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Partecipazione associativa e narcotraffico: la prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione associativa finalizzata al narcotraffico. La Corte ha stabilito che la prova della partecipazione associativa può essere desunta da un’analisi complessiva degli indizi, anche in assenza di contatti diretti con il capo dell’organizzazione o di sequestri di droga. Nel caso specifico, il ruolo funzionale dell’indagato all’interno di un gruppo familiare dedito allo spaccio, a sua volta collegato stabilmente al sodalizio maggiore, è stato ritenuto un indizio sufficiente a configurare il vincolo associativo.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione associativa: la prova va oltre il contatto diretto

Quando si può affermare che una persona fa parte di un’associazione per delinquere? È necessario che abbia contatti diretti con i vertici? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 23971/2025, torna sul tema della partecipazione associativa nel narcotraffico, chiarendo che la prova del vincolo criminale può basarsi su una lettura complessiva degli indizi, superando la necessità di elementi probatori diretti come le telefonate con il capo o i sequestri di droga.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un giovane indagato per partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Contro di lui era stata emessa una misura di custodia cautelare in carcere. Le indagini avevano delineato l’esistenza di un sodalizio criminale, capeggiato da un noto fornitore, che riforniva una piazza di spaccio gestita a livello familiare dall’indagato, insieme al padre e al fratello. La difesa del giovane aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo la mancanza di gravi indizi di colpevolezza. In particolare, si evidenziava l’assenza di contatti telefonici diretti tra l’indagato e il capo del sodalizio, la mancanza di sequestri di droga a suo carico e l’occasionalità dei rapporti, elementi che, secondo la difesa, non dimostravano un inserimento stabile nell’organizzazione.

La Prova della Partecipazione Associativa e il Ruolo del Gruppo Familiare

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, ritenendo il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato come il Tribunale del riesame abbia correttamente valutato la posizione dell’indagato non in modo isolato, ma nel contesto più ampio del gruppo familiare di cui faceva parte. Questo gruppo non era un semplice acquirente occasionale, ma un cliente stabile e strategico dell’organizzazione, gestendo una vivace piazza di spaccio. Il rapporto, quindi, superava la natura di una mera compravendita (rapporto sinallagmatico) per trasformarsi in un vero e proprio vincolo associativo. L’assenza di contatti diretti con il vertice è stata ritenuta irrilevante, poiché la struttura del gruppo familiare prevedeva che fosse il padre a gestire i rapporti con il fornitore, mentre ai figli era affidata la vendita al dettaglio.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto le censure della difesa aspecifiche e generiche, in quanto non si confrontavano adeguatamente con la logica complessiva della motivazione del provvedimento impugnato. La decisione si fonda sul principio consolidato secondo cui, per provare la partecipazione associativa, è necessario accertare la costante disponibilità dell’individuo a fornire un contributo funzionale al gruppo criminale, con la coscienza e la volontà di farne parte. Nel caso di specie, diversi elementi dimostravano questo inserimento stabile:

1. Le Intercettazioni: Anche se non dirette, le conversazioni tra il padre e il capo del sodalizio rivelavano le dinamiche interne del gruppo familiare, comprese le ‘abilità delinquenziali’ e l’affidabilità dei figli, tra cui il ricorrente.
2. Il Ruolo Attivo: L’indagato aveva assunto incombenze importanti per la tenuta del sodalizio, come la riscossione dei crediti e la gestione dei clienti più fidati, soprattutto durante un periodo di detenzione del capo.
3. La Condivisione di Informazioni: Vi era una condivisione di notizie sensibili, come i controlli della polizia e i nuovi canali di approvvigionamento, a dimostrazione di un legame fiduciario che andava ben oltre un semplice rapporto cliente-fornitore.

La Corte ha inoltre ribadito che la prova dei reati legati agli stupefacenti non deriva necessariamente dal sequestro della sostanza, ma può essere validamente desunta dal contenuto delle intercettazioni.

Conclusioni

Questa sentenza conferma un importante principio in materia di reati associativi: la prova della partecipazione a un sodalizio criminale non richiede necessariamente prove ‘dirette’ o ‘personali’ che leghino ogni affiliato al vertice. È l’analisi sinergica e logica di tutti gli indizi a disposizione a delineare il quadro probatorio. La stabile funzionalità del ruolo di un individuo all’interno del programma criminoso, la sua consapevolezza delle dinamiche del gruppo e la sua disponibilità a contribuirvi sono elementi sufficienti per affermare l’esistenza della affectio societatis e, quindi, della partecipazione associativa.

È necessaria la prova di contatti diretti tra un affiliato e il capo di un’associazione per delinquere per dimostrarne la partecipazione?
No, la sentenza chiarisce che l’assenza di contatti diretti non è un elemento decisivo. La prova della partecipazione può emergere da altri elementi indiziari che, letti in modo complessivo, dimostrano l’inserimento stabile e consapevole dell’individuo nel sodalizio criminale.

La mancanza di sequestri di sostanza stupefacente a carico di un indagato esclude la gravità indiziaria per i reati di narcotraffico?
No, la prova dei reati di illecita detenzione e spaccio di stupefacenti non deve necessariamente derivare dal rinvenimento della sostanza. Può essere validamente desunta da altre risultanze probatorie, come il contenuto delle intercettazioni telefoniche.

Un rapporto continuativo di compravendita di droga può configurare una partecipazione associativa?
Sì, secondo la Corte un rapporto di affari tra fornitore e acquirente può superare il semplice contratto di compravendita e trasformarsi in un vincolo associativo. Ciò avviene quando le modalità di approvvigionamento, il volume economico delle transazioni e la loro rilevanza oggettiva dimostrano l’esistenza di un rapporto stabile e duraturo, funzionale agli scopi dell’associazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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