto il rilievo dell’attività programmatoria a lui riferibile.
Il motivo in scrutinio rasenta l’inammissibilità, perché esso non si confronta in modo analitico con la motivazione del giudice di merito ed è svolto in chiave
prettamente rivalutativa dell’accertamento probatorio, secondo una logica sconfinante dalle attribuzioni di questa Corte.
16.7. NOME NOME COGNOME risulta da tutto il costituto probatorio, ad opera della sentenza impugnata ineccepibilmente valutato, l’organizzatore del gruppo e il primo propulsore delle relative attività, come reso evidente dal fatto che la base operativa era presso la sua abitazione e vi rimase, stante la strategica centralità del sito, pur nel periodo di sottoposizione dell’imputato alla misura degli arresti domiciliari.
La sentenza impugnata bene evidenzia come fosse l’imputato a stabilire i prezzi di acquisto e rivendita dello stupefacente (v. conversazioni citate a fine pag. 2149) e come, più in generale, egli impartisse ordini e direttive agli altri sodali, emergendo con chiarezza dai dialoghi intercettati la sua posizione di preminenza, in ricorso solo genericamente contestata.
Senza poter negare la storicità delle condotte attribuite, il motivo di ricorso ne minimizza la rilevanza in chiave associativa, negando che esse potessero riflettere l’operatività di una struttura organizzata.
A confutazione, valgono le considerazioni già spese nel precedente § 16.2. e il rilievo ulteriore, per cui il numero delle transazioni rilevate non risulta affatto marginale. Il solo capo 33) della rubrica racchiude l’acquisto di 30 KG di sostanza e molteplici operazioni di rivendita, offrendo, già esso, eloquente dimostrazione delle dimensioni del traffico.
16.8. Rispetto a NOME COGNOME, la sentenza impugnata ne ricostruisce impeccabilmente il ruolo nell’organizzazione, che era quello di contabile delle transazioni, nonché quello di supporto operativo al fratello NOME nel confezionamento delle dosi. Tali ruoli l’imputato riveste già all’indomani del proprio rientro a Palermo dagli Stati Uniti, dando puntuale esecuzione agli accordi presi telefonicamente mentre era ancora all’estero e alla relativa programmazione.
Tali circostanze si ricavano dalla disamina delle diverse intercettazioni, cui la sentenza impugnata attende in modo attento e puntuale. Esse rivelano, tra l’altro, che l’imputato si è occupato personalmente dello smercio dei 30 KG di droga, e rivelano che il medesimo approntava le dosi assieme al fratello NOME, parlando con lui dell’alta qualità della sostanza e dando poi istruzioni a terzi su come e dove piazzarla. La relativa brevità del periodo osservato non attenua la forza dimostrativa del dato probatorio, stante lo spessore del ruolo, indicativo di un pieno coinvolgimento dell’imputato nella struttura associativa e del determinante contributo apportato per la realizzazione dei suoi fini.
Nel denunciare una pretesa lettura distorta delle emergenze probatorie, e in particolare delle captazioni, il ricorso resta totalmente generico, non deducendo
in modo rituale il vizio di travisamento, in ogni caso non emergente, e impropriamente discorrendo di circolarità della prova, che, notoriamente, è vizio eventualmente riferibile alla sola prova dichiarativa.
La penale responsabilità dell’imputato è stata, infine, affermata – per tutto quanto esposto – su stretta base personale, e non è stata ricavata da puri legami familiari.
16.9. L’inserimento di COGNOME nel sodalizio è dalla Corte di appello logicamente ricavato dal suo diretto coinvolgimento nel menzionato reato-fine di cui al capo 33), costituente la più rilevante tra le forniture monitorate dagli inquirenti, e dal ruolo di staffetta da lui svolto con riferimento a molte altre illecite transazioni, che – per la sua serialità – è, di per sé, indice affidabile di intraneità associativa.
Il contenuto dei dialoghi intercettati, ripreso dalla sentenza impugnata, e in essa inappuntabilmente valutato, dimostra in ogni caso la piena e incondizionata disponibilità dell’imputato ad assecondare le richieste dei fratelli COGNOME e l’assoluta fiducia che costoro nutrivano in lui, in un assetto di mutua affectio societatis .
