Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17329 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17329 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TAURIANOVA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/09/2023 del TRIB. DEL RIESAME di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Procuratore generale, COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, per il ricorrente, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso. il
RITENUTO IN FATTO
Questa Corte è investita del ricorso contro l’ordinanza pronunziata il 22 settembre 2023 dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che ha rigettato la richiesta di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME, attinto da ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria emessa il primo agosto 2023 in quanto ritenuto gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. quale partecipe della cosca di ‘ndrangheta denominata COGNOME.
Avverso detta ordinanza ricorre l’indagato attraverso i propri difensori.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, il ric:orrente lamenta violazione degli artt. 416-bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame – esordisce il ricorrente – a fronte delle critiche esposte dalla difesa in sede di riesame, si sarebbe limitato a una parafrasi di quanto scritto dal Giudice per le indagini preliminari. Il RAGIONE_SOCIALE avrebbe altresì erroneamente enfatizzato la precedente condanna del ricorrente per il favoreggiamento della latitanza di NOME COGNOME – risalente al 2004-2005 – e la sottoposizione a processo per l’omicidio di NOME COGNOME (reato per cui il ricorrente è oggi sottoposto a misura cautelare), ipervalorizzando altresì una serie di episodi sporadici, reputandoli indicativi dell’agevolazione della latitanza di NOME COGNOME, ma trascurando la circostanza che NOME non ha precedenti per il reato associativo.
Quanto, in particolare, al peso indiziario attribuito al coinvolgimento nell’omicidio COGNOME, il ricorrente segnala che l’accertamento della relativa responsabilità è ancora in corso e che, comunque, l’omicidio non è indicato come reato fine dell’associazione RAGIONE_SOCIALE ed è solo aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa. Al più, i dati a disposizione per lo scrutinio sulla gravità indiziaria consentirebbero il solo addebito di favoreggiamento della latitanza di NOME COGNOME.
Il ricorso, quindi, dopo aver riportato alcuni passaggi di sentenze di questa Corte in tema di partecipazione associativa e di distinguo di tale condotta da quella di favoreggiamento, adduce, quale elemento a discarico, che altro indagato, NOME COGNOME, raggiunto dai medesimi indizi, abbia ottenuto dal Tribunale del riesame l’annullamento dell’ordinanza cautelare, proprio a seguito della svalutazione di alcune conversazioni con COGNOME. Ugualmente significativi in bonam partem sarebbero, infine, gli annullamenti delle ordinanze anche per NOME COGNOME e NOME COGNOME, operante nel Comune di Rizziconi.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. e concerne il giudizio del Tribunale del riesame sulla sussistenza delle esigenze cautelari.
Secondo il ricorrente, non sussisterebbe il pericolo di recidiva e la relativa motivazione sarebbe illogica, sia perché quasi tutti gli appartenenti al clan COGNOME sono attualmente in carcere o sotto proc:esso, sia perché COGNOME è oggi detenuto per altro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Quale premessa alle osservazioni specifiche che seguono – necessaria in ragione dell’impostazione del ricorso – occorre rievocare il principio a lume del quale vanno ritenuti inammissibili i motivi di ricorso per cassazione non solo quando essi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì allorché difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (principio ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823), nel senso che le doglianze del ricorrente devono “dialogare” in maniera critica con quelle del provvedimento impugnato e non seguire una propria, autonoma linea ricostruttiva, che finisca però per non contrapporsi e smentire le ragioni della decisione avversata.
Coerente con il dovere di specifica censura è l’esegesi – praticabile anche in materia cautelare – secondo cui il difetto di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, M., Rv. 277091; Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 255096).
Proprio alla luce di questa premessa, il RAGIONE_SOCIALE deve rilevare che l’impugnativa patisce un difetto di base, vale a dire quello di essersi riferita solo ad alcuni dei dati valorizzati dal Tribunale per respingere il riesame, peraltro affrontandoli secondo una prospettiva assolutamente parziale, che non fa i conti con il complesso della motivazione del provvedimento impugnato, laddove quest’ultimo traccia il quadro della gravità indiziaria secondo un percorso ricostruttivo lineare e logico che conduce a ritenere COGNOME un partecipe del clan COGNOME. In sostanza, quindi, fin dalla sua impostazione generale, il ricorso persegue una propria direttrice ricostruttiva, orientata a evidenziare l’estraneità di COGNOME alle logiche e alle dinamiche associative, ma priva del necessario dialogo critico con l’intero ordito della decisione avversata.
