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Parcheggiatore abusivo: reato anche senza pagamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per l’attività di parcheggiatore abusivo. Secondo i giudici, il comportamento di indicare dove parcheggiare è di per sé sufficiente a integrare il reato, anche in assenza della prova certa di un avvenuto pagamento. L’ordinanza sottolinea come un ricorso meramente ripetitivo di motivi già respinti non possa essere accolto e non possa impedire la condanna definitiva.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Parcheggiatore Abusivo: la Condanna Scatta Anche Senza Prova del Pagamento

L’attività di parcheggiatore abusivo rappresenta una problematica diffusa in molte città italiane. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiarificazione sui requisiti necessari per la configurazione di questo reato, stabilendo che la condotta di indicare agli automobilisti dove parcheggiare è di per sé sufficiente a integrare l’illecito, anche quando non vi è la prova certa di un pagamento. Analizziamo insieme questa decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’articolo 7, comma 15-bis, del Codice della Strada, ovvero per aver esercitato l’attività di parcheggiatore abusivo. L’uomo proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello. Secondo la difesa, la condanna era ingiusta poiché non era stata raggiunta la prova del pagamento di un corrispettivo da parte degli automobilisti, elemento ritenuto essenziale per la configurazione del reato.

La Questione Giuridica sul Parcheggiatore Abusivo

Il nucleo della questione legale ruotava attorno a un punto preciso: per condannare un parcheggiatore abusivo, è indispensabile dimostrare che abbia ricevuto del denaro o un’altra utilità? Oppure è sufficiente provare che si sia comportato come tale, ad esempio dando indicazioni e gestendo i posti auto?
La difesa sosteneva la prima tesi, affermando che in assenza della prova del corrispettivo, mancasse un elemento oggettivo del reato. La Procura e le corti di merito, invece, ritenevano che il comportamento stesso dell’imputato fosse abbastanza eloquente da provare l’attività illecita.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che i motivi proposti non fossero altro che una riproposizione di argomentazioni già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Il ricorso, inoltre, mancava di una critica specifica e puntuale alle motivazioni della sentenza impugnata, limitandosi a una doglianza generica.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su diversi punti cardine. In primo luogo, ha confermato la logicità e la correttezza della motivazione della Corte d’Appello. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato che il fatto storico era incontestato: l’imputato era stato colto nell’atto di dare indicazioni agli automobilisti, invitandoli a parcheggiare. Questo comportamento è stato definito “evidentemente eloquente” e sufficiente a dimostrare lo svolgimento dell’attività illecita, superando la necessità di provare il singolo pagamento. La Corte ha inoltre sottolineato che l’imputato aveva a suo carico altre segnalazioni per la medesima violazione e persino un provvedimento di DASPO urbano che gli vietava l’accesso a quell’area, a riprova della sua abitualità nel commettere l’illecito. Un altro aspetto cruciale affrontato è quello della prescrizione. La Corte ha chiarito che, essendo il ricorso manifestamente infondato, non si era formato un valido rapporto processuale. Di conseguenza, non era possibile rilevare un’eventuale causa di estinzione del reato maturata dopo la sentenza d’appello. Questa regola processuale impedisce che ricorsi palesemente pretestuosi vengano usati solo per guadagnare tempo e far maturare la prescrizione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale nella lotta al fenomeno dei parcheggiatori abusivi: non è la prova del denaro a fare il reato, ma la condotta stessa di chi si appropria indebitamente di uno spazio pubblico per trarne profitto. Il semplice atto di “organizzare” il parcheggio, invitando gli automobilisti a posizionare il veicolo, è considerato dalla giurisprudenza un comportamento talmente indicativo da non richiedere ulteriori prove. Per i cittadini, ciò significa che l’attività illecita può essere contrastata più efficacemente. Per gli operatori del diritto, la sentenza ribadisce l’importanza di formulare ricorsi specifici e critici, che si confrontino realmente con le motivazioni della sentenza impugnata, anziché limitarsi a ripetere argomenti già vagliati e respinti.

Per configurare il reato di parcheggiatore abusivo è necessaria la prova del pagamento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il comportamento di dare indicazioni agli automobilisti su dove parcheggiare è di per sé “eloquente” e sufficiente a integrare il reato, anche senza la prova certa che sia stato pagato un corrispettivo.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere gli stessi motivi dell’appello?
Un ricorso di questo tipo viene dichiarato inammissibile. La legge richiede che il ricorso contenga una critica specifica delle argomentazioni della sentenza impugnata, non una semplice riproposizione di censure già esaminate e respinte dal giudice precedente.

Se il reato si prescrive dopo la sentenza d’appello, la Cassazione può dichiararlo estinto anche se il ricorso è inammissibile?
No. Se il ricorso è ritenuto inammissibile per manifesta infondatezza, non si instaura un valido rapporto di impugnazione. Questo preclude alla Corte la possibilità di dichiarare eventuali cause di non punibilità, come la prescrizione, maturate dopo la sentenza di secondo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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