Il motivo di ricorso non apporta elemento alcuno, idoneo a scalfire la ferrea tenuta logica del ragionamento giudiziale, una volta ribadite le considerazioni già svolte circa la piena sufficienza degli elementi processuali ad attestare l’esistenza del sodalizio di narcotraffico e ribadita, altresì, la valenza strategica e l’efficienza del contributo -nient’affatto marginaledall’imputato apportato alla vita associativa, in termini di rafforzamento e garanzia della sua operatività.
Il motivo di ricorso in scrutinio, infondato nella parte sin qui scrutinata, lambisce soltanto, inoltre, il capo 40) della rubrica (che tratta di un’estorsione, attuata secondo lo schema del c.d. cavallo di ritorno), formulando al riguardo censure totalmente generiche di carenza motivazionale, che devono, in quanto tali, essere considerate inammissibili.
Il secondo motivo del ricorso NOMECOGNOME e la connessa censura residua del primo motivo del ricorso COGNOME NOMECOGNOME che si passano così ad esaminare, risultano infondati.
In verità, la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma 6, T.U. stup. è configurabile solo a condizione che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità, e che, in concreto, l’attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nel paradigma di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup.
Il fenomeno associativo descritto nella sentenza impugnata non riflette affatto, come reso evidente dall’intera trama motivazionale, prima ancora che dalle puntualizzazioni operate alla pag. 218, l’immagine di un sodalizio avente ridotta organizzazione, né le condotte di acquisto e di spaccio sono state dalla sentenza ricondotte alla fattispecie della lieve entità.
Inammissibili o infondati devono giudicarsi il primo motivo del ricorso COGNOME, il motivo unico del ricorso COGNOME, il secondo motivo del ricorso COGNOME e il primo motivo del ricorso COGNOME che investono il profilo inerente all’affermazione della loro penale responsabilità in ordine ai reati-fine dell’organizzazione, loro contestati.
18.1. Il primo motivo del ricorso di Cinà è infondato, perché la lettura del dato probatorio che emerge dalla sentenza impugnata non rivela criticità.
Sul coinvolgimento dell’imputato nella vicenda relativa alla (parziale) restituzione della partita di droga oggetto del capo 30), della cui qualità NOME COGNOME si era detto insoddisfatto, la sentenza impugnata si sofferma con logiche e diffuse argomentazioni.
I fotogrammi, menzionati a pag. 230 della sentenza stessa, immortalano l’imputato entrare in casa Ingarao, il 12 novembre 2019, e uscirne dopo aver completato l’operazione. Il volto è ben visibile e il riconoscimento ad opera delle forze dell’ordine, trattandosi di soggetto a loro ben noto, non lascia adito a dubbi; e, del resto, nelle conversazioni intercettate COGNOME viene menzionato dal corriere NOME COGNOME con nome e cognome, mentre le ragioni della visita, che non riceve alcun’altra spiegazione alternativa lecita ad opera della difesa, risaltano da altre conversazioni ambientali, fedelmente interpretate.
Un riscontro ulteriore è fornito da un’intercettazione del giorno successivo, effettuata sempre in casa Ingarao alla presenza di Cinà, nel corso della quale quest’ultimo offre nuovamente in vendita partite di droga, sottolineando trattarsi, questa volta, di sostanza «buona».
Il motivo si limita a confutare, in termini controfattuali, le menzionate evidenze probatorie, senza rapportarsi al significato complessivo del ragionamento giudiziale, che dà conto di quanto COGNOME fosse pienamente inserito nel circuito della vendita di sostanze stupefacenti e avesse gestito in prima persona la vicenda originata dalle lamentele di NOME COGNOME per la cattiva qualità della sostanza cedutagli dall’imputato, autore primario, in veste di originario cedente, della condotta di cui in imputazione.
18.2. Inammissibile risulta il ricorso di COGNOME.
Esso reitera doglianze che investono, come non è consentito, il merito dell’accertamento probatorio e non si confronta realmente con la motivazione
della sentenza impugnata, nella parte in cui sono qui indicati gli elementi probatori che rendono cera l’identificazione dell’imputato come l’acquirente (sotto il nome di ‘COGNOME‘) della partita di 5 KG di droga oggetto del capo 45).
