Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34511 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 34511 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 4/04/2025 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME; sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; sentiti l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Roma, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma il 10 marzo 2025 aveva disposto
l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME, in relazione alla ritenuta gravità indiziaria per i delitti di cui agli artt. 74 e 73, comma 1, e 80 d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso l’indagato, con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari alla motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo rileva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 7 e 27 d. Ivo. n. 108 del 2017, artt. 4 e 6 della Direttiva 2014/41/UE, art. 15 Cost., artt. 6 e 8 CEDU, art. 191 cod. proc. pen.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto erroneamente utilizzabili gli atti investigativi svolti in Francia (chat scambiate sulle piattaforme Encrochat e SkyEcc) richiesti dal Pubblico Ministero mediante ordine di indagine europeo (0E1) il 20 dicembre 2021, in forza di informativa del 25 ottobre 2021, prima che il ricorrente assumesse la qualifica di indagato nel presente procedimento, in violazione del principio di proporzionalità sancito dalla CEDU, dall’art. 15 Cost., dall’art. 6 Direttiva 2014/41/UE e dall’art. 7 del d. Ivo. 108 del 2017 stabilito per I’ “imputato o (al)la persona sottoposta alle indagini”, anche nei termini delineati dalla giurisprudenza della Corte EDU (Plecho contro Slovacchia del 26 ottobre 2023 e Contrada contro Italia del 23 maggio 2023). Infatti, sono state acquisite intercettazioni eseguite, con captatore informatico, in altro procedimento nel quale il ricorrente non era indagato e in assenza dell’assoluta indispensabilità ai fini investigativi.
Peraltro, NOME COGNOME non ha avuto strumenti per impugnare l’OEI emesso di propria iniziativa dal Pubblico ministero o per accertare la legittimità dell’attività captativa compiuta in Francia, non essendo indagato in quel Paese e non risultando segnalato per illeciti commessi in Italia. Ciononostante sono state visionate le sue comunicazioni dalla polizia giudiziaria, che ne ha accertato l’identità con riferimento alle utenze intercettate, senza previo riscontro della loro rilevanza penale.
Anche alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite del 29 febbraio 2024, nonostante la statuizione della pronuncia della Corte di Giustizia UE C-670/22, non è consentito al giudice interno di sindacare nel merito la legittimità dei provvedimenti autorizzativi emessi a monte dal giudice straniero.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso rileva violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla disciplina processuale riguardante i termini massimi per le indagini preliminari.
L’ordinanza impugnata, pur non contestando la ricostruzione difensiva, ha rigettato l’eccezione, volta ‘alla retrodatazione, ritenendo sussistenti nella specie plurimi aggiornamenti di iscrizioni di COGNOME legittimamente operati, per un reato permanente, in forza di nuovi elementi, nonostante risulti documentalmente che, sulla base delle tre iscrizioni del ricorrente per il medesimo delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, nei tre diversi procedimenti (RG n. 29845 del 2018, n. 50299 del 2019, n. 49304 del 2023), tra il maggio 2020 – data di conclusione dei termini massimi, ex art. 405 cod. proc. pen. del primo procedimento – e il 26 ottobre 2023 – data del primo aggiornamento di iscrizione di COGNOME nel secondo procedimento – non vi fosse copertura giurisdizionale e dunque gli OEI nn. 119 e 121 del 2021, richiesti nel dicembre 2021 con riferimento al ricorrente, non sono utilizzabili perché compiuti oltre il termine di indagine.
La conferma di detta conclusione è data dello stesso provvedimento impugnato nella parte in cui non smentisce («pur ammettendo che…») come le indagini siano riprese nei confronti di COGNOME il 26 ottobre 2023.
2.3. Con il terzo motivo rileva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione sia al reato associativo contestato, in quanto sovraordinato e distinto dalle associazioni criminose radicate nelle varie piazze di spaccio, diversamente da quanto contestato in via provvisoria; sia al ruolo di COGNOME quale capo e promotore di questa sorta di holding, sulla base di elementi svincolati dai reatifine oggetto di contestazione perché fondati sulla sola fama criminale del ricorrente.
Anche il rapporto di questi con COGNOME è fondato su mere congetture, riferite peraltro da collaboratori di giustizia estranei al sodalizio oggetto di indagine, relative a vicende antecedenti all’esistenza di questo, per reati-fine commessi alternativamente dall’uno o dall’altro; in assenza di comunanza di interessi e di un primigenio accordo criminoso tra i due e valorizzando vicende estranee al programma associativo come la rapina contestata al capo 3).
Anche la data dell’originaria costituzione del sodalizio criminoso, ritenuto operativo dalla fine del 2017, risulta contraddetta dall’intercettazione di NOME COGNOME del marzo 2018 che ne dimostra l’assenza; così come la mancanza di una cassa, di un arsenale, di una base logistica sono elementi che avrebbero consentito una diversa qualificazione dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo di ricorso ruota intorno alla ritenuta inutilizzabilità delle comunicazioni criptate, intercorse sulla piattaforma estera Sky-ECC ed acquisite con ordine europeo di indagine (0EI) dalla Francia, sulla base di due elementi: a) che il ricorrente non avesse assunto la qualifica di indagato all’epoca dell’emissione dell’OEI, con violazione dei principi di proporzionalità ed indispensabilità; b) che il ricorrente non avesse strumenti per tutelare i propri diritti difensivi rispetto all’attività captativa svolta in Francia, soprattutto alla luce e dell’esclusione, per i giudice interno, di sindacare la legittimità dei provvedimenti autorizzativi emessi dall’Autorità giudiziaria di altro Stato membro.
2.1. Premesso che i temi posti dal ricorso in ordine alla ritenuta inutilizzabilità delle chat criptate sono stati ampiamente risolti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 e Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286589), richiamate dagli stessi difensori, è opportuno rappresentare, in termini fattuali, che al momento dell’emissione degli ordini europei di indagine (0EI) da parte del Pubblico ministero, le chat di messaggistica sull’utenza Sky ECC in uso a NOME COGNOME erano già in possesso dell’autorità giudiziaria francese (Stato di esecuzione), che le aveva raccolte nell’ambito di una propria indagine.
In sostanza, l’oggetto degli OEI non era la raccolta di nuove prove, ma il trasferimento di prove già raccolte da altro Stato membro nell’ambito di un proprio autonomo procedimento penale.
2.2. L’emissione dell’OEI è un atto di indagine preliminare e, dunque, può avvenire prima della formale iscrizione nel registro degli indagati, quando ciò sia necessario per acquisire elementi probatori indispensabili per la prosecuzione delle indagini e per la stessa iscrizione della notizia di reato.
Tale possibilità è espressamente prevista dalla disciplina della Direttiva 2014/41/UE e dal d.lgs. n. 108 del 2017 che non subordinano l’emissione dell’OEI alla preventiva iscrizione nel registro degli indagati anche perché questo stravolgerebbe la logica progressiva delle indagini preliminari (Sez. 6, n. 1120 del 14/07/2025, COGNOME; Sez. 6, n. 24344 del 10/04/2025, COGNOME) soprattutto quando i dati richiesti siano rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti, come quello contestato a COGNOME, per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, come espressamente previsto dall’art. 270 cod. proc. pen.
Detta conclusione è confermata anche dalle sentenze della Corte EDU del 24 settembre 2024, NOME.NOME. e NOME contro Francia, nn. 44715/20 e 47930/21, in cui si è sancito il principio di proporzionalità previsto dall’art. 6, paragrafo 1, lett. a) dell Direttiva 2014/41/UE che non implica né richiede la preventiva iscrizione formale dell’indagato nel registro delle notizie di reato al momento dell’emissione dell’OEI.
La valutazione di proporzionalità deve essere effettuata con riferimento alla gravità dei reati oggetto di indagine, alla necessità e indispensabilità delle prove richieste per l’accertamento di tali reati e alla sussistenza di elementi concreti che giustifichino l’emissione dell’OEI
Nel caso di specie detti presupposti risultano soddisfatti non solo perchè COGNOME, come indicato dallo stesso ricorso, era stato iscritto il 18 maggio 2018 per il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ma perché l’OEI era stato emesso in relazione a reati di particolare gravità (associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico), le prove richieste erano rilevanti e indispensabili per l’accertamento di tali reati e sussistevano elementi concreti desumibili dalle indagini in corso e dalle attività investigative svolte dall’autorità francese che giustificavano l’emissione dell’OEI.
Inoltre, del tutto estranea al caso esaminato è la censurata violazione dell’art. 7 del d. Igs n. 108 del 2017.
Come è noto il titolo II del decreto legislativo menzionato (artt. da 4 a 26) “Richiesta dall’estero” disciplina la procedura passiva ovverosia quella che deve essere seguita per dare esecuzione in Italia ad un ordine di indagine emesso dalle autorità di un altro Stato UE.
Dunque, l’art.7 riguarda il controllo di proporzionalità operato dall’autorità giudiziaria italiana quando è autorità di esecuzione («l’atto non è proporzionato se dalla sua esecuzione può derivare un sacrificio ai diritti e alle libertà dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini o di altre persone coinvolte nel compimento degli atti richiesti, non giustificato dalle esigenze investigative o probatorie del caso concreto, tenuto conto della gravità dei reati per i quali si procede e della pena per essi prevista»).
Nel caso di specie, invece, si è in presenza di una procedura attiva in cui cioè l’OEI è stato emesso dal Pubblico ministero italiano con la richiesta di trasmissione della nnessaggistica criptata in Francia, cosicché non assume alcun rilievo il citato art.7.
2.3. In ordine al profilo relativo all’assenza di strumenti per l’indagato volti a tutelare i propri diritti difensivi rispetto all’attività captativa svolta in Franci rileva, innanzitutto, che·la deduzione è stata presentata in termini astratti, atteso che non risulta che sia stata avanzata alcuna istanza presso lo Stato di esecuzione per accedere direttamente agli atti, e comunque non è stata posta in modo da superare la presunzione di legittimità degli atti compiuti all’estero.
Sul diritto della difesa nel corso del procedimento, in relazione alla prova acquisita tramite l’OEI, di svolgere le prerogative proprie del contraddittorio e del giusto processo, nel rispetto del diritto nazionale, restano fermi i principi affermati dalle menzionate sentenze delle Sezioni unite per come ulteriormente confermati
dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia (CGUE) del 30 aprile 2024 (C-670/22, M.N.) ovverosia che: a) l’autorità di emissione non è autorizzata a controllare la regolarità del procedimento con il quale lo Stato di esecuzione ha raccolto le prove, atteso il principio del mutuo riconoscimento e della fiducia reciproca tra Stati membri; b) la competenza del pubblico ministero ad emettere l’OEI per la trasmissione di prove già acquisite deriva dalla disciplina della Direttiva 2014/41/UE e dal diritto dello Stato di emissione che gli attribuisce il potere di richiedere la trasmissione di prove raccolte in un diverso procedimenti; c) l’impossibilità di accedere all’algoritmo di decriptazione non determina di per sé una violazione dei diritti fondamentali, purché il diritto a un processo equo venga garantito nel corso del successivo procedimento penale e la difesa abbia la possibilità di esperire rimedi effettivi nello Stato di esecuzione per contestare la legalità e la proporzionalità della raccolta dei dati.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che i dati probatori trasmessi dall’Autorità giudiziaria francese fossero stati acquisiti in un procedimento penale pendente davanti ad essa sulla base di provvedimenti autorizzativi adottati da un giudice in relazione ad indagini per gravi reati e soddisfacessero le condizioni di ammissibilità di cui all’art. 6, paragrafo 1, lett. a) della Direttiva 2014/41/UE della necessità e della proporzionalità delle attività richieste anche in considerazione dei diritti dell’indagato.
Anche le decisioni della Corte EDU del 24 settembre 2024 sopra citate hanno confermato come in Francia gli imputati avessero a disposizione un sistema di garanzie effettivo per ottenere la tutela richiesta, per contestare la legalità e la proporzionalità della raccolta dei dati e la loro trasmissione ad altro Stato membro. In particolare, l’art. 694-41 del codice di procedura penale francese stabilisce che l’autorità giudiziaria francese possa rifiutare o subordinare a condizioni la trasmissione delle prove quando ciò sia necessario per tutelare interessi essenziali relativi alla sicurezza nazionale, compromettere la fonte delle informazioni o comportare l’uso di informazioni classificate. Tuttavia i ricorrenti non avevano perseguito la possibilità di contestare la legalità e la proporzione della raccolta dei dati e la loro trasmissione allo Stato estero ai fini di prova.
Si tratta di conclusioni utili anche nel caso in esame in cui la difesa rileva come COGNOME non fosse indagato in Francia.
Trattandosi di trasferimento di prove già raccolte in altro procedimento, vale innanzitutto la regola affermata dalla citata decisione della CGUE, ovvero che l’ordine di indagine rispetti tutte le condizioni eventualmente previste dal diritto dello Stato di emissione per la trasmissione di tali prove in un caso puramente interno a detto Stato”.
Quindi, il diritto di difesa è garantito con l’applicazione delle regole corrispondenti dell’ordinamento interno che disciplinano l’acquisizione nel processo di prove già raccolte in altro processo (nel quale l’interessato non sia indagato/imputato).
Vale, poi, quanto affermato dalle Sezioni unite (§ 15.5.1.) che, con riferimento alla prova raccolta all’estero, hanno affermato che resta fermo il diritto di contestare la violazione dei “diritti fondamentali”, con l’onere di allegazione e di prova, gravante sulla parte interessata, in ordine ai fatti da cui desumere tale violazione. Medesimo principio vale anche per le operazioni di decriptazione, compiute in Francia, secondo modalità garantite previste da quell’ordinamento.
Poiché i rimedi consentiti non sono stati esperiti, non è configurabile alcuna violazione del diritto di difesa e dell’art. 6 CEDU (Sez. 6, n. 1120 del 14/07/2025, COGNOME; Sez. 6, n. 24344 del 10/04/2025, COGNOME).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e, comunque, formulato in modo generico.
L’ordinanza impugnata ha dato atto come nei confronti di NOME COGNOME vi fosse una prima iscrizione per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, “avvenuta al più tardi il 18.5.2018” (pag. 4 dell’ordinanza impugnata) a seguito della quale vi erano stati successivi aggiornamenti di iscrizione, avvenuti in presenza di nuovi elementi, tra i quali gli esiti degli DEI nn. 119 e 121 del 2021, richiesti, con riferimento al ricorrente, nel dicembre 2021. Inoltre, ha rilevato che, anche in caso di applicabilità dell’art. 335-quater cod. proc. pen., rispetto alli asserzione della difesa dell’essere le nuove indagini iniziate il 26/10/2023, la stessa non aveva comunque assolto al proprio onere di indicare, “a pena di inammissibilità, le ragioni che sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo” per retrodatare il termine di decorrenza delle indagini.
Il ricorso, a fronte . di tale motivazione, dà atto dell’inapplicabilità ratione temporis della nuova disciplina dell’art. 335-quater cod. proc. pen. e, poi, non contesta affatto l’argomento fondamentale del Tribunale, ovvero la presenza di nuovi elementi che giustificavano le nuove iscrizioni per il reato permanente in contestazione. Si limita, invece, ad affermare solo genericamente che, prima della data del 26/10/2023, “non esistono provvedimenti ulteriori idonei a legittimare l’attività investigativa prodromica agli OIE del dicembre 2021”.
Non vi è, quindi, alcuna seria obiezione agli argomenti del Tribunale che possa essere oggetto di valutazione in questa sede.
Il terzo motivo di ricorso, relativo alla gravità indiziaria, è inammissibile per genericità.
4.1. Il Tribunale del riesame con argomenti logici e ancorati alle solide e convergenti attività investigative (plurime dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche e messagistica scambiata per il tramite delle chat criptografate Encrochat e Sky Ecc) ha ricostruito la struttura e le modalità operative dell’associazione oggetto di esame, facente capo a NOME COGNOME di cui sono state descritte la caratura criminale già dal 2009 – come risulta da sentenze di condanna e dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME – e il ruolo di gestore monopolista, con NOME COGNOME, della fornitura di droga nelle più attive piazze di spaccio della capitale (Tor Bella Monaca, Giardinetti, Tuscolana, ecc.) con collegamenti strutturati con personaggi di spicco del traffico internazionale di stupefacenti (NOME COGNOME, detenuto da tempo, e NOME COGNOME deceduto in carcere nel 2017).
Innanzitutto, il provvedimento, alle pagg. 7-9, descrive COGNOME come il vertice indiscusso dell’associazione oggetto di indagine che, nel corso dell’affidamento in prova ad una comunità terapeutica, approfittando di una sostanziale libertà, era riuscito a consolidare il proprio potere criminale avvalendosi del ridimensionamento di un RAGIONE_SOCIALE concorrente, sino a imporre, unitamente a NOME COGNOME, la fornitura” all’ingrosso di cocaina, proveniente da diversi canali di approvvigionamento, nelle piazze di spaccio di Roma (pag. 7), con un telefono anti-intercettazione che utilizzava la segretezza di algoritmi militari.
Si tratta, dunque, di un’associazione – già ambiziosamente ideata ma non realizzata da NOME COGNOME perché morto nel 2017 – la cui finalità, anche strategica, era quella di presiedere, controllare, coordinare, proteggere e soprattutto monopolizzare la fornitura dello stupefacente destinato alle singole piazze di spaccio romane, rendendosi autonoma dalla gestione di queste ultime e dalle singole associazioni che le organizzavano.
L’acquisto di droga di queste ultime da COGNOME e COGNOME avveniva, nonostante i prezzi maggiorati, perché questi facevano dei favori quando i gestoriacquirenti avevano problemi – in caso di “sgarri” o nei confronti di avversari esterni – così svolgendo anche un ruolo di protezione perché soprattutto COGNOME era riconosciuto e temuto (“È uno pericoloso, che ti spara in faccia… Che non c’è bisogno di protettori, lo metto per iscritto… So che è uno d’azione e l’ha dimostrato” (così il collaboratore di giustizia NOME COGNOME, pag. 7).
4.2. Le plurime dichiarazioni dei numerosi collaboratori di giustizia (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) sull’associazione e sull’esercizio violento del potere del suo capo, COGNOME, per tutelare i “capi piazza” al fine di escludere qualsiasi concorrenza, sono state valutate attendibili perché coerenti, intrinsecamente ed estrinsecamente, reciprocamente riscontrate e convergenti oltreché riconosciute
dalle sentenze passate in giudicato (per COGNOME e COGNOME) e pienamente rispondenti non soltanto alle risultanze delle indagini svolte sin dal 2009 in relazione alle medesime piazze di spaccio, ma soprattutto agli esiti dalla messaggistica criptata.
4.3 Con specifico riferimento alle plurime e dettagliate dichiarazioni di NOME e NOME COGNOME, narcotrafficanti romani, relative non soltanto alle figure di COGNOME e COGNOME, ma anche ai rapporti tra questi e le singole piazze di spaccio, alle regole da rispettare, alle dinamiche interne, ai canali e alle modalità delle forniture, ai quantitativi di droga movimentati, ai luoghi dello smercio, alle violenze esercitate per mantenere il monopolio assoluto sulle piazze di spaccio di Tor Bella Monaca e poi su quelle della capitale, il provvedimento impugnato ha spiegato le ragioni che ne avevano determinato la collaborazione, tale da renderla affidabile e genuina. È stato dato atto, in particolare, degli eccessivi rischi per i COGNOME derivanti proprio dal protrarre una concorrenza non tollerata da COGNOME e COGNOME dimostrati dalle rapine organizzate nel 2017 ai danni di NOME COGNOME, con finalità punitiva, e un’aggressione il giorno prima dell’interrogatorio del 25 ottobre 2023 per il mancato pagamento di 20 kg di cocaina acquistati da una persona legata a COGNOME.
D’altra parte è lo stesso provvedimento impugnato a pag. 5 a dare atto come le censure difensive non attenessero alla ricostruzione dei fatti in sé rapporti e contatti con tutti gli indagati, azioni intraprese per risolvere i contrasti, disponibilità di armi, di immobili, denaro e beni di pregio, i legami con il RAGIONE_SOCIALE, il contenuto delle conversazioni estrapolate dalle chat criptate, l’individuazione degli interlocutori, le varie cessioni di droga attribuite all’indagato anche con riferimento alla quantità di stupefacente commerciato – ma soltanto alla sussistenza dell’associazione ai sensi dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Alla luce di detti argomenti, sviluppati in modo logico e completo, la difesa, senza contestare fatti oggettivi, offre una diversa lettura del quadro “indiziario” e parcellizza le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che, peraltro, non costituiscono le sole fonti di prova.
4.4. Con riferimento alla censurata violazione di legge, il provvedimento impugnato risulta pienamente coerente con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui per un verso la partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata all’attività di narcotraffico può essere desunta dalla commissione di singoli episodi criminosi (si veda pag. 5 del provvedimento impugnato che rinvia, per i numerosi reati-fine contestati a COGNOME, alle singole pagine dell’ordinanza genetica), nel caso in cui le connotazioni della condotta dell’agente ne rivelino, secondo massime di comune esperienza, un ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale (Sez. 3, n. 36381 del
09/05/2019, Rv. 276701 – 06), e in particolare dalla gestione di una piazza di spaccio (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Rv. 276677 – 01; v. anche Sez. 2, n. 20098 del 03/06/2020, Rv. 279476 – 02, e Sez. 4, n. 28167 del 16/06/2021, Rv. 281736 – 02), e per altro verso l’esistenza di interessi conflittuali tra i singoli componenti del sodalizio non è ostativa al riconoscimento dell’associazione.
Inoltre, nella struttura organizzata non rilevano gli scopi soggettivi e personali, perseguiti da ciascuno, atteso che ciò che distingue la fattispecie associativa è il mezzo con cui le diverse finalità personali vengono perseguite (Sez. 6, n. 22046 del 13/12/2018, Rv. 276068), con la conseguenza che il vincolo associativo può essere ravvisato anche tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella catena del traffico di stupefacenti (come i fornitori all’ingrosso e i compratori dediti alla distribuzione), a condizione che i fatti costituiscano espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del conseguimento del lucro da essi derivante, e che gli interessati siano consapevoli del ruolo svolto nell’economia del fenomeno associativo.
In tale contesto, non assume alcun rilievo che i gestori delle piazze di spaccio fossero liberi di acquistare anche da fornitori diversi dal COGNOME visto che quando ciò accadeva ne subivano le conseguenze, come avvenuto con la spedizione punitiva ai danni di NOME COGNOME che aveva aperto una piazza facendo concorrenza ai COGNOME, soggetti vicini a COGNOME (pagg. 7 e 8).
Con riferimento alla contestazione del ruolo apicale di COGNOME e del rapporto con COGNOME, il provvedimento impugnato, con motivazione logica e completa, valutandone l’ovvia convenienza reciproca, ha dato ampiamente conto di come più collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni erano riscontrate dalle intercettazioni, avessero riferito gli elementi fattuali che li rendevano “un’unica entità soggettiva” – già dal 2018 – perché grazie a questo, cioè con l’addizione dei loro profili riconosciuti delinquenziali, avevano ottenuto il controllo dell’attività di narcotraffico della capitale soprattutto dopo l’uccisione di NOME COGNOME («avevamo perfettamente chiaro quali piazze potevamo rifornire e quali erano di competenza di COGNOME e COGNOME» così NOME COGNOME a pagina 8 del provvedimento impugnato).
In particolare, è stata correttamente valorizzata, la compresenza dei due capi nella convocazione dei rivali al momento di imporre punizioni, come la rapina a COGNOME descritta alle pagg. 8 e 9; nell’acquisto di stupefacente; nella gestione delle finanze; nell’ assistenza legale reciproca; nella stipulazione degli accordi, nelle forniture delle piazze di spaccio che potevano essere indifferentemente concluse con COGNOME o COGNOME; nei rapporti di affari con i narcotrafficanti stranieri; nell’assenza di soggetti sovraordinati cui rispondere (pagg. 12 e 13).
Inoltre, il ricorrente aveva garantito a COGNOME assistenza legale a seguito dell’arresto e si era interessato costantemente dell’evolversi della sua vicenda giudiziaria mantenendo i rapporti con il difensore (pag. 13).
Con riferimento alla ritenuta assenza degli altri elementi tipici di un’associazione dedica al narcotraffico le censure difensive non si confrontano con il provvedimento impugnato che alle pagg 14 e 15 richiama gli elementi indiziari relativi alla gestione delle armi (le chat criptate tra COGNOME e i due capi piazza, COGNOME e COGNOME, da cui risultava che il ricorrente chiedeva di fornirgli le pistole al bisogno e che la loro attività, collaterale alla partecipazione all’associazione, fosse anche quella di custodirle) e alle basi logistiche dell’associazione (l’abitazione della madre del ricorrente dove questi spesso dava appuntamento ai suoi interlocutori, l’abitazione del fratello del ricorrente utilizzata come deposito di denaro e stupefacenti, nonché vari luoghi della zona).
Con riferimento all’assenza di una cassa comune, non direttamente emersa dall’attività investigativa, il provvedimento impugnato ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale «In tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l’assenza di una c.d. «cassa comune» non è ostativa al riconoscimento dell’associazione, essendo sufficiente, anche nell’ipotesi di una gestione degli utili non paritaria né condivisa con tra i vari sodali, che tra questi sussista un comune e durevole interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una sia pur minima organizzazione» (Sez. 6, n. 2394 del 12/10/2021, Rv. 282677).
I menzionati univoci elementi sono stati correttamente ritenuti gravemente indiziari del vincolo associativo e del ruolo apicale del ricorrente perché espressivi del potere decisionale e organizzativo tipico di chi all’interno del sodalizio ne assume il vertice.
4.5. Infine, con argomenti non illogici, ai fini di individuare la data iniziale dell’operatività dell’associazione facente capo a COGNOME, il Tribunale ha correttamente valorizzato l’intercettazione tra NOME COGNOME, gestore della piazza di INDIRIZZO, e il ricorrente (testualmente riportata a pagina 15), in cui risulta il proposito di COGNOME di unificare le piazze di spaccio, insieme a COGNOME, già dalla morte dell’ideatore del progetto, NOME COGNOME, avvenuta nel gennaio 2017 tale da avere imposto la ricostituzione di nuovi assetti associativi per riempirne il vuoto.
Il ricorso deve dunque essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
La Consigliera estensora
Così deciso il 17 settembre 2025
Il Rresidente