L’aspecificità, tuttavia, si coglie anche rispetto a singoli argomenti esaltati in senso accusatorio dal RAGIONE_SOCIALE della cautela.
2.1. In primo luogo, il ricorrente omette del tutto di considerare che un primo dato cui il Tribunale del riesame ha attribuito valenza indiziarla è costituito dalle dichiarazioni eteroaccusatorie del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che aveva rivelato agli investigatori come COGNOME fosse un affiliato che aveva ottenuto la dote di camorrista e che era fortemente legato a
NOME COGNOME, classe DATA_NASCITA; si tratta, naturalmente, di un elemento che andava considerato, nel necessario vaglio ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in uno ad altri che lo riscontrassero e che, effettivamente, il RAGIONE_SOCIALE della cautela ha inserito nell’ambito di una congerie di ulteriori elementi di segno convergente, ma che il ricorrente non affronta affatto.
2.2. Altro aspetto dell’impugnativa sub iudice che manca del dovuto confronto con le ragioni dell’ordinanza impugnata – e che è anche manifestamente infondato in diritto – attiene alla critica circa l’esaltazione, in chiave indicativa della partecipazione associativa, del coinvolgimento di COGNOME nell’omicidio di NOME COGNOME, commesso in uno ad altri esponenti della consorteria e finalizzato a “punire” il fratello della vittima, il già menzionato collaboratore di giustizia NOME COGNOME, sia per il contributo offerto agli inquirenti, sia perché autore del tentato omicidio di NOME COGNOME. Il giudizio di gravità indiziaria a carico dell’indagato raggiunto da altra Autorità Giudiziaria in ordine a tale fatto di sangue – contestato come aggravato ex art. 416-bis. 1 cod. pen. – ha indotto il Tribunale di Reggio Calabria a ritenere acquisiti, nei limiti del giudizio richiesto ex art. 309 cod. proc. pen., gli indicatori del suo pieno coinvolgimento associativo delineati dall’esegesi di questa Corte, come soggetto stabilmente inserito nella struttura organizzativa dell’associazione e a disposizione del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (da ultima, Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, rviodaffari, Rv. 281889). Il ricorrente non contesta tanto il ragionamento indiziario, quanto la circostanza che la sua responsabilità in ordine al concorso nell’uccisione di COGNOME non sia stata ancora accertata con sentenza passata in giudicato, nella sostanza pretendendo di applicare al subprocedimento cautelare la regola di cui all’art. 238-bis codice di rito.
Ebbene, tale impostazione non può avere seguito, per varie concorrenti ragioni.
La prima è che la parte omette di prendere atto di una circostanza che il RAGIONE_SOCIALE della cautela ha espressamente valutato in malam partem, vale a dire che, sulla gravità indiziaria relativa alla sua partecipazione all’omicidio, era sceso il giudicato cautelare, legato alla conclusione del relativo subprocedimento con decisione di questa Corte, che, 1’11 maggio 2022, ha dichiarato inammissibile il ricorso di COGNOME contro l’ordinanza emessa ex art. 309 codice di rito (Sez. 2, n. 28552/22).
L’altra è che il ricorrente – opponendo alla ricostruzione del Tribunale del riesame la mancanza di un giudicato sulla responsabilità – finisce per pretendere un’interpretazione dell’art. 238-bis cod. proc. pen., pur non espressamente invocato, che travalica la reale portata della disposizione così
come costantemente interpretata da questa Corte, con esegesi che il RAGIONE_SOCIALE intende in questa sede ribadire.
Fin da Sez. 1, n. 17269 del 02/03/2001 (ricorrente Giainino, Rv. 218819), infatti, si era persuasivamente affermato il principio secondo cui «i gravi indizi di colpevolezza per richiesti dall’art.273, comma 1, c.p.p. per l’applicazione e il mantenimento di misure cautelari personali possono essere validamente desunti anche da sentenze non ancora irrevocabili, senza che ciò comporti violazione ne’ dell’art.238 bis c.p.p. (il quale, nel prevedere che possano essere acquisite e valutate come prova le sentenze divenute irrevocabili, si riferisce al giudizio di colpevolezza e non alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari), ne’ dell’art.238, comma 2 bis, c.p.p.,(il quale, nel subordinare l’acquisizione di dichiarazioni rese in altri procedimenti alla condizione che il difensore abbia partecipato alla loro assunzione, si riferisce anch’esso al solo giudizio sulla responsabilità)». Il medesimo principio è stato ribadito da Sez. 5, n. 57105 del 15/10/2018, COGNOME, Rv. 274404, da Sez. 1, n. 40997 del 14/10/2008, dep. 2009, Caterino, Rv. 241431 – quanto all’art. 238 cod. proc. oen. – e da Sez. 6, n. 88 del 06/11/2008, dep. 2009 (ricorrente COGNOME e altro, Rv. 242376), quest’ultima che ha escluso espressamente il rilievo dell’art. 238-bis cod. proc. pen., anche laddove i dati esterni al procedimento consistano in risultanze meramente investigative raccolte in altri procedimenti in fase predibattimentale).