COGNOME è riconoscibile dalle immagini filmate nell’atto di fare ingresso, in quel frangente, in casa Ingarao, mentre la sua voce, riconosciuta dagli inquirenti, risuona durante l’intercettazione operata sull’utenza risultante essere da tempo, e incontestabilmente, in suo uso.
18.3. Inammissibile, per genericità e manifesta infondatezza, appare il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME
Le conversazioni, da cui è dato risalire agli acquisti e alle cessioni di stupefacente oggetto dei capi 31), 32) e 33), hanno tenore esplicito, univoco e incontroverso. Esse non si prestano a letture alternative, neppure prospettate.
Il mancato rinvenimento della droga, il cui trasporto era affidato a terzi, non osta dunque al riconoscimento di penale responsabilità, ancorato a un dato probatorio solido al di là di ogni ragionevole dubbio (tra le molte, Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, Albano, Rv. 270299-01).
18.4. Il primo motivo del ricorso di Marino è inammissibile per ragioni sovrapponibili a quelle già esposte al § 18.2.
Il riconoscimento dell’imputato, quale autore degli acquisti di droga di cui al capo 47), è stato operato sulla base di immagini di videosorveglianza e la sentenza impugnata illustra in modo conveniente ed esaustivo (pag. 281 segg.) le ragioni che conferiscono certezza all’identificazione, che il motivo contrasta in termini generici e con argomentazioni prive del necessario tono di legittimità, senza nemmeno illustrare i precisi profili di divergenza tra i fotogrammi e il cartellino fotosegnaletico agli atti, in modo da farli congruamente apprezzare.
Il quarto motivo del ricorso NOME COGNOME NOME verte sul rilievo dell’aggravante dell’ingente quantitativo di droga (art. 80, comma 2, T.U. stup.), in rapporto alle condotte di ripetuto acquisto di stupefacente di cui al capo 33).
Il motivo è infondato, perché lo stupefacente illecitamente commercializzato ammontava, secondo risultanze probatoriamente incontroverse, a 30 KG di sostanza, che rappresenta un dato numerico in sé talmente rilevante da esimere il giudice dal motivare ulteriormente sull’estrema offensività della condotta (Sez. 3, n. 20017 del 20/03/2024, COGNOME, Rv. 286378-02), in rapporto al massiccio rifornimento di mercato alla stessa legato e al numero certamente assai elevato di dosi confezionabili.
20. Il secondo motivo del ricorso COGNOME è manifestamente infondato, essendo la lieve entità della condotta di cui al capo 30) certamente da escludere sulla
base di plurimi e concorrenti rilievi, messi ineccepibilmente in luce dalla sentenza impugnata (pag. 228 e pag. 233).
Lo condotta in esame riguarda circa 2 KG di hashish e il suo smercio si inquadra in un novero di condotte ripetute, assumendo un ambito di tipo professionale.
L’esistente stretto collegamento dello smercio con le attività del sodalizio di narcotraffico lo colora ulteriormente in tali termini, accentuandone la dimensione criminale, a prescindere dall’esistenza o meno di precedenti penali in capo ai soggetti coinvolti (riscontrabili per Bologna, e non anche, in tesi, per Cinà).
I n tema di stupefacenti, la configurabilità del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, postula un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, oltre che alla quantità della sostanza (Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, COGNOME, Rv. 28570601; Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271959-01; Sez. 4, Sentenza n. 48850 del 03/11/2016, Barba, Rv. 268218-01).
Sulla base di tali parametri, congruamente apprezzati, la Corte territoriale ha negato – inappuntabilmente, dunque – la lieve entità del fatto.
21. Il terzo motivo del ricorso COGNOME è infondato, perché, a prescindere dall’eventuale erroneo riferimento all’esistenza a suo carico di pregiudizi penali (il motivo non è invero, sul punto, autosufficiente), la motivazione di diniego delle attenuanti generiche è saldamente ancorata alla gravità complessiva dell’occorso, elemento preponderante ed assorbente di negativa valutazione (cfr. § 9).
