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Parcheggiatore abusivo: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per l’attività di parcheggiatore abusivo e per la violazione di un DASPO urbano. La Corte ha stabilito che i motivi del ricorso miravano a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, confermando la decisione dei giudici di merito basata sulle prove dell’attività illecita sistematica e professionale. L’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Parcheggiatore Abusivo e DASPO Urbano: La Cassazione Conferma la Condanna

L’ordinanza n. 46369 del 2024 della Corte di Cassazione affronta il tema del reato di parcheggiatore abusivo e della violazione del cosiddetto DASPO urbano. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un imputato, confermando la decisione dei giudici di merito e chiarendo i limiti del giudizio di legittimità, che non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti.

I Fatti del Processo

Il ricorrente era stato condannato nei precedenti gradi di giudizio per plurime violazioni relative all’attività di parcheggiatore non autorizzato, secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 15-bis, del Codice della Strada (d.lgs. 285/1992), e per la violazione delle disposizioni dell’art. 10, comma 2, del d.l. 14/2017, ovvero il mancato rispetto di un DASPO urbano che gli inibiva l’accesso a una specifica area della città per ragioni di sicurezza.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali. Con il primo, contestava la sua responsabilità penale, sostenendo un’errata interpretazione delle prove. A suo dire, non aveva mai formulato esplicite richieste di denaro agli automobilisti, limitandosi ad aiutarli nelle manovre di parcheggio. Di conseguenza, secondo la sua difesa, mancavano i presupposti sia per il reato contestato sia per la violazione del DASPO.

Con il secondo motivo, lamentava un’errata applicazione dell’art. 133 del codice penale nella determinazione della pena, ritenendola eccessiva rispetto alla sua condotta e personalità.

La Decisione della Corte: il Ricorso del Parcheggiatore Abusivo è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso integralmente inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del sistema processuale penale: il giudizio di legittimità, proprio della Cassazione, non è una terza istanza di merito. La Suprema Corte non può riesaminare le prove e sostituire la propria valutazione a quella, logica e coerente, espressa dai giudici dei gradi precedenti (Tribunale e Corte d’Appello).

Le Motivazioni

La Corte ha articolato le sue motivazioni distinguendo i due motivi di ricorso.

Primo Motivo: Il Divieto di Rivalutazione dei Fatti

In merito alla contestazione sulla responsabilità, i giudici hanno evidenziato come il ricorso mirasse a una “non consentita rivisitazione delle risultanze istruttorie”. La difesa proponeva una lettura alternativa dei fatti, contrapposta a quella dei giudici di merito. Tuttavia, la condanna si basava su elementi concreti, come la constatazione da parte della polizia giudiziaria dello “inequivoco svolgimento dell’attività di posteggiatore abusivo” e della sua presenza nell’area urbana vietata. La valutazione dei giudici di merito è stata ritenuta “concorde e non manifestamente illogica” e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità. Non è rilevante, ai fini della configurazione del reato, che l’imputato non abbia esplicitamente chiesto denaro, se il suo comportamento complessivo è inequivocabilmente diretto a tale scopo.

Secondo Motivo: La Genericità sulla Determinazione della Pena

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile, ma per due ragioni distinte: genericità e manifesta infondatezza. Era generico perché non si confrontava specificamente con la motivazione della sentenza d’appello, la quale aveva giustificato la misura della pena sottolineando la “sistematicità e della ripetizione delle condotte, svolte in modo pressoché professionale dall’imputato”. Era infondato perché, ancora una volta, richiedeva una riconsiderazione nel merito della condotta e della personalità dell’imputato, attività preclusa alla Corte di Cassazione.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento: il ricorso in Cassazione serve a verificare la corretta applicazione della legge, non a ridiscutere i fatti già accertati. Quando le motivazioni dei giudici di merito sono logiche e ben argomentate, non possono essere messe in discussione in sede di legittimità. Per l’imputato, la dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la definitività della condanna, ma anche l’onere di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.

È possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti accertata nei gradi precedenti?
No, il giudizio della Corte di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può riesaminare le prove o fornire una diversa interpretazione dei fatti, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che non è stata riscontrata in questo caso.

Per la condanna come parcheggiatore abusivo, è necessario che l’imputato abbia esplicitamente chiesto denaro?
Dal testo dell’ordinanza si evince che la condanna è stata confermata nonostante la difesa sostenesse la mancanza di una richiesta esplicita di denaro. La Corte ha ritenuto sufficiente la constatazione da parte della polizia giudiziaria dell'”inequivoco svolgimento dell’attività di posteggiatore abusivo”, suggerendo che il comportamento complessivo dell’imputato fosse sufficiente a integrare il reato.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
A norma dell’articolo 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata dal giudice. In questo caso, la somma è stata stabilita in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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