Parcheggiatore Abusivo: Prova Diretta e Inutilizzabilità delle Dichiarazioni
L’attività di parcheggiatore abusivo rappresenta un illecito diffuso contro cui la giurisprudenza interviene costantemente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sul tipo di prova sufficiente a fondare una condanna, distinguendo nettamente tra l’osservazione diretta degli agenti e le dichiarazioni rese dall’imputato. Il caso esaminato riguarda un ricorso presentato contro una condanna per il reato previsto dal Codice della Strada, basato sull’erroneo presupposto che la decisione fosse fondata su prove non utilizzabili.
I Fatti di Causa e il Motivo del Ricorso
Un individuo veniva condannato in primo e secondo grado per aver esercitato l’attività di parcheggiatore abusivo. La condanna si basava sulla pena di quattro mesi di arresto e 1.500,00 euro di ammenda. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sollevando un unico motivo di doglianza: la violazione di norme procedurali (artt. 63, 350, comma 7, e 191 c.p.p.) relative all’utilizzo delle dichiarazioni spontanee.
Secondo la difesa, la sentenza di condanna era viziata poiché si sarebbe basata su dichiarazioni che l’imputato aveva reso spontaneamente alla Polizia Giudiziaria (PG) sul luogo e nell’immediatezza dei fatti. Tali dichiarazioni, secondo le norme invocate, non avrebbero potuto essere utilizzate come prova ai fini della decisione.
La Decisione della Corte: l’Irrilevanza delle Dichiarazioni
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo l’assunto difensivo infondato. L’analisi della motivazione della sentenza impugnata ha rivelato un aspetto cruciale: la condanna non era affatto basata sulle dichiarazioni spontanee dell’imputato. Al contrario, il fondamento della responsabilità penale risiedeva esclusivamente nelle prove raccolte durante il dibattimento.
In particolare, la Corte ha sottolineato come la colpevolezza fosse stata accertata grazie alla testimonianza di uno degli agenti operanti. Il testimone aveva riferito di aver sorpreso l’imputato mentre svolgeva attivamente il ruolo di parcheggiatore abusivo. L’attività illecita si manifestava attraverso una gestualità inequivocabile, che includeva il blocco del traffico per agevolare il parcheggio degli automobilisti di passaggio.
Le motivazioni
Il cuore della motivazione della Suprema Corte risiede nella distinzione tra la fonte di prova effettivamente utilizzata dai giudici di merito e quella erroneamente indicata dal ricorrente. La Corte ha evidenziato che la sentenza d’appello non conteneva alcun riferimento alle dichiarazioni rese dall’indagato alla PG. Pertanto, non vi era alcun elemento per sostenere che tali dichiarazioni fossero state utilizzate per fondare il giudizio di colpevolezza.
La decisione si è basata su elementi fattuali solidi e legalmente acquisiti: l’osservazione diretta dell’attività illecita da parte degli agenti e la loro successiva testimonianza in tribunale. A rafforzare il quadro probatorio, i giudici hanno anche considerato che l’imputato era già stato sanzionato in precedenza per la medesima attività, svolta negli stessi luoghi. Questo elemento ha contribuito a confermare la natura abituale e consapevole del suo comportamento.
Di conseguenza, poiché le dichiarazioni contestate non hanno avuto alcun ruolo nel processo decisionale, il motivo di ricorso è stato giudicato irrilevante e, quindi, inammissibile.
Le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di prove penali: un’affermazione di colpevolezza deve poggiare su elementi probatori validi e correttamente acquisiti. In questo caso, la testimonianza di un agente di polizia che ha assistito direttamente alla commissione del reato costituisce una prova piena e sufficiente. La sentenza chiarisce che la semplice esistenza di dichiarazioni potenzialmente inutilizzabili non inficia la validità di una condanna, se questa si fonda su altre prove autonome e decisive. Per gli operatori del diritto, è un monito a concentrare le strategie difensive sugli elementi effettivamente posti a fondamento della decisione, piuttosto che su aspetti marginali o non considerati dal giudice.
 
Una condanna per parcheggiatore abusivo può basarsi solo sulla testimonianza degli agenti di polizia?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la condanna è legittima se fondata sulla testimonianza di un agente che ha osservato direttamente l’imputato mentre compiva l’attività illecita, come bloccare il traffico e gesticolare per aiutare le auto a parcheggiare.
Le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla polizia sono utilizzabili come prova?
In questo caso, la Corte non ha dovuto pronunciarsi sulla questione, poiché ha accertato che la condanna non si basava affatto su tali dichiarazioni. La decisione era fondata esclusivamente sulla testimonianza diretta degli agenti, rendendo irrilevante il problema dell’utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso fissata in tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34631 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 34631  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale, all’esito di giudizio ordinario, NOME COGNOME è stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di arresto ed C 1.500,00 di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 7, comma 15 bis, d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (accertato a Napoli il 25 novembre 2019).
L’imputato ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello, lamentando con l’unico motivo, violazione degli artt. 63, 350, comma 7, 191 cod. proc. pen. per essere state poste a fondamento dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato dichiarazioni spontanee rese alla PG sul luogo e nell’immediatezza del fatto che, in base alle norme richiamate non avrebbero potuto essere utilizzate ai fini della decisione.
Rilevato che l’assunto difensivo non trova conferma nella motivazione della sentenza impugnata nella quale si riferisce (pag. 3) che gli operanti (uno dei quali è stato sentito come testimone nel corso del dibattimento) sorpresero COGNOME mentre svolgeva l’attività di parcheggiatore che «si esternava nella gestualità assunta, bloccando il traffico, per consentire il parcheggio agli automobilisti di passaggio» e tale attività veniva svolta nei medesimi luoghi nei quali, in precedenza, egli era stato sanzionato «per il pregresso esercizio della medesima attività».
Rilevato che nella sentenza non si fa riferimento alcuno alle dichiarazioni rese dall’indagato alla PG sicché nulla consente di ritenere che tali dichiarazioni siano state utilizzate ai fini della decisione.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e a ciò consegua la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ritenuto che, in ragione della causa di inammissibilità, il ricorrente debba essere condannato anche al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 ottobre 2025
Il Cons  COGNOME re estensore  COGNOME
Il Fjrsiente