22. Il terzo motivo del ricorso NOME è infondato, perché la pur succinta motivazione della sentenza impugnata è idonea ad illustrare il ragionamento giudiziale sui profili circostanziali oggetto del motivo stesso; ragionamento privo di criticità rilevabili in questa sede, stante il congruo ed appropriato riferimento, da un lato, agli ingenti profitti nascenti dal narcotraffico (incompatibili con il preteso lucro di speciale tenuità), e dall’altro all’apporto nient’affatto marginale fornito dall’imputato allo sviluppo delle attività criminali e al consolidamento dell’organizzazione (che smentisce la tesi di una sua partecipazione di minima rilevanza al fenomeno associativo).
Sono questi i parametri che, sia pure implicito, e in assenza di diversi e preponderanti elementi di valore contrario risultanti al vaglio di merito (sotto questo profilo qui non direttamente sindacabile), danno altresì congrua ragione del diniego delle attenuanti generiche.
La pena risulta, infine, attestata al minimo di legge.
Il terzo motivo del ricorso NOME è inammissibile, perché vertente su profili (attenuanti generiche e dosimetria della pena) che non erano stati devoluti con adeguata specificità alla cognizione del giudice di appello.
Occorre dunque ribadire (v. § 14) che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione.
Il secondo motivo del ricorso COGNOME è infondato, perché il riferimento, operato dalla sentenza impugnata, alla gravità della condotta dell’imputato, riflessa dallo spessore del suo contributo in termini di compartecipazione associativa, dà implicita ragione – in assenza di diversi e preponderanti elementi di valore contrario risultanti al vaglio di merito (sotto questo profilo qui non direttamente sindacabile) – del diniego delle attenuanti generiche.
Il secondo motivo del ricorso COGNOME e il ricorso COGNOME sono inammissibili, perché l a pena risulta attestata al minimo di legge.
26. In conclusione:
il ricorso di NOME COGNOME deve essere respinto nella sua interezza e l’imputato deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali;
i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere respinti e tali imputati debbono essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali;
i ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere dichiarati inammissibili e tali imputati debbono essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione, di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comitato NOME COGNOME Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, SRAGIONE_SOCIALE
legalità/RAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE di Palermo, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Comune di Palermo, Sicilindustria e Centro studi ed iniziative culturali RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comitato Addio COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, F.a.i., Comune di Palermo, Sicilindustria e Centro studi ed iniziative culturali RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comitato Addio Pizzo, Comune di Palermo, Sicilindustria e Centro studi ed iniziative culturali RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Comune di Palermo, Sicilindustria e Centro studi ed iniziative culturali RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo.
Il tentativo di omicidio ai danni di COGNOME e l’incendio. Le posizioni degli imputati COGNOME e COGNOME
Viene inizialmente in esame il primo motivo del ricorso COGNOME che deve giudicarsi manifestamente infondato.
È infatti preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato ‘secco’ la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria è equiparata al mancato rinnovo in limine litis , ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen., della richiesta di accesso al rito, subordinata all’assunzione di prove integrative (Sez. 2, n. 13368 del 27/02/2020, COGNOME, Rv. 278826-01; Sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013, Altamura, Rv. 260532-01; Sez. 3, n. 27183 del 05/06/2009, COGNOME, Rv. 248477-01).
Ed è appena il caso di ribadire che la scelta del rito abbreviato incondizionato comporta la rinuncia alla garanzia, costituzionale e convenzionale, del contraddittorio nella formazione della prova, incluso il diritto all’ammissione
di prove a discarico, o al controesame delle persone che abbiano reso dichiarazioni a carico. L’imputato accetta, in questo caso, di essere giudicato sulla base degli atti delle indagini preliminari, così da evitare la celebrazione del dibattimento in favore di una definizione alternativa del giudizio secondo il modello della prova contratta, ottenendo in contropartita tempi più celeri di giudizio e, in caso di condanna, uno sconto sull’entità della pena.
28. Il primo motivo del ricorso COGNOME nonché il secondo, terzo, quarto, quinto e decimo motivo del ricorso COGNOME che si passa dunque ad esaminare, sono infondati.
28.1. La ricostruzione della vicenda storica di cui al capo 3), nei termini risultanti dalla narrativa, è dai ricorrenti posta in discussione con argomentazioni che attengono al merito dell’apprezzamento probatorio, che questa Corte notoriamente non è chiamata a rivisitare (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623-01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362-01; Sez. 4, n. 8090 del 25/05/1981, COGNOME, Rv. 150282-01).
