Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9350 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9350 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 19/10/1990
avverso la sentenza del 03/07/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un unico motivo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’affermazione di penale responsabilità per il reato all’art. 7 comma 15 bis cod. strada.
Lamenta, in particolare, che la Corte territoriale non abbia fornito una congrua risposta ai motivi di gravame nel merito con cui si era lamentato il difetto di prova del pagamento di un corrispettivo da parte del conducente dell’auto, in assenza del quale non può ritenersi integrata da un punto di vista oggettivo la fattispecie di reato di cui alla contestazione.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il motivo in questione non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non è scandito dalla necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e d correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione). Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare ritengono il fatto storico incontestato e pienamente provato dal fatto che il Geraci è stato colto nell’atto di dare indicazioni agli automobilisti, invitandoli a parcheggiare (comportamento evidentemente eloquente, non trovando riscontro l’affermazione difensiva secondo cui occorrerebbe in ogni caso la prova certa del corrispettivo), e quindi di svolgere l’attività illecita che gli è stata ascritta.
In sentenza si rileva che risultavano a carico dell’odierno ricorrente ulteriori segnalazioni per la violazione dell’art. 7, comma 15bis, cod. strada elevategli il 26.6.2019 e il 9.10.2019 e che con lo svolgimento di quanto imputatogli COGNOME violava anche il provvedimento di DASPO urbano emesso dal Questore di Palermo
il 10/01/2019 che gli inibiva anche l’accesso al luogo in cui è stato colto a svolgere l’attività di parcheggiatore abusivo per due anni.
Il reato per cui, si procede, non era prescritto all’atto dell’emanazione della sentenza impugnata, e non lo è nemmeno oggi, in quanto i reati per cui si procede, commessi nel dicembre 2017, non sono prescritti, atteso che ricadono sotto le previsioni della c.d. riforma Orlando che, per tutti i reati commessi dopo la sua entrata in vigore (3 agosto 2017) e fino al 31 dicembre 2019, data successivamente alla quale l’intera disciplina è stata innovata dalla I. legge 27 settembre 2021, n. 134.ha introdotto un termine di sospensione di diciotto mesi decorrente dalla data del deposito della motivazione della sentenza di primo grado.
Peraltro, nemmeno si sarebbe potuta porre in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/02/2025