Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22547 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22547 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 13113/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Villaricca il giorno 9/4/1983 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso l’ordinanza in data 25/2/2025 del Tribunale di Napoli in funzione di giudice del riesame
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che Ł stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore dell’indagato, Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 25 febbraio 2025, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in data 20 dicembre 2024/3 febbraio 2025 con la quale era stata applicata nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare personale della custodia in carcere per i reati di partecipazione ad associazione di stampo camorristico denominata ‘clan COGNOME‘ di cui all’art. 416-bis cod. pen. (capo 1 della rubrica delle imputazioni), di estorsione aggravata in danno di COGNOME COGNOME, titolare della società RAGIONE_SOCIALE (capo 5), e di intestazione fittizia di beni immobili (capo 36 come riqualificato dal G.i.p.).
In particolare, risulta dall’imputazione preliminare che nell’ambito dell’imputazione per il delitto associativo si contesta all’COGNOME di essere l’uomo di fiducia del reggente del clan, NOME COGNOME con mansioni di autista dello stesso, nonchØ di rivestire i ruoli di portavoce e di intermediario nelle comunicazioni con gli altri affiliati.
Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’indagato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione al reato di cui al capo 1 della rubrica delle imputazioni per mancata applicazione dell’art. 378 cod. pen. con conseguente riflesso sull’art. 273 cod. proc. pen.
Premette la difesa del ricorrente che:
l’COGNOME avrebbe avuto rapporti con NOME COGNOME soltanto per venti mesi (dal 27 febbraio 2019 al 5 novembre 2020) nel periodo in cui quest’ultimo Ł rimasto in libertà mentre l’associazione contestata avrebbe operato dal febbraio 2019 al marzo 2022;
l’ordinanza cautelare si fonda sul contenuto di intercettazioni e sulle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia;
l’informativa finale dell’indagine Ł stata depositata il 10 marzo 2022.
Tutto ciò premesso, si duole la difesa del ricorrente del fatto che non Ł stata accolta la tesi difensive secondo la quale l’COGNOME al piø potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di favoreggiamento personale, anche alla luce della circostanza che gli unici collaboratori di giustizia (COGNOME e COGNOME) che hanno parlato dell’COGNOME si sono limitati ad attribuire allo stesso il ruolo di venditore di auto, mentre gli altri diciassette collaboratori di giustizia richiamati nell’ordinanza cautelare non hanno menzionato l’indagato.
Aggiunge la difesa che l’COGNOME Ł incensurato, che lo stesso sarebbe stato coinvolto nei fatti dal ‘martellante COGNOME NOME‘ (come affermato dal padre del ricorrente), che l’indagato si sarebbe limitato a fare da ‘maggiordomo’ al COGNOME e che i Giudici della cautela, stante la carenza di altri elementi, si sarebbero limitati a valorizzare la condotta estorsiva di cui al capo 5 della rubrica delle imputazioni, la quale, a sua volta, potrebbe al piø integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Ancora, sempre secondo la difesa del ricorrente:
sarebbe stata, con motivazione illogica, valorizzata la condotta concorsuale di intestazione fittizia di beni e l’asserito concorso in una datata vicenda di concorso in autoriciclaggio;
dopo l’arresto del COGNOME nessuna condotta illecita risulta posta in essere dall’COGNOME;
l’asserto secondo il quale l’COGNOME sarebbe ‘avanzato nelle gerarchie interne dell’associazione’ Ł di mera natura congetturale;
il fatto che il ricorrente Ł il figlio del coindagato NOME COGNOME Ł un elemento ininfluente ai fini della valutazione del primo;
non risulta, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza, che l’COGNOME sia rimasto ancora in attività dopo l’arresto del COGNOME ad eccezione di un’asserita consegna di una agenda, peraltro non collocabile con certezza nel tempo.
