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Par condicio cautelare: non è un automatismo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato che, in carcere per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, chiedeva gli arresti domiciliari invocando la ‘par condicio cautelare’. La Corte ha stabilito che non si può applicare un trattamento identico se le posizioni processuali, il ruolo nell’associazione e la pericolosità sociale degli indagati non sono perfettamente sovrapponibili, confermando la decisione del Tribunale di Napoli.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Par Condicio Cautelare: Non è un Diritto Assoluto

La recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la cosiddetta par condicio cautelare, ovvero la parità di trattamento tra coindagati, non è un automatismo. La decisione di concedere o meno una misura meno afflittiva, come gli arresti domiciliari, deve basarsi su una valutazione specifica e individuale della posizione di ciascun soggetto, senza che la scelta favorevole per uno si estenda automaticamente agli altri. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. La difesa dell’indagato aveva richiesto la sostituzione della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari. Tale richiesta era stata respinta sia dal Giudice per le Indagini Preliminari sia, in sede di appello, dal Tribunale di Napoli. L’indagato ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando principalmente la violazione del principio di parità di trattamento.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione della par condicio cautelare: Si sosteneva che ad altri coindagati, con una posizione processuale ritenuta ‘perfettamente sovrapponibile’, erano stati concessi gli arresti domiciliari, creando una disparità di trattamento ingiustificata.
2. Omessa motivazione: I difensori lamentavano che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato il presunto ‘smantellamento’ dell’associazione criminale, un evento che avrebbe dovuto far venir meno le esigenze cautelari.
3. Errata valutazione del pericolo di reiterazione: Collegato al punto precedente, si argomentava che, a seguito della dissoluzione del sodalizio, il pericolo che l’indagato potesse commettere nuovi reati non era più attuale e concreto.

La Decisione della Corte: La ‘Par Condicio Cautelare’ non è Assoluta

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati. La decisione si articola su due punti cardine che chiariscono i limiti del principio di parità di trattamento nelle misure cautelari.

L’analisi della Posizione Individuale

La Corte ha specificato che il principio della par condicio cautelare non opera come l’effetto estensivo previsto per le impugnazioni nel merito. Una decisione favorevole a un coindagato può essere usata come argomento per richiedere la revoca o la sostituzione di una misura, ma non crea un diritto automatico. Il giudice deve sempre valutare se le situazioni sono davvero identiche.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente evidenziato le differenze sostanziali tra la posizione del ricorrente e quella del coindagato preso a paragone. Il ricorrente aveva:
* Precedenti penali specifici, a differenza dell’altro.
* Un ruolo fiduciario e di spicco all’interno dell’associazione, agendo per conto del capo.

Questi elementi hanno portato a ritenere la sua personalità e la sua pericolosità sociale diverse e più accentuate, giustificando un trattamento cautelare più severo.

Il Pericolo di Reiterazione del Reato

Per quanto riguarda lo ‘smantellamento’ dell’associazione, la Corte ha giudicato i motivi del ricorso aspecifici e non in grado di scalfire la solida motivazione del provvedimento impugnato. Il Tribunale aveva fondato la sua valutazione sull’elevato grado di professionalità criminale del ricorrente, dimostrato non solo dal ruolo nell’associazione, ma anche da precedenti condanne per lesioni e detenzione di ingenti quantitativi di droga e armi. Tali precedenti, secondo la Corte, dimostravano la totale inefficacia deterrente delle precedenti esperienze carcerarie, confermando un pericolo di recidiva attuale e concreto, anche a prescindere dall’operatività attuale del singolo sodalizio criminale. Infine, è stata sottolineata l’operatività della presunzione di pericolosità prevista dalla legge per reati gravi come l’associazione finalizzata al narcotraffico.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano sulla necessità di una valutazione personalizzata delle esigenze cautelari. Il principio di uguaglianza non può essere applicato in modo meccanico, ma deve tenere conto di tutti gli elementi che definiscono la pericolosità di un individuo: il suo passato criminale, il ruolo specifico ricoperto nel reato contestato e la sua capacità di inserirsi in altri contesti criminali. La decisione impugnata aveva compiuto questa analisi in modo logico e coerente, distinguendo motivatamente le diverse posizioni e concludendo per la persistenza di un elevato rischio di reiterazione del reato per il ricorrente, a differenza di altri coindagati.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre un importante chiarimento: la concessione di una misura cautelare più favorevole a un coindagato non si estende automaticamente agli altri. Ogni posizione deve essere vagliata singolarmente. Elementi come precedenti penali e un ruolo di rilievo all’interno di un’organizzazione criminale sono fattori decisivi che possono giustificare un trattamento più rigoroso, anche se i reati contestati sono i medesimi. Questo rafforza il potere discrezionale del giudice nel personalizzare la misura cautelare in base alla concreta pericolosità di ogni singolo indagato.

Che cos’è il principio della ‘par condicio cautelare’ e si applica sempre?
È il principio di parità di trattamento nell’applicazione delle misure cautelari a persone indagate per lo stesso reato. La sentenza chiarisce che non si applica automaticamente: una decisione favorevole per un indagato non si estende agli altri se le loro posizioni personali e processuali non sono identiche.

Perché al ricorrente è stata negata una misura meno severa concessa a un altro coindagato?
Perché, a differenza del coindagato preso a confronto, il ricorrente aveva precedenti penali specifici e un ruolo fiduciario di primo piano all’interno dell’associazione criminale. Questi elementi, secondo i giudici, indicavano una maggiore pericolosità sociale che giustificava il mantenimento della custodia in carcere.

Lo ‘smantellamento’ di un’associazione criminale fa venir meno automaticamente il pericolo di reiterazione del reato per i suoi membri?
No. Secondo la Corte, anche se l’associazione non fosse più operativa, il pericolo di reiterazione può rimanere attuale e concreto se l’indagato ha dimostrato un’elevata ‘professionalità criminale’ e precedenti penali che testimoniano la sua inclinazione a delinquere. La valutazione si basa sulla pericolosità intrinseca del soggetto, non solo sulla contingente operatività del gruppo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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