Parcheggiatore abusivo: non serve la prova del pagamento per la condanna
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla figura del parcheggiatore abusivo, delineando con chiarezza i confini tra illecito amministrativo e reato. La decisione sottolinea che, per la condanna penale, non è necessario dimostrare che l’automobilista abbia pagato una somma di denaro, essendo sufficiente un altro elemento: la recidiva specifica. Analizziamo nel dettaglio la pronuncia e le sue implicazioni.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un individuo condannato sia in primo grado dal Tribunale sia in appello dalla Corte d’Appello per il reato previsto dall’art. 7, comma 15-bis, del Codice della Strada. L’imputato era stato accusato di esercitare abusivamente l’attività di parcheggiatore. La sua difesa si basava sulla presunta mancanza di prove circa la condotta tipica del reato, sostenendo che i giudici di merito non avessero accertato tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo “manifestamente infondato” e “assolutamente privo di specificità”. Secondo gli Ermellini, il ricorrente si era limitato a riproporre le stesse censure già esaminate e respinte correttamente dai giudici dei precedenti gradi di giudizio, senza un’adeguata analisi critica delle motivazioni della sentenza impugnata. La Corte ha quindi confermato la condanna, condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Cosa Rende Reato l’Attività di Parcheggiatore Abusivo?
Il punto cruciale della decisione risiede nella chiara spiegazione di quali elementi integrano il reato di parcheggiatore abusivo. La Corte ha ribadito che la condotta penalmente rilevante emerge in modo netto dalla ricostruzione dei fatti operata dalla Polizia Giudiziaria. L’imputato era stato individuato mentre forniva indicazioni agli automobilisti per parcheggiare, e questo comportamento è stato ritenuto sufficiente.
La Corte ha specificato due principi fondamentali:
1. Irrilevanza della controprestazione: Ai fini della configurabilità del reato, non è necessaria la prova che il parcheggiatore abbia richiesto o ricevuto un compenso economico. L’attività di indicare un posto auto è di per sé sufficiente a integrare la condotta.
2. Necessità della reiterazione: L’elemento che trasforma l’illecito da amministrativo a penale è la reiterazione della condotta. Il reato si configura solo se l’attività abusiva viene esercitata nuovamente dopo che una precedente sanzione amministrativa per la medesima violazione è diventata definitiva. Nel caso di specie, la definitività di una contestazione precedente era stata puntualmente documentata, provando così la recidiva richiesta dalla norma.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale preciso e severo nei confronti del fenomeno dei parcheggiatori abusivi. Le implicazioni pratiche sono significative. In primo luogo, si chiarisce che il semplice atto di dare indicazioni per il parcheggio, se reiterato dopo una sanzione amministrativa definitiva, è sufficiente per una condanna penale, indipendentemente da richieste di denaro. In secondo luogo, la decisione sposta l’onere della prova sulla documentazione della precedente sanzione divenuta definitiva, rendendo più agevole l’accertamento del reato da parte delle autorità. Per i cittadini, ciò significa che la persistenza in tale comportamento, anche se apparentemente innocuo, comporta conseguenze penali serie, inclusa una pena detentiva e una sanzione pecuniaria.
Per essere condannati come parcheggiatore abusivo è necessario che venga provato il pagamento di una somma di denaro?
No, la sentenza chiarisce che per integrare il reato non è necessaria la prova di una controprestazione monetaria. È sufficiente l’attività di fornire indicazioni per parcheggiare.
Cosa trasforma l’attività di parcheggiatore abusivo da illecito amministrativo a reato?
L’attività diventa un reato quando vi è la reiterazione della condotta, ovvero quando viene commessa nuovamente dopo che una precedente sanzione amministrativa per la stessa violazione è diventata definitiva.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non si ravvisa un’assenza di colpa, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2883 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2883 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 14/07/1965
avverso la sentenza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo indicata in epigrafe con la quale era stata confermata la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Palermo in ordine al reato d cui all’art. 7, comma 15 bis, D.Igs. n. 285/1992, rideterminando la pena in mesi quattro e giorni quindici di arresto ed euro 1.500, 00 di ammenda. L’esponente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 7, comma 15 bis, D.Igs. n. 285/1992, per avere i giudici di merito ritenuto sussistente la fattispecie in contestazione in difetto di un accertamento in ordine all’integrazione della condotta tipica, con conseguente carenza e contraddittorietà della motivazione.
Il motivo sopra richiamato è manifestamente infondato, in quanto assolutamente privo di specificità in tutte le sue articolazioni e del tutto assertivo. Lo stesso, in particolare, è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito e non risulta scandito da necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
3.1. L’impugnata sentenza dà atto alle pagg. 2 e 3 che la condotta tipica del reato di esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore emerge dalla chiara ricostruzione dei fatti contenuta nella relazione della P.G. acquisita agli atti. Il ricorrente è stato infatti individuato poiché forniva agli automobilisti che transitavano indicazioni per parcheggiare, e questo risulta sufficiente per l’integrazione del reato ex art. 7 comma 15 bis D.Igs. 285/1992, per cui non è necessaria la prova di una controprestazione monetaria, ma solo la reiterazione della condotta già precedentemente sanzionata in via amministrativa con provvedimento divenuto definitivo. Anche la sussistenza della recidiva, ossia la definitività della precedente contestazione del 31 gennaio 2019, risulta puntualmente documentata.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle a mende.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024
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