La valutazione delle prove, compiuta dalla Corte di appello, appare congrua e logica, a fronte di rilievi controfattuali inidonei, anche perché tali, ad inficiare la coerente linearità del ragionamento giudiziale.
Non soltanto il racconto della persona offesa, quanto, in termini di estrema efficacia rappresentativa, il referto del Pronto soccorso e il tenore chiaro ed inequivoco del dialogo intercorso tra COGNOME e COGNOME, caduto sotto l’intercettazione degli inquirenti in un momento appena successivo al fatto (quando i correi incendiano l’automobile di COGNOME), rendono manifesta anzitutto la circostanza che COGNOME abbia diretto il colpo alla gola di COGNOME, e dunque ad una zona per definizione vitale del corpo, e abbia a tale scopo utilizzato un coltello, che è strumento idoneo a produrre, così impiegato, esiti potenzialmente letali.
La tipologia di arma si evince, essa stessa, dalla conversazione in questione. E appare evidente che l’azione di accoltellamento non ebbe conseguenze più gravi solo per la pronta reazione della vittima, fattasi scudo con il braccio.
28.2. Le citate risultanze sono state valutate dalla Corte di appello alla stregua dell’esatto principio, in forza del quale il dolo di omicidio non si misura, in caso di tentativo, sugli esiti lesivi ex post determinatisi, dovendo invece idoneità ed inequivocità dell’azione essere oggetto di prognosi postuma; la relativa prova deve essere cioè desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta – riferiti alla situazione che si presentava sul momento all’agente, in base alle condizioni umanamente prevedibili – che, per la loro non equivoca potenzialità offensiva, siano i più adatti ad esprimere il fine perseguito
da chi agisce (tra le molte, Sez. 1, n. 11928 del 29/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275012-01; Sez. 1, n. 35006 del 18/04/2013, COGNOME, Rv. 257208-01; Sez. 1, n. 30466 del 07/07/2011, COGNOME, Rv. 251014-01; Sez. 1, n. 39293 del 23/09/2008, COGNOME, Rv. 241339-01).
Da tale corretto approccio epistemologico la Corte di merito non si è discostata, avendo essa appropriatamente derivato l’idoneità letale della condotta, e l’ animus necandi , da una serie convergente di circostanze, quali le caratteristiche dell’arma, la zona del corpo attinta e il comportamento concludente dei correi.
La piena loro consapevolezza in ordine alla portata dell’occorso e il grado, anche psicologico, di compartecipazione di entrambi al fatto criminoso è plasticamente rivelata dalle loro stesse parole, che nulla autorizza a ritenere frutto di enfatica amplificazione. Né lo stato di ebbrezza alcolica può assurgere, come è noto, a scusante. COGNOME‘COGNOME si rammarica del fatto che COGNOME non fosse riuscito ad uccidere COGNOME, auspicando che la vittima potesse morire dissanguata, e queste affermazioni incrociano il silenzio complice e rivelatore dell’autore materiale della condotta.
28.3. D’India, in particolare, non può essere raffigurato come un mero connivente, non avendo egli mantenuto un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, e avendo viceversa egli fornito un contributo partecipativo positivo, di ordine morale, alla condotta criminosa dell’esecutore materiale, assicurando all’altro concorrente uno stimolo adeguato, infondendogli un maggiore senso di sicurezza e rendendo palese, come sopra, una chiara adesione alla condotta delittuosa (v., da ultimo, Sez. 3, n. 544 del 12/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287403-01).
Il comportamento di COGNOME lungo il corso dell’intera azione, dalla sentenza impugnata messo in opportuno risalto, dimostra come l’imputato fosse concorde, pur al di fuori di una previa intesa con il correo, nell’inseguire e aggredire a scopo omicida la vittima. È logico infatti ritenere che, se COGNOME fosse stato realmente sorpreso dalla condotta del correo, si sarebbe distinto da lui ad accoltellamento avvenuto e non si sarebbe reso autore né dell’inseguimento né dell’incendio della vettura.
