Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17923 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17923 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Lecce il 24/11/1983 avverso la ordinanza del 21/12/2024 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi i difensori, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno
chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Lecce, in accoglimento dell’appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero avverso la ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, ha disposto nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere in riferimento ai reati di cui ai capi 1 (art. 416-bis cod. pen. per partecipazione all Sacra Corona Unita, frangia facente capo a NOME, COGNOME NOME e COGNOME Santo), 119(artt. 110, 648-ter.1, 416-bis.1. cod. pen.), 134(artt. 110,648-ter.1, 416-bis.1. cod. pen.) e 136(artt. 110, 648-ter.1, 416-bis.1. cod. pen.).
Avverso la ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME deducendo con atto di ricorso i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo inosservanza dell’art. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen. Il Tribunale non ha colto la dedotta eccezione di inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero, non considerando che il Giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta dell’Accusa in relazione alla insussistenza delle esigenze cautelari nei confronti della Legno, rimanendo tale statuizione priva di riscontro nell’appello del Pubblico Ministero, così determinandosi la dedotta inammissibilità del gravame cautelare.
2.2. Con il secondo motivo erronea applicazione dell’art. 310 cod. proc. pen. e inosservanza dell’art. 597 cod. proc. pen. Il Tribunale ha accolto l’impugnazione del Pubblico Ministero nonostante si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di stabilire il perimetro disegnato dall’originaria domanda cautelare, nella quale non vi era l’indicazione degli addebiti (tra i nove contestati) per i quali l’Accusa h inteso domandare l’applicazione della misura carceraria alla Legno, peraltro confondendo la sua posizione con quella dell’altro indagato COGNOME così esprimendosi su imputazioni provvisorie che non hanno formato oggetto di richiesta ex art. 291 cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo vizio cumulativo della motivazione in ordine alla ritenuta gravità indiziaria con riferimento alla partecipazione associativa.
Il ricorso esamina l’assunto posto a base della partecipazione associativa della ricorrente deducendo:
la irrilevanza dell’affidamento alla donna, da parte del marito NOME COGNOME, delle somme da lui illecitamente acquisite, posto che non si tratta di somme appartenenti all’associazione o a questa destinate;
l’assenza di elementi di rilievo a carico della ricorrente dalle intercettazion relative alla gestione finanziaria;
la irrilevanza della consapevolezza da parte della ricorrente dell’origine illecita del denaro del marito;
la irrilevanza del colloquio con il marito sulla intenzione di questi di acquistare un immobile e ristrutturarlo come pure di quello con la figlia sedicenne;
la irrilevanza della preoccupazione della donna sul montaggio da parte degli inquirenti di una telecamera a controllo della sua abitazione;
l’omessa risposta da parte del Tribunale alla riproposta deduzione difensiva riguardante la pretesa collaborazione da parte della ricorrente nella veicolazione delle lettere mandate dal carcere da NOME COGNOME nonché l’errata risposta sul recupero di una raccomandata non consegnata e, ancora, sulla assenza di elementi indizianti in ordine alle pretese istruzioni ricevute dal marito per contatti con ter che volevano comunicare con lui.
la dedotta assenza di elementi indizianti in relazione ai rapporti tra la ricorrente e il Podo;
la pretesa condivisione da parte della Legno di metodi tipicamente mafiosi.
2.4. Con il quarto motivo erronea applicazione dell’art. 416-bis. 1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 119, 134 e 136, non emergendo alcuna motivazione sul vantaggio che il clan avrebbe tratto dalla gestione di “RAGIONE_SOCIALE” o di “RAGIONE_SOCIALE” attribuita ai coniugi COGNOME, posto che i denari impiegati erano profitti illeciti della famiglia COGNOME e non del clan.
2.5.Sono stati depositati motivi aggiunti con i quali si deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione all’assunto di cui a pag. 45 dell’ordinanza impugnata in ordine alla collaborazione della ricorrente nella veicolazione delle lettere inviate da NOME COGNOME risultando erronea l’interpretazione della conversazione del 16/8/2020 in quanto “la miss” non può essere COGNOME NOME, intercettata in auto, al telefono, in casa e che mai ha avuto rapporti con alcuno dei due interlocutori, COGNOME e COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
Il primo motivo è infondato. Il Tribunale ha correttamente rigettato la dedotta inammissibilità dell’appello affermando che non è necessaria la riprospettazione dei pericula libertatis già evidenziati nella domanda originaria, assumendo l’implicito riferimento ad essi da parte del P.M., sui quali il GIP non si era, ovviamente, pronunciato (avendo escluso la gravità indiziaria), essendo devoluta al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni previste dall’art. 2
cod. proc. pen. e, quindi, anche delle esigenze cautelari, non considerate dal primo giudice.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto avente ad oggetto questione genericamente proposta, avendo la stessa difesa prospettato i suoi rilievi (v. par. 2 della memoria depositata in sede di appello) riferendosi soltanto alle conclusioni della richiesta cautelare – che secondo la difesa non contenevano l’indicazione dei capi per i quali era chiesta la misura cautelare nei confronti della Legno – pur rilevando che le provvisorie imputazioni ascritte alla indagata oggetto della medesima richiesta avrebbero legittimato la richiesta misura cautelare formulata nei suoi confronti, risultando – pertanto – del tutto genericamente prospettata la violazione del principio devolutivo.
Il terzo motivo è fondato. Il costrutto indiziario a carico della ricorrente i ordine alla sua partecipazione associativa posto a base della ordinanza è inficiato dalle censure difensive che ne designano ora l’irrilevanza degli elementi ritenuti indizianti, ora la loro non concludenza, rispetto alle quali erano state sviluppate specifiche argomentazioni in sede di appello in entrambe le memorie difensive depositate.
Il Tribunale, pur dando atto dei rilievi difensivi, non ha opposto ad essi adeguata motivazione al fine di fondare il proprio convincimento, che fa capo a benefici economici pervenuti al nucleo familiare del Penza e alla loro gestione da parte della ricorrente che non individuano un ruolo di questa in funzione della associazione di cui è ritenuta partecipe; alla generica indicazione per la quale la donna aveva preso il posto del marito; alla vicenda della veicolazione delle lettere inviate dal carcere da NOME COGNOME in relazione alla quale manca una effettiva e completa interlocuzione con quanto dedotto dalla difesa; alle pretese istruzioni ricevute dal marito nel corso delle telefonate dal carcere, in ordine alle quali manca l’individuazione di un concreto contenuto nel senso voluto dall’accusa; infine, sulla pretesa condivisione del metodo mafioso da parte della donna (v. pg. 48 e sg. della ordinanza impugnata), pervero solo evocato in rapporto ai riflessi del legame con il COGNOME, ma privo dei suoi propri connotati estrinseci.
Il quarto motivo è fondato, mancando qualsiasi motivazione sulla sussistenza, in relazione ai delitti di autoriciclaggio, della aggravante mafiosa sotto forma della agevolazione del clan di riferimento.
Ne consegue l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Lecce competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso il 10/04/2025.