2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 648-ter cod. pen. con riguardo al capo 36 della rubrica delle imputazioni.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente che l’COGNOME Ł ritenuto intestatario fittizio di alcuni immobili con atti compravendita risalenti al 29 marzo 2017 e che la motivazione del concorso dell’indagato in tale reato Ł del tutto inesistente e comunque illogica, atteso che, come risulta dal capo di imputazione, la gestione dell’attività di locazione, la riscossione dei relativi canoni e la corresponsione degli stessi a NOME COGNOME risulta essere stata effettuata da soggetto diverso. A ciò si aggiungerebbe che il successivo reimpiego in attività economiche non pare essere stato adeguatamente motivato, così come non Ł stato chiarito come il ricorrente abbia contribuito a porre un ostacolo alla identificazione della provenienza economica dei beni.
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Rileva, al riguardo, la difesa del ricorrente l’assenza di motivazione circa la sussistenza in
capo all’Abbate dell’elemento soggettivo riguardante la contestata circostanza aggravante.
2.4. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 274 cod. proc. pen.
Contesta la difesa del ricorrente la sussistenza delle esigenze cautelari richiamando la risalenza nel tempo dei fatti, l’incensuratezza e l’insussistenza di carichi pendenti, nonchØ l’assenza di prova che l’indagato abbia intrattenuto rapporti illeciti con altri membri del sodalizio in contestazione.
Rileva, infine, che l’eventuale annullamento dell’ordinanza cautelare con riguardo al reato associativo esplicherebbe i propri effetti anche sotto i profili delle esigenze cautelari e della necessità di garantirle esclusivamente con la misura della custodia in carcere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso in tutte le diverse prospettazioni che si andranno ad esaminare Ł in parte manifestamente infondato ed in parte caratterizzato dal vizio di genericità.
E anzitutto doveroso ricordare i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla liberta personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchØ del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti e, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760).
Nel caso in esame il Tribunale ha debitamente motivato, anche attraverso legittimi richiami per relationem all’ordinanza genetica, sia in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria relativa ai fatti oggetto di contestazione, sia in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Occorre, poi, doverosamente evidenziare che mentre risulta che l’odierno ricorrente Ł stato attinto – come detto – da provvedimento cautelare in ordine ai reati di associazione di tipo mafioso (capo 1), di concorso in estorsione (capo 5) e di concorso nel reato di intestazione fittizia di beni immobili ex art. 512-bis cod. pen. (capo 36) originariamente contestato come autoriciclaggio, emerge dal contenuto dell’ordinanza impugnata e non specificamente contestato nel ricorso, come le questioni devolute al Tribunale hanno riguardato esclusivamente le vicende di cui ai capi 1 e 36 della rubrica delle imputazioni.
Con riguardo alla contestazione del reato associativo, nell’ordinanza impugnata il Tribunale risulta avere debitamente richiamato le fonti probatorie, sia con riferimento alle dichiarazioni risalenti nel tempo del collaboratore di giustizia NOME COGNOME (che aveva indicato l’COGNOME come persona da lui conosciuta e collegata ai COGNOME), sia quelle, piø recenti, del
collaboratore di giustizia NOME COGNOME (che ha indicato l’indagato come soggetto titolare di una concessionaria di automobili ove nell’ottobre 2017 ebbe luogo un incontro tra gli affiliati), sia gli elementi piø direttamente attinenti all’intraneità operativa dell’odierno ricorrente in seno al contesto associativo nel periodo allo stesso addebitato come emergenti dal contenuto di conversazioni intercettate, confortato dall’esito di servizi di osservazione operati dal personale di P.G.
