Parcheggiatore abusivo: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
L’attività di parcheggiatore abusivo rappresenta una contravvenzione diffusa, ma le cui conseguenze legali non sono da sottovalutare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’analisi chiara su quando un ricorso contro una condanna per tale reato non ha speranze di essere accolto, delineando i confini della specificità dei motivi di ricorso e l’inapplicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in caso di comportamento abituale. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.
I fatti di causa
Un individuo veniva condannato sia in primo grado che in appello per la contravvenzione prevista dall’art. 7, comma 15-bis del Codice della Strada, per aver svolto l’attività non autorizzata di parcheggiatore. La Corte d’Appello di Napoli aveva confermato la sua responsabilità penale, basandosi su prove testimoniali decisive, tra cui la dichiarazione di un vice ispettore della Polizia di Stato. L’agente aveva testimoniato di aver visto l’imputato indicare in modo inequivocabile agli automobilisti la presenza di posti liberi per parcheggiare, nello stesso luogo in cui era già stato sorpreso in passato a svolgere la medesima attività.
Contro questa sentenza, la difesa dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due principali vizi:
1. Un vizio di motivazione riguardo alla prova della sua responsabilità penale.
2. La violazione di legge per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
L’analisi della Corte sul ricorso del parcheggiatore abusivo
La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, dichiarandoli manifestamente infondati e, di conseguenza, inammissibili. I giudici hanno sottolineato come il ricorso fosse privo di un reale confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata. Invece di presentare una critica specifica e argomentata, la difesa si era limitata a reiterare le stesse doglianze già esposte e correttamente respinte nel giudizio d’appello.
La ripetitività dei motivi come causa di inammissibilità
Il punto centrale della decisione riguarda la natura del ricorso. La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: un ricorso per cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse questioni già valutate e disattese dai giudici di merito. Un simile approccio rende i motivi non specifici, ma solo apparenti, poiché non adempiono alla funzione critica richiesta dall’art. 581 del codice di procedura penale. Di fronte a una “doppia conforme” (decisioni uguali in primo e secondo grado), il ricorso deve evidenziare vizi logici o giuridici specifici nella sentenza d’appello, non semplicemente dissentire dalla valutazione dei fatti.
La condotta abituale e la non punibilità
Un altro aspetto cruciale è il rigetto della richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto). La Corte d’Appello aveva motivato il diniego su due basi solide, condivise dalla Cassazione:
1. L’abitualità del comportamento: L’imputato era già stato ritenuto responsabile per lo stesso reato in più occasioni. Questo configura un’attività abituale, una condizione che osta all’applicazione del beneficio della non punibilità.
2. Il contesto dell’azione: L’attività si svolgeva in un’area nevralgica per il traffico e il decoro della città di Napoli. La lesività della condotta, quindi, non poteva essere considerata “tenue”, data l’incidenza sul contesto urbano.
Le motivazioni della decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità evidenziando che i motivi del ricorso erano manifestamente infondati. Essi non solo non si confrontavano con la solida motivazione della Corte d’Appello, basata su testimonianze dirette e sulla storia criminale specifica dell’imputato, ma si ponevano anche in contrasto con la giurisprudenza di legittimità. Il ricorso era meramente ripetitivo, privo dei requisiti di specificità richiesti dalla legge per poter essere esaminato nel merito. Di conseguenza, i giudici hanno applicato l’art. 616 del codice di procedura penale.
Le conclusioni
In conclusione, l’ordinanza stabilisce che, essendo il ricorso inammissibile e non ravvisandosi un’assenza di colpa da parte del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, viene condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce l’importanza di formulare ricorsi per cassazione con motivi specifici e critici, e non meramente ripetitivi, e conferma che la condotta abituale di reati, come quella del parcheggiatore abusivo, impedisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati e meramente ripetitivi delle stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza muovere una critica specifica e argomentata alla decisione impugnata.
Per quale motivo non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La non punibilità è stata esclusa perché l’imputato era già stato condannato in passato per lo stesso reato, rendendo la sua condotta “abituale”. Inoltre, l’attività si svolgeva in un’area critica per il traffico e il decoro della città, fattori che escludono la tenuità del fatto.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in tremila euro, da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45522 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45522 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 03/07/1977
avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
1.La Corte di appello di Napoli ha confermato, in punto di responsabilità penale, la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva riconosciuto COGNOME colpevole della contravvenzione di cui all’art.7 comma 15 bis C.d.S. per avere svolto l’attività non autorizzata di parcheggiatore.
2.Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato denunciando vizio di motivazione, quanto alla prova della responsabilità penale, e violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art-131 bis cod.pen.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessari vice oa critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione e in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul punto, laddove il giudice di appello ha fatto riferimento alla testimonianza del teste qualificato NOME COGNOME vice ispettore della Polizia di Stato), che aveva visto l’imputato indicare inequivocabilmente agli automobilisti in transito, la presenza di posti dove lasciare l’autovettura, nel medesimo luogo dove era stato trovato anche in precedenza.
Inoltre, la sentenza impugnata ha escluso l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art.131 bis cod.pen., a fronte del fatto che l’imputato era già stato ritenuto responsabile dello stesso reato in plurime occasioni, per cui si trattava di attività abituale, ed anche perché l’attività era localizzata in punto nevralgico per il traffico ed il decoro della città di Napoli, per cui si giustificava il dinie del beneficio.
A fronte di tali motivazioni, il ricorrente si limita a reiterare le doglianze già proposte in appello rilevando l’erroneità della decisione impugnata.
I motivi, dunque, reiterano le medesime doglianze già correttamente valutate e disattese dai giudici del merito, si tratta di motivi che, in quanto meramente ripetitivi a fronte di una doppia conforme, non possono essere considerati come una critica argomentata rispetto a quanto affermato nel giudizio di merito. Per tale ragione, il ricorso è necessariamente privo dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta. Ed è quindi inammissibile, in parte qua, il ricorso per cassazione fondato su motivi ripetitivi dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 6, 20377/2009, rv. 243838; Sez. 5 28011/2013, rv. 255568; Sez. 2 11951/2014, rv. 259425; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, rv. 277710 – 01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.