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Partecipazione ad associazione mafiosa: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.) e altri reati fine. Il Tribunale del riesame aveva confermato la misura, basandosi su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni e riscontri investigativi che delineavano il ruolo dell’indagato all’interno di una cosca, finalizzato al controllo del territorio tramite estorsioni e danneggiamenti. La Cassazione ha ritenuto le motivazioni del Tribunale logiche e adeguate, respingendo le censure difensive come tentativi di una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Partecipazione ad Associazione Mafiosa: La Cassazione sulla Valutazione degli Indizi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3370 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un caso di partecipazione ad associazione mafiosa, confermando la solidità dei principi che regolano la valutazione della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari in materia di criminalità organizzata. La decisione ribadisce i limiti del giudizio di legittimità, che non può trasformarsi in una nuova analisi dei fatti, e sottolinea l’importanza di una motivazione logica e congrua da parte del giudice del merito.

I fatti alla base del ricorso

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un soggetto indagato per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., per aver fatto parte di una nota cosca ‘ndranghetistica. Secondo l’accusa, il suo ruolo consisteva nell’assicurare al clan, tramite una serie di danneggiamenti ed estorsioni, l’acquisizione illecita e il controllo di terreni in una specifica località. All’indagato erano contestati anche diversi reati fine, tra cui tentata estorsione e detenzione di armi e stupefacenti.

Il Tribunale del riesame aveva confermato la misura cautelare, respingendo le eccezioni difensive sulla nullità dell’ordinanza per presunto difetto di autonoma valutazione da parte del primo giudice. La difesa ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione sulla gravità indiziaria, la presunta inattendibilità dei collaboratori di giustizia e la mancanza di prove concrete sui reati contestati.

La valutazione sulla partecipazione ad associazione mafiosa

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile, giudicando le censure difensive come un tentativo di sollecitare una rilettura dei fatti, non consentita in sede di legittimità. I giudici hanno evidenziato come il Tribunale del riesame avesse correttamente fondato la propria decisione su un quadro indiziario solido e coerente.

Gli elementi a carico dell’indagato includevano:
* Dichiarazioni concordanti di collaboratori di giustizia: Diversi collaboratori, ritenuti attendibili in quanto intranei alla consorteria criminale, avevano indicato l’indagato come membro della cosca, descrivendone il ruolo specifico nel controllo del territorio e nell’esecuzione di “bonifiche ambientali” presso le abitazioni dei capi.
* Riscontri investigativi: Le dichiarazioni erano state riscontrate dalle dinamiche estorsive a cui l’indagato aveva preso parte e dalle relazioni informative della polizia giudiziaria.
* Intercettazioni: Conversazioni captate che, secondo il Tribunale, confermavano il ruolo e le attività illecite dell’indagato.

La Cassazione ha affermato che, di fronte a un compendio indiziario così consistente e logicamente argomentato dal giudice del merito, non è suo compito sovrapporre una propria valutazione, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità del ragionamento seguito.

Le accuse per i reati fine

Anche con riferimento ai reati fine, come le tentate estorsioni, la detenzione di stupefacenti e di armi, la Corte ha ritenuto adeguata la motivazione del Tribunale. Le prove emergevano da intercettazioni in cui le vittime mostravano un atteggiamento di intimidazione e omertà, e da dialoghi tra l’indagato e i suoi familiari riguardanti la detenzione di cocaina e di una pistola. La Corte ha sottolineato come tali condotte fossero finalizzate ad assicurare il predominio della cosca sul territorio.

Le motivazioni

La sentenza si fonda sul principio consolidato secondo cui il controllo della Cassazione sulla motivazione dei provvedimenti cautelari è limitato alla verifica della sua coerenza logica e della corretta applicazione dei principi di diritto. Non è possibile, in questa sede, rivalutare il merito delle prove o proporre una ricostruzione alternativa dei fatti. Nel caso specifico, il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione congrua, basata sulla convergenza di molteplici fonti di prova (dichiarative, intercettative e investigative), che delineavano un quadro di grave colpevolezza per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa.

Inoltre, la Corte ha respinto la censura sulla mancanza di motivazione riguardo alle esigenze cautelari. Il Tribunale aveva correttamente fatto riferimento alla presunzione legale di pericolosità prevista per i delitti di mafia (art. 275, comma 3, c.p.p.), rafforzata dalla persistente operatività del sodalizio criminale e dall’assenza di prova di una rescissione dei legami dell’indagato con tale contesto. La distanza temporale dei fatti (2017-2019) è stata considerata irrilevante di fronte alla attualità del pericolo di reiterazione del reato, connaturato alla stabilità del vincolo associativo.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione conferma la validità del quadro indiziario raccolto e la correttezza della valutazione operata dal Tribunale del riesame. Questa sentenza ribadisce che, in presenza di una motivazione logica e completa, basata su elementi probatori convergenti, le doglianze che si risolvono in una mera critica della ricostruzione dei fatti non possono trovare accoglimento in sede di legittimità, specialmente in contesti complessi come quelli legati alla criminalità organizzata.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’indagato?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché le censure della difesa non denunciavano vizi di legittimità (cioè errori nell’applicazione della legge), ma miravano a una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività che non è consentita nel giudizio di cassazione. La motivazione del Tribunale del riesame è stata giudicata logica, coerente e adeguata.

Quali elementi di prova sono stati considerati sufficienti per confermare la custodia cautelare per partecipazione ad associazione mafiosa?
La custodia cautelare è stata confermata sulla base di un quadro indiziario composito che includeva: dichiarazioni concordanti e riscontrate di più collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche e ambientali, e le dinamiche dei reati fine (come le estorsioni) che confermavano il ruolo attivo dell’indagato all’interno della cosca.

Come ha giustificato il Tribunale la persistenza delle esigenze cautelari, nonostante i reati risalissero a diversi anni prima?
Il Tribunale ha giustificato le esigenze cautelari richiamando la presunzione legale di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. per i reati di mafia. Ha inoltre sottolineato la persistente operatività dell’associazione criminale e l’assenza di prove che l’indagato avesse reciso i suoi legami con il contesto delinquenziale, rendendo così attuale e concreto il pericolo di reiterazione dei reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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