Il Tribunale del riesame, richiamando il contenuto delle intercettazioni di interesse, ha, sul punto, sottolineato:
la costante presenza dell’indagato nell’abitazione o in compagnia di NOME COGNOME;
il fatto che l’COGNOME aveva il delicato compito di accompagnare ‘il boss COGNOME – privo di patente di guida e prudenzialmente non dotato di telefono cellulare personale – in auto o in moto nei suoi spostamenti sul territorio finalizzati principalmente ad incontrare adepti e simpatizzanti del clan o uomini politici e amministratori comunali con cui il sodalizio aveva pregressi rapporti o che voleva avvicinare;
il fatto che l’COGNOME era chiamato anche a sbrigare altre incombenze di interesse del sodalizio affidategli dal COGNOME quale quelle di effettuare comunicazioni indicategli dal boss, convocare le persone con cui il COGNOME intendeva incontrarsi nonchØ di effettuare o ricevere la consegna di denaro su indicazione dello stesso;
il fatto che l’odierno ricorrente prendeva parte a numerose riunioni tenutesi negli abituali luoghi di incontro tra affiliati al clan organizzate da NOME COGNOME come documentato anche dalla polizia giudiziaria attraverso servizi di osservazione e videoriprese.
Sempre il Tribunale ha evidenziato che, proprio per lo stretto rapporto con il COGNOME, molte persone si rivolgevano all’Abbate per veicolare messaggi o entrare in contatto con lo stesso.
Ancora, il Tribunale ha richiamato le emblematiche conservazioni intercettate nelle quali NOME COGNOME, padre dell’odierno ricorrente, risulta essersi lamentato con vari interlocutori del fatto che il figlio era talmente preso dall’attività di collaborazione con il COGNOME da non rincasare la sera per cena e di essere stato lasciato dalla fidanzata, non limitandosi a svolgere compiti di portavoce o altri di poco conto, ma venendo coinvolto in attività piø pericolose per le quali era stipendiato dal clan e che lo esponevano a maggiori rischi.
Osserva il Collegio che quelli evidenziati in modo congruo e logico dai Giudici della cautela sono elementi che risultano decisivi per la configurabilità della gravità indiziaria in ordine alla partecipazione dell’odierno ricorrente al contesto associativo di cui al capo 1 della rubrica delle imputazioni, elementi che non risultano di certo travolti dalla dedotta limitatezza temporale (comunque relativa ad un arco temporale tutt’altro che trascurabile di ben venti mesi) dell’apporto fornito, oltre che dal fatto che trattasi di soggetto incensurato.
Manifestamente infondata Ł, poi, la deduzione difensiva nella quale si Ł dedotto un vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata per il fatto che i Giudici della cautela non avrebbero tenuto conto che solo due collaboratori di giustizia, rispetto ai numerosi altri che hanno reso dichiarazioni sul contesto associativo trattato nell’ordinanza impugnata, hanno menzionato l’odierno ricorrente.
Non Ł, infatti, possibile ricondurre il silenzio serbato da uno o piø dichiaranti procedimentali ad un elemento probatorio favorevole all’indagato non preso in considerazione del Giudice procedente e, quindi, eventualmente integrante un vizio di motivazione rientrante nell’alveo di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Il silenzio su una o piø circostanze non Ł, infatti, ex sØ un elemento probatorio in quanto potenzialmente riconducibile a diversi fattori che possono passare dalla mancata domanda che inevitabilmente può portare ad una mancata risposta, ovvero ad un semplice mancato ricordo o, ancora, ad una mera carenza di informazioni sul punto, fino a giungere ad una volontà del dichiarante di non trattare un dato argomento.
Ne consegue che il ‘non parlare’ del ruolo di un soggetto in un determinato contesto criminale non può essere di certo equiparato ad una espressa dichiarazione di ‘esclusione’ della partecipazione del soggetto a detto contesto.
In presenza, pertanto, di una situazione priva di valenza probatoria Ł del tutto legittimo che il Giudice non ne faccia menzione nella motivazione del proprio provvedimento.
