Ostatività benefici penitenziari: quando la revoca preclude nuove misure
L’ordinamento penitenziario italiano prevede una serie di ostatività ai benefici penitenziari, ovvero situazioni che impediscono a un condannato di accedere a misure alternative al carcere. Una di queste, disciplinata dall’art. 58-quater della legge n. 354/1975, è la cosiddetta ‘ostatività triennale’, che scatta in caso di revoca di una misura alternativa precedentemente concessa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito i confini applicativi di questa norma, sottolineando come la natura della richiesta del condannato sia decisiva per superare o meno tale sbarramento.
Il caso: la revoca di una misura e la nuova richiesta
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un detenuto che si era visto revocare la detenzione domiciliare. Successivamente, aveva presentato una nuova istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere la concessione di misure alternative alla detenzione. Il Tribunale dichiarava l’istanza inammissibile proprio in virtù del divieto triennale previsto dall’art. 58-quater.
Il difensore del condannato proponeva quindi ricorso in Cassazione, sostenendo che tale norma non dovesse essere applicata in modo automatico. A suo avviso, la giurisprudenza, sia costituzionale sia di legittimità, ha più volte affermato la necessità di superare gli automatismi preclusivi, in quanto contrastanti con il fine rieducativo della pena. Inoltre, lamentava la mancata considerazione della personalità del condannato, elemento che avrebbe dovuto guidare la decisione del giudice.
La decisione della Corte: l’ostatività dei benefici penitenziari e i suoi limiti
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione, pur apparendo rigida, si fonda su una distinzione giuridica cruciale. Gli Ermellini hanno infatti osservato che l’istanza presentata in origine dal condannato era volta a ottenere, in via esclusiva, la concessione di misure alternative alla detenzione di tipo ‘ordinario’.
È proprio questa specificità a rendere operativo il divieto legale. La norma sull’ostatività dei benefici penitenziari è chiara nello stabilire che chi subisce la revoca di una misura alternativa non può accedere a nuovi benefici per un periodo di tre anni. Se la richiesta del condannato rientra esattamente in questa categoria, il giudice non ha margine di discrezionalità, ma deve limitarsi a prendere atto della preclusione.
Le motivazioni della Cassazione
Le motivazioni della Corte si concentrano sul contenuto dell’istanza originaria. I giudici hanno spiegato che le censure del ricorrente, relative alla necessità di superare gli automatismi e di valutare la personalità, sono irrilevanti nel caso specifico. Questo perché l’istanza presentata al Tribunale di Sorveglianza era formulata in modo tale da ricadere pienamente nel perimetro del divieto normativo.
In altre parole, il detenuto aveva chiesto esattamente ciò che la legge, in quella precisa condizione, gli vietava di ottenere. Di conseguenza, la decisione del Tribunale di Sorveglianza di dichiarare l’istanza inammissibile era corretta e non violava alcuna legge. La Cassazione ha quindi confermato che, in presenza di una richiesta di misure alternative ordinarie dopo una revoca, il divieto dell’art. 58-quater si applica direttamente, senza che sia necessaria o possibile un’ulteriore valutazione di merito sulla personalità del condannato.
Conclusioni: cosa impariamo da questa ordinanza
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la formulazione delle istanze in materia di esecuzione penale è di importanza cruciale. Sebbene il principio rieducativo della pena spinga a superare gli automatismi, esistono preclusioni legali chiare che non possono essere ignorate. L’ordinanza chiarisce che l’ostatività dei benefici penitenziari prevista dall’art. 58-quater è un ostacolo insormontabile quando la richiesta del condannato ha per oggetto le misure alternative ordinarie. La decisione sottolinea l’importanza per la difesa di esplorare percorsi giuridici che non si scontrino frontalmente con divieti espliciti, qualora la legge li preveda. Infine, la condanna al pagamento delle spese e di una somma alla Cassa delle ammende funge da monito contro la proposizione di ricorsi palesemente infondati.
Cosa significa ‘ostatività triennale’ ai sensi dell’art. 58-quater della legge penitenziaria?
Significa che un condannato a cui sia stata revocata una misura alternativa alla detenzione non può ottenere la concessione di nuovi benefici penitenziari per un periodo di tre anni dalla data del provvedimento di revoca.
L’ostatività triennale si applica sempre in modo automatico?
Secondo questa ordinanza, sì, quando la richiesta del condannato riguarda specificamente la concessione di misure alternative ‘ordinarie’. In questo caso, il divieto opera come una preclusione diretta prevista dalla legge, senza lasciare spazio a una valutazione discrezionale sulla personalità del condannato.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’istanza originaria presentata dal detenuto al Tribunale di Sorveglianza era volta a ottenere esclusivamente misure alternative ordinarie. Poiché tali misure erano espressamente precluse dal divieto triennale, la decisione del Tribunale di dichiarare l’istanza inammissibile era legalmente corretta e il ricorso contro di essa privo di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20655 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20655 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto
da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 20/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visto il ricorso presentato da NOME COGNOME, in cui il difensore AVV_NOTAIO si duole della violazione di legge contenuta nel decreto di inammissibilità in epigrafe indicato, emesso dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste (decreto fondato sul presupposto della ostatività nel triennio, ai sensi dell’art. 58-quater legge 26 luglio 1975, n. 354, dell’avvenuta revoca della detenzione domiciliare, rispetto alla nuova concessione di benefici penitenziari), rilevando che la Corte costituzionale e la Corte di cassazione più volte si sono espresse nel senso di escludere la sussistenza di un automatismo, nell’applicazione dei meccanismi preclusivi dettati dalla legge penitenziaria, in quanto collidente col fine rieducativo della pena, nonché dolendosi della mancata considerazione della personalità del condannato.
Ritenuto che tali censure sono inammissibili, stante il contenuto dell’istanza dalla quale ha tratto origine l’avversato decreto, la quale era direttamente rivolta ad ottenere – in via esclusiva – la concessione di misure alternative alla detenzione carceraria di tipo ordinario, così restando soggetta al sopra detto divieto.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.