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Partecipazione associativa: la prova dalle intercettazioni

La Corte di Cassazione conferma la misura cautelare per un soggetto accusato di traffico di droga, ritenendo provata la sua partecipazione associativa sulla base di intercettazioni. La Corte ha considerato un’apparente contraddizione nella motivazione del tribunale del riesame come un semplice errore materiale, non idoneo a inficiare la coerenza del ragionamento probatorio e ha ribadito i limiti del proprio sindacato sulla valutazione delle prove e sull’attualità delle esigenze cautelari.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associativa: Quando le Intercettazioni Bastano per la Misura Cautelare

La prova della partecipazione associativa a un’organizzazione criminale rappresenta uno dei temi più complessi nel diritto penale. Con la sentenza n. 8148/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla valutazione degli elementi indiziari, in particolare quelli derivanti da intercettazioni, ai fini dell’applicazione di una misura cautelare. La decisione offre spunti cruciali su come interpretare le conversazioni captate e sulla rilevanza di apparenti contraddizioni nella motivazione dei provvedimenti.

I Fatti: La Misura Cautelare e il Ricorso al Riesame

Il caso ha origine da un’ordinanza del GIP del Tribunale di Catanzaro, che applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari a un individuo per i reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90) e spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90). L’indagato, tramite il suo difensore, presentava istanza di riesame.

Il Tribunale del Riesame, tuttavia, confermava la misura, rigettando le argomentazioni difensive. Contro questa seconda ordinanza, l’indagato proponeva ricorso per Cassazione, articolando tre distinti motivi di impugnazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa contestava la decisione del Tribunale del Riesame su tre fronti principali:

1. Violazione di legge sulla partecipazione associativa: Si sosteneva l’assenza di elementi indicativi di un inserimento stabile dell’indagato nel sodalizio criminale. La difesa evidenziava come le intercettazioni fossero state male interpretate e non provassero un ruolo definito all’interno del gruppo.
2. Vizio di motivazione sui reati di spaccio: Si lamentava una motivazione carente sulla qualità e tipologia della droga, nonché sull’effettiva destinazione allo spaccio anziché al consumo personale, dato che l’indagato era un consumatore abituale.
3. Carenza delle esigenze cautelari: La difesa sottolineava il lungo tempo trascorso tra i fatti (risalenti al 2019) e l’applicazione della misura (maggio 2023), l’avvenuto trasferimento dell’indagato in un’altra regione e la sua attuale condizione di lavoratore dipendente, elementi che, a suo dire, facevano venir meno l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

La Prova della Partecipazione Associativa secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il primo motivo, fulcro della controversia. I giudici di legittimità hanno validato la ricostruzione operata dal Tribunale del Riesame, definendola “coerente ed organica”. Il percorso argomentativo del tribunale si fondava sull’analisi di specifiche conversazioni che, lette in sequenza, dimostravano prima l'”ingaggio” (ovvero l’ingresso) dell’indagato nell’associazione e, successivamente, un suo tentativo di “riammissione” dopo un temporaneo allontanamento.

L’interpretazione delle conversazioni e l’errore materiale

Un punto interessante toccato dalla Corte riguarda un’apparente contraddizione nella motivazione del Tribunale. In una parte dell’ordinanza si faceva riferimento a una conversazione del marzo 2019 come prova di una richiesta di “riammissione”, mentre in un’altra parte la stessa conversazione era stata correttamente interpretata come prova dell'”ingaggio” iniziale. La Cassazione ha liquidato questa incongruenza come un semplice “mero errore materiale”, dal peso “assolutamente irrilevante” e inidoneo a inficiare la solidità complessiva del ragionamento probatorio.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, relativo ai singoli episodi di spaccio. Le censure difensive sono state giudicate generiche e “meramente rivalutative del merito”, un tipo di analisi che non è consentita in sede di legittimità. Inoltre, il ricorso mancava del requisito di autosufficienza, poiché non riportava integralmente le trascrizioni delle conversazioni contestate, impedendo alla Corte di valutarne la presunta illogicità.

Anche il terzo motivo, sulle esigenze cautelari, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il pericolo di reiterazione del reato può essere considerato “attuale” anche a distanza di tempo dai fatti e anche se l’indagato non ha “effettive ed immediate opportunità di ricaduta”. La valutazione prognostica deve basarsi sulla personalità del soggetto, sulle modalità del fatto e sul contesto socio-ambientale. Nel caso di specie, la personalità negativa dell’indagato, i suoi stretti legami criminali e il ruolo associativo ricoperto sono stati ritenuti elementi sufficienti a giustificare la misura, nonostante il tempo trascorso e il cambiamento di residenza.

Le Conclusioni

Con la sentenza n. 8148/2024, la Corte di Cassazione conferma la propria linea interpretativa sulla valutazione della prova indiziaria in materia di misure cautelari. La decisione sottolinea tre punti fondamentali:

1. Coerenza del quadro indiziario: Ai fini della valutazione, il provvedimento giurisdizionale va letto nel suo complesso; un singolo errore materiale non è sufficiente a demolire un impianto argomentativo logico e coerente.
2. Limiti del giudizio di legittimità: La Cassazione non può sostituirsi al giudice di merito nella valutazione del contenuto delle prove, come le intercettazioni, ma può solo verificare la logicità e la coerenza della motivazione.
3. Attualità delle esigenze cautelari: L’attualità del pericolo non coincide con l’imminenza della commissione di un nuovo reato, ma si basa su un giudizio prognostico complessivo sulla pericolosità del soggetto, che può permanere anche a distanza di anni dai fatti contestati.

Un’apparente contraddizione nella motivazione di un’ordinanza cautelare la rende automaticamente nulla?
No. Secondo la Corte, se la decisione giurisdizionale costituisce nel suo insieme un “tutto coerente ed organico”, una singola incongruenza può essere considerata un mero errore materiale, irrilevante ai fini della validità del provvedimento, qualora non incida sulla logicità complessiva del percorso argomentativo.

Come valuta la Cassazione la prova della partecipazione associativa a un’organizzazione criminale?
La Cassazione non valuta direttamente le prove, ma controlla la logicità e coerenza della motivazione del giudice di merito. In questo caso, ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse costruito un percorso argomentativo coerente, basato sull’interpretazione di conversazioni che, lette in successione, delineavano un quadro logico di ingresso e successiva permanenza dell’indagato nel sodalizio criminale.

Il trascorrere di molto tempo tra i fatti e l’applicazione di una misura cautelare esclude automaticamente il requisito dell’attualità del pericolo?
No. La Corte ribadisce che il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato non richiede l’imminenza della commissione di ulteriori reati. Esso può sussistere anche quando l’indagato non disponga di immediate opportunità di ricaduta, sulla base di una valutazione prognostica che tiene conto della personalità del soggetto, della gravità dei fatti e del contesto criminale di riferimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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