In punto di diritto ritiene il Collegio che corretta appare, pertanto, sulla base degli elementi probatori evidenziati, la riconduzione della condotta dell’odierno ricorrente nell’alveo di cui all’art. 416-bis cod. pen. – il che porta ad escludere l’invocata riqualificazione della condotta stessa nella violazione di cui all’art. 378 cod. pen. – alla luce di quanto evidenziato dal Tribunale circa il fatto che l’azione dell’indagato non consisteva esclusivamente nell’agire da ‘maggiordomo’ (termine utilizzato dalla difesa nel ricorso) al boss COGNOME e quindi nell’aiutare il singolo soggetto ma era, all’evidenza, servente all’interesse dell’associazione (recapitando messaggi, effettuando comunicazioni indicategli dal soggetto di vertice del sodalizio, convocando le persone con cui il COGNOME intendeva incontrarsi, stabilendo contatti, effettuando o ricevendo la consegna di denaro e partecipando a riunioni) dalla quale, oltretutto, era stipendiato.
Del resto, come chiarito da questa Corte di legittimità nel suo massimo consesso (v. Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 281889 – 01) in presenza di un paradigma normativo che individua un delitto a forma libera come quello associativo, la condotta del partecipe può consistere nella prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purchØ non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione. Da qui la possibilità, per la punibilità dell’agente a titolo di partecipazione, della verifica dimostrativa della ricorrenza di un duplice aspetto: sul terreno soggettivo va riscontrata l’ affectio societatis , ossia la consapevolezza e volontà del singolo di far parte stabilmente del gruppo criminoso con piena condivisione dei fini perseguiti e dei metodi utilizzati; sul piano oggettivo, Ł da ritenersi che, non potendosi ritenere sufficiente la mera ed astratta «messa a disposizione» delle proprie energie (dato che ciò, oltre a costituire un dato di notevole evanescenza sul piano dimostrativo, si porrebbe in insanabile contrasto con il fondamentale principio di materialità delle condotte punibili di cui all’art. 25 Cost.), va riscontrato in concreto il «fattivo inserimento» nell’organizzazione criminale, attraverso la ricostruzione – sia pure per indizi – di un «ruolo» svolto dall’agente o comunque di singole condotte che – per la loro particolare capacità dimostrativa possano essere ritenute quali «indici rivelatori» dell’avvenuto inserimento nella realtà dinamica ed organizzativa del gruppo.
Assume, quindi assoluta decisività ai fini della valutazione di appartenenza al gruppo criminale la possibilità – come avvenuto nel caso in esame – di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia apporto, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, per la vita dell’associazione e non solo per il suo personaggio di vertice tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva.
Che, del resto, NOME COGNOME fosse un soggetto già da molto tempo contiguo anche se non organico al clan COGNOME lo ha evidenziato lo stesso Tribunale allorquando ha trattato della vicenda in contestazione al capo 36 della rubrica delle imputazioni.
La sopra anticipata valutazione di generale manifesta infondatezza del ricorso riguarda, poi, anche il secondo motivo di impugnazione che, a dir del vero, appare anche caratterizzato da genericità.
Come evidenziato allorquando si Ł riassunto il motivo di ricorso in esame, la difesa dell’indagato non contesta il fatto emergente dalle intercettazioni che l’COGNOME si sia reso fittizio intestatario di immobili di proprietà di terzi, ma contesta l’assenza di motivazione in relazione al
reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.
In realtà, la contestazione all’indagato, allo stato non risulta piø riguardare il reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. dato che già il Giudice per le indagini preliminari (v. pagg. 8 e 9, in nota, del provvedimento impugnato) ha riqualificato tale condotta come violazione dell’art. 512-bis cod. pen. e, pertanto, era questo il tema sul quale avrebbe dovuto incentrarsi il ricorso per cassazione.
Ricorda, infatti, il Tribunale del riesame che emerge dalle conversazioni intercettate delle quali Ł stato parte NOME COGNOME che questi si lamentava del fatto che il figlio fosse l’intestatario di alcune proprietà riconducibili a terzi e che, effettivamente, dalle indagini espletate Ł emerso che si trattava di una serie di immobili ubicati in Qualiano acquistati formalmente da NOME COGNOME con atto di compravendita risalente al 2007 ma riferibili ad altro storico esponente apicale del clan COGNOME di nome NOME COGNOME ed alla moglie dello stesso NOME COGNOME immobili dapprima concessi in locazione a due società operanti nel settore della vendita di autoveicoli riconducibili a NOME COGNOME figlio della NOME, e successivamente affittati nel 2019 ad alcuni cittadini e società cinesi.
