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Partecipazione associativa: il ruolo stabile nel clan

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto accusato di partecipazione associativa finalizzata al narcotraffico. Secondo la Corte, il suo ruolo non era sporadico ma stabile e strategico, caratterizzato da contatti diretti con i vertici del clan, dalla gestione di affari importanti e dal supporto a nuove alleanze, elementi che giustificano la misura cautelare in carcere.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione Associativa: Oltre la Parentela, il Ruolo Stabile nel Gruppo Criminale

Quando un legame di parentela con un esponente di spicco di un’organizzazione criminale si trasforma in una vera e propria partecipazione associativa? Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha delineato i contorni che distinguono un coinvolgimento sporadico da un contributo stabile e consapevole al programma criminoso di un clan. Il caso in esame riguarda un ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati legati al narcotraffico e all’associazione a delinquere.

I Fatti del Caso: Un Ricorso contro la Misura Cautelare

Un uomo, cognato di un presunto capo di un’articolazione locale dedita al traffico di stupefacenti, ricorreva in Cassazione contro la decisione del Tribunale del riesame che aveva confermato la misura della custodia in carcere. La difesa sosteneva che gli elementi a carico fossero deboli, fondati su pochi episodi di acquisto di droga e sul semplice rapporto familiare. A detta del ricorrente, questi elementi non erano sufficienti a dimostrare un’adesione stabile all’organizzazione, ma solo una vicinanza personale. Inoltre, la difesa evidenziava come l’imputato fosse stato egli stesso vittima di un’estorsione da parte del clan, circostanza che avrebbe dovuto ridimensionare il suo presunto ruolo.

L’Analisi della Corte sulla Partecipazione Associativa

La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati fossero generici e mirassero a una rilettura dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità. Il Tribunale del riesame, al contrario, aveva fornito una motivazione logica e coerente, basata su un quadro indiziario solido che andava ben oltre il mero legame di parentela.

Il Ruolo di Intermediario con i Vertici

Un elemento chiave valorizzato dalla Corte è stata la capacità del ricorrente di interloquire direttamente con un elemento di vertice dell’organizzazione per l’approvvigionamento di sostanze stupefacenti per conto del cognato. In un’occasione, l’uomo si era recato presso l’abitazione del boss per riferire criticità relative a una partita di droga ‘tagliata’ male, dimostrando un livello di fiducia e di inserimento nel gruppo incompatibile con una posizione marginale.

L’Adesione alle Scelte Strategiche

La Corte ha inoltre sottolineato come l’imputato avesse attivamente supportato le scelte strategiche del cognato. Quando quest’ultimo si era allontanato da un fornitore per stringere nuove alleanze, il ricorrente si era adoperato per facilitare le comunicazioni con i nuovi partner, procurando schede telefoniche intestate a terzi. Questo comportamento, secondo i giudici, dimostra un’adesione consapevole e fiduciaria alle dinamiche operative e strategiche dell’associazione, provando la sua piena partecipazione associativa.

La Scelta della Misura più Afflittiva e l’Aggravante

La Cassazione ha confermato anche la scelta della custodia cautelare in carcere. La misura più rigorosa è stata ritenuta giustificata dall’elevato livello di ‘intraneità’ del soggetto nell’organizzazione, dalla sua capacità di relazionarsi con figure apicali e dalla sua spiccata pericolosità. Tali elementi, secondo la Corte, non potevano essere contenuti con misure meno drastiche come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Infine, è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse il motivo relativo all’aggravante mafiosa, poiché la sua eventuale esclusione non avrebbe avuto alcun impatto sulla misura cautelare applicata per il più grave reato associativo.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione di inammissibilità sulla genericità dei motivi di ricorso, i quali si limitavano a proporre una lettura alternativa delle prove già vagliate dal Tribunale del riesame. Le motivazioni della Corte si fondano sulla coerenza logica dell’ordinanza impugnata, che aveva correttamente identificato una serie di elementi indicativi di un contributo stabile e duraturo. La frequenza delle cessioni, la disponibilità a operare in piena notte per conto del cognato, la gestione dei rapporti con i fornitori e il supporto alle nuove strategie del gruppo sono stati considerati indizi gravi, precisi e concordanti di una piena integrazione nel sodalizio criminale. La Corte ha ribadito che la partecipazione associativa si configura quando l’apporto del singolo, anche se non svolge un ruolo di vertice, è consapevole, volontario e funzionale alla vita e agli scopi dell’organizzazione.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza un principio fondamentale: per configurare il reato di partecipazione associativa, non è necessario rivestire ruoli di comando, ma è sufficiente fornire un contributo concreto, stabile e consapevole all’attività del gruppo. Il legame di parentela può essere un punto di partenza, ma sono le azioni concrete, come l’intermediazione con i vertici e il supporto alle strategie operative, a trasformare la vicinanza in un’adesione punibile. La decisione conferma inoltre che, di fronte a un quadro indiziario che dimostra un’elevata pericolosità e un profondo inserimento nel contesto criminale, la custodia in carcere rimane la misura cautelare più adeguata.

Un rapporto di parentela con un membro di spicco di un’associazione criminale è sufficiente a dimostrare la partecipazione associativa?
No. Secondo la sentenza, il rapporto di parentela da solo non basta. È necessario dimostrare un contributo attivo, consapevole e stabile al programma criminoso, come interloquire con i vertici, supportare le scelte strategiche e partecipare attivamente alle attività illecite del gruppo.

Perché il motivo di ricorso relativo all’aggravante mafiosa è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse. La Corte ha spiegato che l’eventuale esclusione dell’aggravante non avrebbe modificato né la natura né la durata della misura cautelare applicata per il reato associativo, che era il più grave contestato.

Quali elementi hanno giustificato l’applicazione della misura cautelare più severa, ovvero la detenzione in carcere?
La scelta della custodia in carcere è stata giustificata dall’alto livello di ‘intraneità’ del ricorrente nell’associazione, dalla sua capacità di interfacciarsi direttamente con i boss, e dalla sua spiccata pericolosità. Questi elementi hanno fatto ritenere al Tribunale che misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari, non sarebbero state sufficienti a contenere il rischio di reiterazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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