Il dolo d’impeto, che emerge nella specie, non è affatto incompatibile con la figura del concorso di persone nel reato, proprio in quanto non è necessario, ai fini della configurabilità di quest’ultimo istituto, il previo accordo, essendo sufficiente la convergenza spontaneamente intervenuta in corso di azione, che si traduca in un supporto, pur estemporaneo, ma causalmente efficiente, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso (Sez. 1, n. 28794 del 15/02/2019,
COGNOME Rv. 276820-01; Sez. 2, n. 18745 del 15/01/2013, COGNOME, Rv. 255260-01).
28.4. Tale quadro di azione, adeguatamente rappresentato e ineccepibilmente valutato dalla sentenza impugnata, logicamente sorregge il finale giudizio, incensurabile in questa sede, di sussunzione dell’azione medesima, rispetto ad entrambi i ricorrenti, nella cornice legale dell’omicidio tentato.
28.5. La desistenza e il recesso attivo non sono minimamente configurabili, come giudizialmente ritenuto.
Il primo istituto, in un reato a forma libera come il tentato omicidio, può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto (Sez. 1, n. 11746 del 28/02/2012, Price, Rv. 252259-01) e non è ipotizzabile una volta che, come nella specie, siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento.
Ed è recisamente da escludere che i due concorrenti abbiano, dopo l’accoltellamento, messo in atto una condotta attiva che valesse a scongiurare l’evento. COGNOME e COGNOME si mettono a rincorrere COGNOME in fuga, inveendo contro il malcapitato dopo che questi ha raggiunto la propria automobile.
Il sesto e il settimo motivo del ricorso COGNOME sono manifestamente infondati.
Del tutto correttamente la Corte di appello ha riscontrato, rispetto al tentato omicidio, le aggravanti dei futili motivi e della minorata difesa.
Il movente pacifico dell’azione è rappresentato dall’accusa, precedentemente rivolta da COGNOME a COGNOME e COGNOME, di avere pagato una cena in trattoria con moneta falsa. Esiste, dunque, una palese sproporzione tra il fatto di reato e la causa che lo ha determinato, sproporzione che lascia intendere come lo stimolo esterno abbia rappresentato il mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale. Ricorrono, così, gli estremi sia oggettivo che soggettivo della circostanza di cui all’art. 61, n. 1), cod. pen. (Sez. 1, n. 45290 del 01/10/2024, S., Rv. 287333-01; Sez. 5, n. 45138 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277641-01; Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273119-01).
La vittima, poi, è stata colta di sorpresa e colpita alle spalle, mentre sedeva nella parte anteriore dello stretto abitacolo di un’automobile. La circostanza di cui all’art. 61, n.5), cod. pen. è dunque perfettamente configurabile, posto che a tal fine è sufficiente che la privata difesa sia stata semplicemente ostacolata (e non totalmente impedita: v. già Sez. 1, n. 7249 del 18/03/1993, Radisi, Rv. 197541-01).
30. Il secondo motivo del ricorso COGNOME e l’ottavo motivo del ricorso COGNOME sono infondati.
Il reato di cui all’art. 424, secondo comma, cod. pen. è ravvisabile nella condotta di chi, nell’appiccare il fuoco alla cosa altrui al solo scopo di danneggiarla, raggiunge l’intento senza tuttavia la coscienza e volontà di cagionare l’incendio viceversa sviluppatosi (Sez. 1, n. 29294 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276402-01; Sez. 1, n. 6250 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 24322801), per tale intendendosi un fuoco di non lievi proporzioni, capace di mettere in pericolo la pubblica incolumità (Sez. 4, n. 46402 del 14/12/2021, COGNOME Rv. 282701-01).
A tale principio la sentenza impugnata risulta essersi attenuta, avendo essa messo ineccepibilmente in risalto gli esiti altamente distruttivi del fuoco appiccato, che interessò e distrusse un’intera automobile, automezzo notoriamente contenente carburante, a sua volta infiammabile e suscettibile di esplodere.
La sentenza in scrutinio ha, in tal modo, adeguatamente riscontrato le necessarie caratteristiche di ampiezza e potenziale diffusività della combustione innescata, riconducibile al paradigma legale contestato in imputazione.