Ha poi ricordato il Tribunale che i canoni di locazione venivano di fatto materialmente riscossi da NOME COGNOME (padre dell’odierno ricorrente) e riversati alla NOME per tramite di NOME COGNOME.
In sostanza, il G.i.p. ha ritenuto che il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. sia configurabile anche nella condotta contestata al capo 36 della rubrica delle imputazioni in quanto «la percezione mensile dei canoni di locazione integra ulteriori ipotesi di intestazione fittizia delle somme di denaro che, apparentemente percepite dal fittizio proprietario locatore, sono destinate all’effettivo proprietario che di fatto sottrae tali somme ad eventuali provvedimenti ablativi» ed il Tribunale (anche integrando la motivazione del G.i.p. nel provvedimento impugnato) ha motivatamente evidenziato di condividere tale impostazione occupandosi anche dell’elemento soggettivo del reato in capo a NOME COGNOME (pagg. 9 e 10).
Ne consegue che il motivo di ricorso che verte sulla configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen. risulta essere completamente ‘fuori asse’ rispetto al decisum del Tribunale del riesame che la difesa del ricorrente finisce per non contestare.
La valutazione di inammissibilità investe, poi, il terzo motivo di ricorso caratterizzato a sua volta anche da genericità.
Il Tribunale del riesame si Ł infatti non solo occupato di trattare l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. ma ha anche sostanzialmente fatto propria (inglobandola nel provvedimento) la valutazione che il G.i.p. aveva operato in ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. il quale si era così testualmente espresso: « Nulla quaestio sulla configurabilità dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis.1 cod. pen. Il clan COGNOME Ł un clan a forte vocazione imprenditoriale; le intestazioni fittizie, soprattutto di beni produttivi di reddito, costituiscono uno strumento fondamentale che consente al clan di inserirsi nel tessuto economico ed imprenditoriale di Giugliano e di controllarlo. Ciò a maggior ragione quando l’effettivo proprietario Ł un’esponente apicale del clan come COGNOME NOME. La finalità agevolativa del clan Ł evidentemente riferibile a tutti e quattro gli indagati che sono pienamente inseriti nel 2019 nel clan COGNOME».
Quella appena riportata Ł l’affermazione sulla quale avrebbe dovuto confrontarsi il ricorso qui in esame, cosa che non Ł stata fatta con conseguente valutazione di genericità e, per l’effetto, di inammissibilità dello stesso.
Per solo dovere di completezza occorre osservare con il Tribunale ha prodotto una
motivazione congrua e logica anche con riguardo al delitto di estorsione di cui al capo 5 della rubrica delle imputazioni che, peraltro, la difesa del ricorrente non ha documentato di avere dedotto in sede di riesame e che, comunque, non contesta, se non con un generico inciso, nel ricorso qui in esame.
Manifestamente infondato Ł, infine, il quarto motivo di ricorso riguardante le esigenze cautelari in quanto, in assenza di qualsivoglia prova di allontanamento dell’indagato dal contesto camorristico anche dopo l’arresto del COGNOME (elemento anche questo motivatamente affrontato nell’ordinanza impugnata) e, comunque, in presenza di una corretta qualificazione a carico dello stesso, in qualità di partecipe, anche del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., risulta essere stato correttamente applicato dai giudici della cautela il disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
PoichØ dalla presente decisione non consegue la rimessione in liberta del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1ter , delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchØ provveda a quanto stabilito dal comma 1bis del citato articolo 94.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 06/06/2025 Il Consigliere estensore NOME
Il Presidente NOME COGNOME