Tale principio è stato tuttavia precisato da quelle pronunzie secondo cui le sentenze non irrevocabili – ancorché suscettibili di acquisizione e valorizzazione ai fini della verifica delle condizioni di applicabilità delle misure – non possono essere recepite acriticamente, ma devono necessariamente essere valutate autonomamente, tenendo conto del complesso degli altri elementi acquisiti nel procedimento, ove la sentenza non definitiva viene utilizzata (Sez. 2, n. 7320 del 10/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259159, recepita da Sez. 5 COGNOME, in motivazione; il principio era stato già affermato da una ulteriore, risalente pronunzia sul tema, Sez. 1, n. 4807 del 23/11/1992, dep. 1993, COGNOME, Rv. 192660.
Se questa è la cornice giurisprudenziale in cui si inquadra il tema devoluto, la conferma dell’inesistenza del divieto di utilizzazione agitato dal ricorrente discende dalla stessa disciplina dei presupposti di applicabilità delle misure cautelari. L’art. 273, comma 1-bis cod. proc. pen., infatti, prevede che «nella valutazione dei gravi indizi si applicano le disposizioni degli artt. 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1», mentre la disposizione non contempla affatto – per quanto di specifico interesse in questa sede – l’art. 238-bis cod. proc. pen. L’assenza del richiamo alla disposizione che si pretende violata tra quelle che limitano o, comunque, disciplinano il novero degli elementi che
possono essere portati a fondamento di una misura cautelare è tanto più significativa se si pensa che la norma costituisce il frutto di un intervento novellatore di matrice profondamente garantista; essa, infatti, risponde all’esigenza di adeguare il codice di rito alle novità derivanti dalla modifica ex I. 23 novembre 1999, n. 2 dell’art. 111 Cost., essendo stata inserita dalla legge 1 marzo 2011, n 63 recante «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione».
In conclusione, dunque, data l’assenza di un divieto normativo, la condivisibile apertura della giurisprudenza di questa Corte all’utilizzo del dato esterno anche quando non cristallizzato in una sentenza definitiva e pur tenendo conto della altrettanto condivisibile esigenza di “meditazione” del dato esterno richiesta dalle sentenze COGNOME, COGNOME e COGNOME sopra citate, la decisione avversata risulta ineccepibile quando ha provveduto ad una ragionata collocazione del gravissimo episodio ai danni di COGNOME nell’ambito del provvedimento impugnato, che ne fa solo uno dei numerosi tasselli che compongono il quadro indiziario e che risultano coerentemente collegati tra loro.
A quest’ultimo riguardo, non va taciuto che ulteriormente eloquente della aspecificità del ricorso sul tema dell’omicidio COGNOME è anche la pretesa estraneità del crimine all’ambito dei reati fine del sodalizio, come se l’aggravamento del reato per l’agevolazione mafiosa non valesse ad iscrivere il fatto di sangue in quelli realizzati per garantire, attraverso un’azione ad evidente contenuto dimostrativo-punitivo, l’affermazione della supremazia criminale della cosca.
2.3. Ancora, il ricorrente non si confronta con un’altra serie di dati di valenza indiziaria che il Tribunale del riesame ha esaltato o, comunque, ne tenta una lettura disorganica e parcellizzata.
2.3.1. Ci si riferisce innanzitutto a quello, fortemente eloquente di un suo risalente coinvolgimento nella cosca, della condanna definitiva per il favoreggiamento della latitanza del capocosca NOME COGNOME, aggravato dall’agevolazione mafiosa. Fatto che – a dispetto del tentativo del ricorrente di isolarlo nel tempo – il RAGIONE_SOCIALE della cautela ha razionalmente posto in continuità con la analoga condotta di favoreggiamento dei contatti di NOME COGNOME con la famiglia durante la sua latitanza, contatti propiziati proprio dall’opera dell’indagato.