Quanto all’aggravante del nesso consequenziale ex art. 61, n. 2), cod. pen., la Corte di appello ha ineccepibilmente ritenuto che la Ford Fiesta di COGNOME sia stata incendiata per eliminare eventuali tracce del reato di tentato omicidio, antecedentemente commesso, oltre che in odio alla vittima.
Tale ricostruzione, perfettamente plausibile e logicamente argomentata, resiste a censura in questa sede.
31. Il nono motivo del ricorso COGNOME è infondato.
Con le aggravanti ritenute in sentenza, la pena risulta attesta in prossimità dei minimi di legge e la sua quantificazione, per costante giurisprudenza di legittimità ( a contrario , da ultimo, Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932-01), non richiedeva ulteriore giustificazione o illustrazione.
32. In conclusione:
i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere respinti e tali imputati debbono essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali;
NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere, altresì, condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate, in
ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo.
Le estorsioni di cui ai capi 39), 49) e 55). Le posizioni degli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME.
33. Il primo motivo del ricorso COGNOME è infondato.
Esso, pur formalmente deducendo un vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo all’affermazione di penale responsabilità in ordine all’estorsione di cui al capo 39), si limita in realtà a censurare il merito della ricostruzione della dinamica dell’episodio delittuoso operata dalla Corte distrettuale, prospettando una lettura alternativa delle risultanze istruttorie strutturata su argomentazioni che – più che criticare la congruità e la tenuta logica della motivazione della sentenza d’appello – si pongono in diretto confronto col materiale probatorio acquisito, sollecitandone un diverso apprezzamento da parte di questa Corte, secondo lo schema tipico di un gravame di merito che esula dalle funzioni dello scrutinio di legittimità (Sez. 6, n. 13442 dell’8/03/2016, Rv. 266924-01; Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, Rv. 258153-01).
Nel materiale probatorio confluisce invero un dialogo intercettato, da cui la Corte di appello ineccepibilmente ricava il pieno coinvolgimento di COGNOME, già autore del furto del motociclo, nella vicenda estorsiva legata alla sua restituzione. Di tale dialogo – nel quale NOME COGNOME, tra l’altro, comunica a COGNOME e COGNOME l’entità della somma a tale scopo corrisposta dal derubato, mentendo peraltro sulla sua reale entità – il ricorrente offre una indebita lettura atomistica e minimizzante, e ne denuncia il travisamento senza tuttavia apportare elemento alcuno che dimostri che il giudice di merito ne abbia riprodotto il ‘significante’ in modo difforme da quello reale. Quella che è proposta, in verità, è una reinterpretazione del ‘significato’, in questa sede preclusa (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558-01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516-01; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 237994-01).
Il ricorrente oblitera, poi, il valore probante dei servizi di pedinamento effettuati dalla polizia giudiziaria, in cui è osservata la scena in cui COGNOME e COGNOME mettono il motociclo a disposizione di COGNOME in funzione della consumazione dell’estorsione, e sotto questo profilo il motivo omette, altresì, di confrontarsi adeguatamente con l’apparato argomentativo approntato dalla sentenza impugnata a conferma del verdetto di colpevolezza.
Il secondo motivo del ricorso COGNOME è inammissibile, nella parte concernente la recidiva, giacché sul punto non era stato articolato motivo di appello.
Il motivo è inammissibile nel resto, perché alla denuncia di assenza di motivazione in punto di attenuanti generiche si accompagna un’astratta rassegna di indicatori che avrebbero potuto giustificarne la concessione, piuttosto che la specifica e compiuta illustrazione degli elementi favorevoli che la Corte di appello possa avere trascurato e debba essere chiamata a valutare.
35. Il terzo motivo del ricorso COGNOME è fondato.
La quantificazione finale della pena, inclusi gli aumenti per la recidiva e la continuazione e all’esito della riduzione di un terzo per il rito, è affetta da un palese errore di calcolo, che deve essere emendato in questa sede (ex art. 620, comma 1, lett. l, cod. proc. pen.) nella misura di cui al § 38.
