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Partecipazione associativa: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due indagati in stato di custodia cautelare per reati di mafia e narcotraffico. La sentenza sottolinea come la prova della partecipazione associativa possa derivare da ruoli fiduciari, come quello di autista del capoclan, e da una stabile attività di fornitura di stupefacenti, che va oltre il singolo episodio di spaccio. I legami di parentela, anziché escludere il reato, possono rafforzare il vincolo criminale. La Corte ha inoltre ribadito l’inammissibilità di censure fattuali e di motivi sollevati per la prima volta in sede di legittimità.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associativa: Quando il Ruolo Fiduciario Diventa Prova

Con la sentenza n. 7739/2024, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini della partecipazione associativa in contesti di criminalità organizzata, sia di stampo mafioso che finalizzata al narcotraffico. La decisione offre importanti chiarimenti su come valutare gli indizi a carico degli indagati, confermando che ruoli apparentemente secondari o legami familiari non escludono, ma anzi possono rafforzare, la prova del coinvolgimento in un sodalizio criminale. Analizziamo insieme i punti salienti di questa pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui contro un’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli, che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere nei loro confronti. Le accuse erano gravissime: associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/90) e altri reati connessi.

I ricorrenti contestavano la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Uno degli indagati sosteneva che il suo ruolo di autista per il presunto capoclan fosse giustificato da un rapporto di parentela e non da un vincolo criminale. L’altro lamentava l’ambiguità delle conversazioni intercettate, dalle quali non emergeva con chiarezza il suo stabile inserimento nel gruppo criminale, ma al più episodi isolati di compravendita di droga.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. I giudici hanno ritenuto che le censure mosse dagli indagati fossero, in larga parte, tentativi di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte si è concentrata sulla correttezza logica e giuridica della motivazione del Tribunale del riesame, trovandola esente da vizi.

Inoltre, è stato evidenziato un vizio procedurale decisivo: alcune delle contestazioni sollevate in Cassazione (come quelle relative all’identificazione certa degli interlocutori nelle intercettazioni) non erano mai state presentate al Tribunale del riesame, rappresentando quindi motivi nuovi e, come tali, inammissibili.

Le Motivazioni: Analisi della Partecipazione Associativa

Il cuore della sentenza risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha respinto le argomentazioni difensive. I giudici hanno ribadito principi consolidati in materia di partecipazione associativa.

Per quanto riguarda l’indagato con il ruolo di autista, la Corte ha sottolineato come l’accompagnare un capoclan, scarcerato dopo trent’anni di detenzione, in incontri delicati, costituisca un ruolo fiduciario di altissimo livello, sintomatico di un pieno inserimento nel sodalizio. Il legame di parentela, lungi dall’essere una scusante, è stato visto come un elemento che può rafforzare il vincolo associativo, rendendolo ancora più pericoloso e coeso, secondo un principio già affermato in giurisprudenza sull’affectio familiae.

Per l’altro indagato, la Corte ha chiarito la differenza tra un acquirente occasionale di droga e un membro di un’associazione dedita al narcotraffico. La sua costante disponibilità a fornire le sostanze, fungendo da trait-d’union tra il clan e le piazze di spaccio, e il suo ruolo di ‘consulente’ per la qualità della droga, sono stati ritenuti elementi sufficienti a dimostrare un contributo stabile e consapevole alla vita dell’associazione. Non si tratta di singoli episodi, ma di una funzione durevole che integra la condotta di partecipazione associativa prevista dall’art. 74 d.P.R. 309/90.

Conclusioni

La sentenza in esame offre due importanti lezioni. La prima, di natura sostanziale, è che per provare la partecipazione associativa non sono necessari atti eclatanti: anche ruoli di supporto logistico o una stabile intermediazione nel traffico di droga possono costituire gravi indizi, specialmente se dimostrano un rapporto di fiducia con i vertici dell’organizzazione. I legami familiari, in contesti mafiosi, sono spesso un collante del vincolo criminale, non un’attenuante. La seconda lezione è processuale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito. Le censure devono riguardare violazioni di legge o vizi logici evidenti nella motivazione, e non possono essere introdotte questioni di fatto o argomenti mai sollevati nei gradi precedenti.

Un rapporto di parentela con un boss esclude la partecipazione a un’associazione criminale?
No, la Corte chiarisce che l’esistenza di rapporti parentali o coniugali, sommandosi al vincolo associativo, può rendere quest’ultimo ancora più pericoloso, e non esclude la sussistenza della consorteria criminosa.

Una fornitura continua di droga è sufficiente per provare la partecipazione associativa?
Sì, secondo la sentenza, la costante disponibilità a fornire le sostanze oggetto del traffico del sodalizio, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori, integra la condotta di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione argomenti non discussi davanti al Tribunale del riesame?
No, la Corte ha ribadito che è sistematicamente non consentita la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità di vizi della motivazione relativi a elementi fattuali non richiamati nell’atto di appello (riesame), dichiarando tali doglianze inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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