Parcheggiatore abusivo: la Cassazione chiarisce quando diventa reato
L’attività di parcheggiatore abusivo è un fenomeno diffuso che può integrare, in determinate circostanze, una fattispecie di reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 27355/2024, ha fornito importanti chiarimenti sui presupposti che trasformano un illecito amministrativo in un vero e proprio reato penale, ribadendo al contempo i requisiti di ammissibilità del ricorso in sede di legittimità.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Napoli per il reato di esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore. La condotta contestata consisteva nell’aver svolto tale attività in modo reiterato, essendo già stato sanzionato in via definitiva per la medesima violazione in due occasioni ravvicinate (8 e 11 novembre 2019).
L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, contestando la qualificazione giuridica dei fatti e sostenendo l’insussistenza del reato. La difesa ha inoltre presentato una memoria successiva per insistere sulla discussione del ricorso in udienza.
La Decisione della Corte: l’inammissibilità del ricorso sul parcheggiatore abusivo
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi principali: la natura del ricorso e la corretta qualificazione del reato.
Le Motivazioni della Decisione
I giudici di legittimità hanno innanzitutto qualificato i motivi del ricorso come una mera riproposizione delle stesse doglianze già presentate in appello. La Corte ha evidenziato che l’imputato non ha formulato una critica specifica e puntuale alle argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a reiterare temi già ampiamente e congruamente trattati dai giudici di merito.
Richiamando un principio consolidato (sentenza Galtelli delle Sezioni Unite), la Corte ha ribadito che un ricorso per cassazione non può essere una semplice ripetizione del gravame precedente; deve invece confrontarsi dialetticamente con la decisione di secondo grado, evidenziandone gli specifici errori di diritto o i vizi logici.
Nel merito della questione, la Cassazione ha confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello. Il reato di esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore abusivo si configura penalmente quando la condotta viene ripetuta nonostante una precedente sanzione amministrativa definitiva. Nel caso di specie, l’imputato era stato sorpreso per ben due volte nella stessa zona, peraltro vicino alla propria abitazione, a breve distanza di tempo dalla sanzione precedente. Questo elemento, secondo la Corte, esclude categoricamente l’occasionalità della condotta e ne dimostra la sistematicità, integrando così pienamente la fattispecie penale.
È stato inoltre chiarito che, ai fini della configurabilità del reato, sono irrilevanti circostanze come l’eventuale interclusione dell’area di parcheggio o la percezione effettiva di un compenso da parte degli automobilisti. L’elemento cruciale è la recidiva nella condotta illecita.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento offre due importanti lezioni pratiche. La prima, di natura processuale, è che per avere successo in Cassazione non è sufficiente ripetere le proprie ragioni, ma è necessario smontare pezzo per pezzo la motivazione della sentenza che si intende impugnare. Un ricorso generico e ripetitivo è destinato all’inammissibilità.
La seconda, di natura sostanziale, riguarda il reato di parcheggiatore abusivo: la linea di demarcazione tra illecito amministrativo e reato penale è tracciata dalla ripetitività della condotta. Chi viene sanzionato e, ciononostante, continua a esercitare abusivamente l’attività di parcheggiatore, commette un reato, con tutte le conseguenze penali che ne derivano.
Quando l’attività di parcheggiatore abusivo diventa un reato?
L’attività di parcheggiatore abusivo si trasforma da illecito amministrativo a reato penale quando viene posta in essere nuovamente dopo che il soggetto è già stato sanzionato in via definitiva per la medesima violazione. La ripetizione della condotta è l’elemento chiave.
È sufficiente riproporre gli stessi motivi dell’appello in un ricorso per Cassazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso che si limita a ripetere le stesse argomentazioni già respinte dal giudice d’appello, senza un confronto critico e specifico con le motivazioni della sentenza impugnata, è inammissibile.
La percezione di un compenso è necessaria per configurare il reato di parcheggiatore abusivo?
No. Secondo la Corte, ai fini della rilevanza penale della condotta reiterata, è ininfluente che l’area sia interclusa o che vi sia stata l’effettiva percezione di un compenso. L’elemento determinante è la violazione ripetuta della norma.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27355 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che il difensore di COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, in epigrafe indicata, con la quale è stata rideterminata la pena individuata dal Tribunale di quella città che lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 21 sexies d.l. n. 113/2018, conv. dalla legge n. 132/201, in relazione all’art. 7 comma 15-bis codice strada, siccome già sanzionato per la medesima violazione (esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore), con provvedimento definitivo (in Napoli, 8/11 e 11/11/2019);
che il difensore ha depositato anche successiva memoria, con la quale si è contestata la valutazione del ricorso operata in sede di esame preliminare, chiedendosene la discussione in udienza;
ritenuto che il ricorrente ha dedotto vizi inesistenti, sia con riferimento all integrazione del reato contestato (la doglianza costituendo riproposizione dei temi introdotti con il gravame, ai quali il giudice d’appello ha dato una risposta congrua, non contraddittoria e neppure manifestamente illogica, oltre che coerente con gli elementi probatori richiamati in sentenza, quanto alla qualificazione giuridica della condotta, per la rilevanza penale della quale ha ritenuto ininfluente l’interclusione dell’area o la percezione di compenso), il COGNOME essendo stato sorpreso, per almeno due volte nella medesima zona, peraltro nei pressi del proprio domicilio, cosicché doveva escludersi qualsivoglia ipotesi di occasionalità della sua presenza sui luoghi, nonostante fosse stato già sanzionato, qualche mese prima, per la stessa violazione; che avuto riguardo all’aumento operato per la continuazione tra le due distinte condotte, punto rispetto al quale la doglianza è del tutto generica;
che le censure, in definitiva, sono reiterative di quelle formulate in sede di gravame e neppure sostenute dal necessario, previo confronto con le giustificazioni fornite dal giudice dell’appello (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione);
che alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero quanto alla causa d’inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Auciv Deciso il Ardaile~i