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Parcheggiatore abusivo: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per l’attività di parcheggiatore abusivo. L’appello è stato ritenuto manifestamente infondato poiché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito, senza sollevare specifiche critiche alla sentenza d’appello e tentando impropriamente di ottenere una nuova valutazione dei fatti. La Corte ha confermato la condanna e ha disposto il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Parcheggiatore abusivo: La Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

L’attività di parcheggiatore abusivo continua a essere al centro del dibattito giurisprudenziale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per tale reato, fornendo importanti chiarimenti sui limiti del giudizio di legittimità e confermando la solidità dell’impianto normativo che sanziona questa condotta. La decisione sottolinea come il ricorso in Cassazione non possa trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti, ma debba limitarsi a censure di pura legittimità.

I Fatti di Causa: Dalla Sanzione Amministrativa alla Condanna Penale

Il caso riguarda un uomo sorpreso dal personale della Questura mentre, nei pressi del cimitero monumentale di Milano, facilitava le manovre di parcheggio agli automobilisti, indicando loro i posti liberi. L’uomo era già stato sanzionato in passato per la medesima violazione con un provvedimento amministrativo definitivo.

A seguito di questo nuovo episodio, era stato condannato sia dal Tribunale di Milano che, successivamente, dalla Corte d’Appello, per il reato previsto dall’art. 10, comma 2, del d.l. n. 14/2017. Ritenendo ingiusta la condanna, l’imputato ha deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione.

Il Ricorso e le Motivazioni del parcheggiatore abusivo

Nel suo ricorso, l’imputato lamentava una presunta violazione di legge da parte della Corte d’Appello. Tuttavia, secondo i giudici della Cassazione, le sue argomentazioni non introducevano elementi nuovi. Il ricorso, infatti, si limitava a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte dai giudici di merito, senza muovere una critica specifica e puntuale alla motivazione della sentenza d’appello.

Inoltre, le doglianze erano volte a ottenere una rivalutazione delle prove e una rilettura alternativa dei fatti, un’attività che è preclusa alla Corte di Cassazione, la quale è giudice della legittimità e non del merito.

La Decisione della Corte di Cassazione: Inammissibilità e Condanna alle Spese

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno evidenziato due ragioni principali per questa decisione:

1. Natura Ripetitiva delle Censure: Il ricorso era una mera riproduzione di argomentazioni già adeguatamente vagliate e disattese nei precedenti gradi di giudizio.
2. Tentativo di Rivalutazione dei Fatti: Il ricorrente chiedeva una nuova analisi delle prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non alla Cassazione.

Le Motivazioni

La Corte ha rafforzato la propria decisione richiamando una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 47/2024), la quale ha già dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo alla norma che punisce il parcheggiatore abusivo. Questo riferimento ha tagliato alla radice ogni possibile dubbio sulla costituzionalità della norma applicata.

Di conseguenza, in applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha specificato che la presentazione di un ricorso palesemente infondato configura un profilo di colpa che giustifica tale sanzione pecuniaria, come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Il suo ruolo è garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle norme processuali. Un ricorso, per essere ammissibile, deve individuare vizi di legittimità specifici nella sentenza impugnata e non può limitarsi a riproporre le stesse difese sperando in un esito diverso. La decisione conferma inoltre la piena legittimità della normativa che contrasta il fenomeno dei parcheggiatori abusivi, considerandolo un illecito da sanzionare penalmente in caso di recidiva.

È possibile presentare in Cassazione le stesse argomentazioni già respinte in Appello?
No, l’ordinanza chiarisce che il ricorso in Cassazione è inammissibile se si limita a riprodurre deduzioni già adeguatamente esaminate e respinte dal giudice di merito, senza formulare una critica specifica contro la sentenza impugnata.

Il reato di parcheggiatore abusivo è costituzionale?
Sì. L’ordinanza richiama una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 47/2024) che ha già confermato la legittimità costituzionale della norma che sanziona penalmente l’attività di parcheggiatore abusivo (art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017).

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso 3.000 euro, alla Cassa delle ammende, in quanto la presentazione di un ricorso palesemente infondato è considerata una condotta colposa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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