2.3.2. Dimentica, inoltre, il ricorrente che il RAGIONE_SOCIALE cautelare ha valorizzato, come indicativo di appartenenza all’aggregato criminale, anche il possesso di SIM card olandesi, già accertato nel procedimento per l’omicidio
COGNOME, non sottoposte alle intercettazioni e possedute anche da altri appartenenti all’associazione per delinquere.
2.3.3. Altri due aspetti sintomatici dell’appartenenza associativa di RAGIONE_SOCIALE, che il ricorrente non fronteggia con la dovuta specificità, sono quelli – pure valorizzati dal Tribunale del riesame – dei frequenti contatti c:on altri accoliti dei COGNOME e del mutuo sostegno economico verso e da altri appartenenti alla compagine e del possesso, in capo all’indagato, di informazioni riservate che gli episodi del favoreggiamento dimostrano e che, con motivazione immune da vizi logici, il Tribunale ha reputato indicativi del pieno coinvolgimento del ricorrente nelle dinamiche associative e nella circolazione di informazioni su situazioni delicate e cruciali che potevano essere condivise solo con un soggetto completamente addentro alla consorteria.
2.3.4. Quanto al riferimento che l’indagato agita alla sorte cautelare di altri soggetti e ad una pretesa incoerenza decisionale del Tribunale di Reggio Calabria, il ricorso non solo è generico circa le vicende che hanno riguardato i soggetti evocati e le specifiche posizioni, ma è anche manifestamente infondato in quanto non si comprende come il giudizio su altri soggetti, necessariamente centrato sul bagaglio indiziario proprio di ciascuno, possa servire a dimostrare che vi sarebbe stata una valutazione errata o, comunque, manifestamente illogica della posizione di COGNOME.
Il ricorso è, poi, del tutto generico quando affronta il tema delle esigenze cautelari, adducendo, quali elementi che ne smentirebbero l’esistenza, due dati evocati del tutto genericamente e, comunque, radicalmente inidonei a far ritenere insussistente il pericolo di recidiva e a ritenere vinta la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Si tratta, in primo luogo, dell’incarcerazione di tutti gli appartenenti al clan COGNOME, dato che non solo sfugge ad ogni verifica da parte di questa Corte, ma che comunque sarebbe ininfluente sul vaglio ex art. 309 cod. proc. pen., siccome dato esterno, la cui persistenza non sarebbe controllabile dal Giudice della cautela; così come non controllabile sarebbe la detenzione di COGNOME per altra causa, pure agitata nel ricorso.
In questo senso si è espressa la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, secondo cui (cfr. in motivazione Sez. 1, n. 3762 del 4/10/2019 dep. 2020, COGNOME, Rv. 278498, richiamata anche da Sez. 4, n. 484 del 12/11/2021 dep. 2022, NOME, Rv. 282416; Sez. 1, n. 719 del 6/12/1995, COGNOME, Rv. 201119; Sez. 6, n. 1453 del 19/4/1995, COGNOME, Rv. 202308), poiché qualunque titolo detentivo (cautelare o definitivo) è suscettibile di estinzione per cause diverse e non controllabili dal Giudice che procede e di competenza di altri
organi cui competano le decisioni su quel titolo custodiale, la detenzione per altro non è circostanza valida al fine di sostenere l’elisione o l’insussistenza originaria di una misura cautelare. A tanto può giungersi senza neanche prendere posizione sulla divaricazione interpretativa esistente rispetto ad altro orientamento – favorevole ad una sia pur condizionata valenza dell’esistenza dell’altro titolo custodiale – giacché esso sembra essersi formato per i soli casi in cui l’altro titolo sia costituito da una condanna definitiva posta in esecuzione (si veda, per un’efficace ricostruzione del contrasto, Sez. 1 COGNOME, cit., in motivazione) .
Per altro verso, il ricorso non sfugge alla scure dell’inammissibilità anche perché manca di qualsiasi dialogo critico con tutte le circostanze di fatto considerate dal Tribunale del riesame per ritenere non vinta la presunzione di legge, vale a dire le pregresse condanne di COGNOME per ricettazione e favoreggiamento aggravato dall’agevolazione mafiosa e la sottoposizione a procedimento per l’omicidio COGNOME.
4 All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE dell’e ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
Giacché dal presente provvedimento non discende la rirnessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 26/03/2024.