36. Il ricorso COGNOME è inammissibile. La pena risulta, infine, attestata al minimo di legge.
37. Il ricorso COGNOME è inammissibile.
Il ricorso è totalmente avulso dalla motivazione della sentenza impugnata e prospetta un’inammissibile ricostruzione alternativa e minimizzante dei fatti integranti la condotta estorsiva di cui al capo 55).
Occorre, invero, conclusivamente ribadire che il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza del giudice di merito non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali: la funzione del controllo di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere direttamente l’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074-01).
La Corte di cassazione, in altre parole, è giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, e non del contenuto e del significato della prova, e dunque ad essa è normativamente precluso di procedere a una rinnovata valutazione degli elementi di fatto che la Corte di merito ha posto a fondamento della decisione, o all’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di lettura
dei fatti e delle risultanze istruttorie, prospettati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa di quelli adottati dal giudice di merito, che trasformerebbero la Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Nella specie, la sentenza impugnata ha dato conto in modo puntuale, con argomentazioni adeguate e coerenti che non incorrono in alcun vizio logico, delle ragioni della palese inattendibilità del teste a discarico e delle modalità attraverso le quali si è attuata l’intimidazione ai danni di NOME e NOME, perfettamente idonee allo scopo, effettivamente raggiunto, di privare gli aventi diritto del legittimo godimento del loro immobile.
38. In conclusione:
la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, che deve essere rideterminato in cinque anni, due mesi e venti giorni di reclusione e 1.400,00 euro di multa (p.b.: cinque anni di reclusione e 1.000 euro di multa per il capo 39; aumentata per la recidiva a sette anni e sei mesi di reclusione e 1.500 euro di multa; aumentata a sette anni e dieci mesi di reclusione e 2.100 euro di multa per la continuazione; ridotta per il rito alla misura indicata); il ricorso di COGNOME deve essere respinto nel resto;
i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME debbono essere debbono essere dichiarati inammissibili e tali imputati debbono essere condannati, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione, di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in tremila euro;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Comune di Palermo, Sicilindustria e Centro studi ed iniziative culturali ‘Pio La Torre’ Onlus, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Palermo, RAGIONE_SOCIALE e Centro studi ed iniziative culturali ‘RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo;
NOME COGNOME deve essere, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE
Impresa-RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Confcommercio di Palermo, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in ragione dell’impegno defensionale profuso, nelle rispettive misure di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, che ridetermina in anni cinque, mesi due, giorni venti di reclusione ed euro 1.400,00 di multa; rigetta nel resto il ricorso di COGNOME.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME Salvatore limitatamente alla determinazione degli aumenti di pena a titolo di continuazione per i reati satellite con rinvio per nuovo giudizio sui predetti punti ad altra sezione della Corte di appello di Palermo; rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME e di COGNOME.
Rigetta i ricorsi di COGNOME Paolo, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giovanni, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME Vincenzo, COGNOME NOME e COGNOME Vincenzo, che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Condanna gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comitato Addio Pizzo, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Condanna gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.
Condanna gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME Salvatore, COGNOME NOME, COGNOME Vincenzo e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di Palermo, che liquida in favore di ciascuna in complessivi euro 5.600,00, oltre accessori di legge.
Condanna gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME Vincenzo e COGNOME Giovanni alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE che liquida in favore di ciascuna di esse in euro 5.600,00, oltre accessori di legge.
Condanna gli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Palermo, Sicilindustria e Centro RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che liquida in favore di ciascuna di esse in complessivi euro 6.000,00, oltre accessori di legge.
Condanna gli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in euro 5.000,00, oltre accessori di legge e dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.000, oltre accessori di legge.
Condanna gli imputati COGNOME NOME e COGNOME Salvatore alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili: RAGIONE_SOCIALE Francesco e RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 5.720,00, oltre accessori di legge; dalle parti civili COGNOME NOME e COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 4.000,00 a favore di ciascuna di esse, oltre accessori di legge; dalle parti civili NOME NOME e NOME che liquida in complessivi euro 4.400,00 a favore di ciascuna di esse oltre accessori di legge; dalla parte civile COGNOME che liquida in complessivi euro 4.400,00 oltre accessori di legge.
Condanna l’imputato COGNOME Giovanni alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME Gabriel e RAGIONE_SOCIALE che liquida in complessivi euro 5.720,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 29/04/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME