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Ordine Indagine Europeo: chat criptate valide come prova

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare per reati di narcotraffico, stabilendo la piena utilizzabilità delle prove derivanti da chat criptate (Encrochat e SkyEcc). Tali prove erano state acquisite dalla Francia tramite un Ordine Indagine Europeo. La Corte ha chiarito che l’emissione di un Ordine Indagine Europeo è legittima anche prima della formale iscrizione di un soggetto nel registro degli indagati, quando necessaria per l’acquisizione di prove indispensabili. Inoltre, è stato ribadito il principio per cui il giudice italiano non può sindacare la legittimità delle modalità di raccolta della prova avvenute nello Stato estero, in base al principio di mutuo riconoscimento. Respinte anche le censure relative alla presunta scadenza dei termini di indagine e alla gravità indiziaria.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine Indagine Europeo: Legittimo l’Uso di Chat Criptate Anche Prima dell’Iscrizione a Indagato

L’evoluzione tecnologica ha introdotto nuove sfide nel mondo del diritto, specialmente in ambito penale, dove le comunicazioni digitali e criptate sono diventate uno strumento comune per le attività illecite. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande attualità: l’utilizzabilità delle prove ottenute da chat criptate tramite un Ordine Indagine Europeo. La decisione chiarisce importanti principi sulla cooperazione giudiziaria internazionale e sulla validità degli atti di indagine preliminare.

Il Caso: Narcotraffico e Prove Digitali dalla Francia

Il caso in esame riguarda un ricorso presentato da un indagato, sottoposto a custodia cautelare in carcere per gravi reati legati al narcotraffico e all’associazione per delinquere. La difesa contestava la validità del provvedimento cautelare, basato in larga parte su prove acquisite tramite un Ordine Indagine Europeo (OEI) emesso dalla Procura italiana verso le autorità francesi. Tali prove consistevano in messaggi scambiati su piattaforme di comunicazione criptata, come Encrochat e SkyEcc, che erano già state raccolte dalle autorità francesi nell’ambito di una loro autonoma indagine.

La difesa sollevava tre principali motivi di ricorso:
1. L’inutilizzabilità delle chat, in quanto l’OEI era stato emesso prima che l’indagato fosse formalmente iscritto nel registro, violando i principi di proporzionalità e indispensabilità.
2. La violazione dei termini massimi delle indagini preliminari, sostenendo che gli atti investigativi compiuti tramite OEI erano avvenuti dopo la scadenza dei termini.
3. La carenza di gravità indiziaria riguardo al ruolo di capo e promotore dell’associazione criminale.

L’Utilizzo dell’Ordine Indagine Europeo per le Chat Criptate

Il cuore della controversia risiede nel primo motivo di ricorso. La difesa sosteneva che, non essendo ancora formalmente indagato al momento dell’emissione dell’OEI, il ricorrente non aveva potuto tutelare i propri diritti. La Cassazione ha rigettato completamente questa tesi. La Corte ha stabilito che l’emissione di un Ordine Indagine Europeo è un atto di indagine preliminare che può legittimamente precedere l’iscrizione formale nel registro degli indagati. Questo è particolarmente vero quando l’acquisizione di tali prove è indispensabile per la prosecuzione delle indagini e per la stessa iscrizione della notizia di reato.

Inoltre, la Corte ha sottolineato una distinzione cruciale: l’OEI in questione non richiedeva l’avvio di una nuova attività di intercettazione in Francia, ma il trasferimento di prove (le chat) già raccolte e in possesso delle autorità francesi. In base al principio del mutuo riconoscimento e della fiducia reciproca tra Stati membri dell’UE, il giudice italiano non ha il potere di controllare la regolarità del procedimento con cui lo Stato di esecuzione (la Francia) ha raccolto le prove.

L’Ordine Indagine Europeo e i Termini delle Indagini

Anche il secondo motivo, relativo alla presunta scadenza dei termini per le indagini, è stato giudicato infondato.

La questione della retrodatazione

La difesa lamentava una presunta retrodatazione dei termini, che avrebbe reso inutilizzabili gli OEI emessi nel dicembre 2021. La Corte ha osservato che l’ordinanza impugnata aveva correttamente evidenziato la presenza di successivi e legittimi aggiornamenti delle iscrizioni a carico dell’indagato, giustificati dall’emersione di nuovi elementi probatori per un reato di natura permanente come l’associazione per delinquere. La difesa, secondo i giudici, non ha fornito argomentazioni specifiche e concrete per sostenere la propria tesi, limitandosi a un’affermazione generica.

La gravità indiziaria e il ruolo di capo promotore

Infine, la Cassazione ha dichiarato inammissibile per genericità il terzo motivo di ricorso. Il Tribunale del riesame aveva ricostruito in modo logico e dettagliato il ruolo apicale dell’indagato all’interno dell’organizzazione criminale. Tale ricostruzione si basava su un quadro probatorio solido e convergente, che includeva:
– Dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia.
– Intercettazioni telefoniche.
– La messaggistica criptata acquisita tramite l’Ordine Indagine Europeo.

Questi elementi dimostravano il suo ruolo di gestore monopolista della fornitura di droga in importanti piazze di spaccio, il suo potere decisionale e la sua capacità di imporre la propria volontà con la violenza. La Corte ha anche specificato che l’assenza di una “cassa comune” non è un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un’associazione criminale.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su principi consolidati della giurisprudenza nazionale ed europea. In primo luogo, viene ribadita la natura dell’OEI come strumento flessibile di indagine che non è subordinato alla preventiva iscrizione del nominativo nel registro degli indagati. Ciò è coerente con la logica progressiva delle indagini preliminari, dove l’acquisizione di prove serve proprio a delineare le responsabilità penali. In secondo luogo, la decisione riafferma con forza il principio del mutuo riconoscimento, pilastro della cooperazione giudiziaria europea. Il giudice dell’emissione non può riesaminare la legittimità degli atti compiuti dall’autorità di esecuzione; eventuali contestazioni devono essere sollevate secondo le procedure previste dall’ordinamento dello Stato di esecuzione. La Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame abbia correttamente applicato questi principi e abbia fornito una motivazione logica e completa per respingere le doglianze della difesa, basando la propria decisione su un quadro indiziario grave, preciso e concordante.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma della validità processuale delle prove digitali acquisite tramite cooperazione giudiziaria internazionale. Stabilisce che l’Ordine Indagine Europeo è uno strumento potente ed efficace per contrastare la criminalità organizzata transnazionale, consentendo l’acquisizione di prove cruciali come le chat criptate. La decisione chiarisce che le garanzie difensive devono essere bilanciate con le esigenze investigative, specialmente in fase di indagini preliminari per reati di eccezionale gravità. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia consolida l’orientamento secondo cui le contestazioni sulla modalità di raccolta di prove all’estero devono essere mosse nelle sedi competenti, ovvero quelle dello Stato che ha materialmente raccolto la prova, e non possono essere usate per invalidare l’intero impianto accusatorio nel processo italiano.

È possibile utilizzare un Ordine di Indagine Europeo (OEI) per acquisire prove prima che una persona sia formalmente iscritta nel registro degli indagati?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’emissione dell’OEI è un atto di indagine preliminare che può avvenire prima della formale iscrizione, quando ciò sia necessario per acquisire elementi probatori indispensabili per la prosecuzione delle indagini e per la stessa iscrizione della notizia di reato.

Il giudice italiano può sindacare la legittimità delle modalità con cui le prove sono state raccolte in un altro Stato UE?
No. In base al principio del mutuo riconoscimento e della fiducia reciproca tra Stati membri, l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione (l’Italia, in questo caso) non è autorizzata a controllare la regolarità del procedimento con cui lo Stato di esecuzione (la Francia) ha raccolto le prove. Eventuali contestazioni devono essere sollevate utilizzando i rimedi giuridici disponibili nello Stato di esecuzione.

L’assenza di una “cassa comune” impedisce di riconoscere l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico?
No, la Corte ha ribadito che l’assenza di una cosiddetta “cassa comune” non è ostativa al riconoscimento dell’associazione. È sufficiente che sussista un comune e durevole interesse tra i sodali a immettere nel mercato sostanze stupefacenti, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività, anche in presenza di una minima organizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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