Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5704 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5704 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
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sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Albania il 6.7.1990
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avverso la ordinanza in data 11.7.2023 del Tribunale di Bologna
SENTENZA
1 2 FEB. 2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 11.7.2023 il Tribunale di Bologna, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di NOME COGNOME gravemente indiziato per i reati di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 per aver preso parte ad un’associazione dedita al narcotraffico operante nel territorio emiliano con il compito di modificare i veicoli che venivano utilizzati per il trasporto della droga ivi creando vani occulti dove nasconderla (capo 27), all’art. 73 primo comma per aver importato dal Belgio in concorso con altri sodali oltre 43 chili di cocaina con l’aggravante dell’ingente quantità (capo 3) e all’art. 630 cod. pen. relativo al sequestro a scopo di estorsione
di un suo connazionale, facente parte di un’associazione dedita anch’essa al narcotraffico in territorio romagnolo (capo 5).
Avverso il suddetto provvedimento l’indagato ha proposto, per il tramite dei propri difensori, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la nullità assoluta ex artt. 178 lett. a) e 179 cod. proc. pen. delle conversazioni intrattenute nella seconda metà dell’anno 2000 attraverso la piattaforma SkyEcc in quanto acquisite in esecuzione di un ordine europeo di indagine indirizzato alla Procura di Parigi da ritenersi illegittimo perché emesso dalla Procura della Repubblica di Bologna, vale a dire da un organo diverso da quello funzionalmente competente che è invece il giudice per le indagini preliminari, o comunque unilateralmente adottato dalla stessa Procura della Repubblica in assenza della preventiva autorizzazione del giudice. Rileva come tale procedura sia stata censurata dalla Corte di Giustizia europea con la sentenza del 2.3.2021 pronunciata nel caso HCOGNOME che ha stabilito come si ponga in violazione della Direttiva 2002/58/CE del 12.7.2022 in materia di trattamento di dati personali e alla tutela della vita privata nel settore della comunicazione elettronica, ogni normativa nazionale che consenta l’accesso alle autorità nazionali competenti a tali dati al di fuori da finalità di contrasto a forme gravi di criminalità – requisi nella specie sussistente – e che attribuisca tuttavia al Pubblico Ministero la competenza ad autorizzare l’accesso suddetto in assenza di un controllo preventivo effettuato da un giudice o da un’autorità amministrativa indipendente, ovverosia di un soggetto che rivesta una in posizione di terzietà rispetto a chi chiede l’accesso ai dati. Ritiene perciò la difesa manifestamente irragionevole l’assunto del Tribunale bolognese che, senza curarsi del fatto che la normativa attualmente vigente in materia di acquisizione dei tabulati telefonici prevede l’intervento autorizzativo del giudice, ha dichiarato legittima l’acquisizione delle comunicazioni effettuate via chat tramite dispositivi elettronici ai sensi dell’art. 234 bis cod. proc. pen. senza la necessità del controllo di un giudice terzo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, che la ricostruzione della vicenda in relazione al reato di cui al capo 5) conduceva alla qualificazione della condotta ai sensi dell’art. 605 cod. pen. e non già dell’art. 630 cod. pen. come rubricata nell’imputazione, ovverosia come sequestro di persona a scopo di estorsione, con conseguente improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela. Rileva che la spedizione punitiva compiuta nei confronti del conducente del camion che trasportava la droga nell’ambito di un’operazione di importazione condotta dal sodalizio di appartenenza dell’indagato in sinergia con l’associazione romagnola interessata anch’essa dalle indagini degli inquirenti, aveva quale unico scopo quello di verificare la veridicità della versione resa dai componenti di quest’ultima in ordine
all’abbandono del veicolo contenente la cocaina e di tenere cautelativamente in ostaggio un membro del gruppo romagnolo fino a quando non avessero appurato cosa fosse successo. Puntualizza come una volta compreso di non essere stati raggirati, avevano spontaneamente liberato l’ostaggio senza il pagamento di alcun prezzo e che perciò erronea deve ritenersi la tesi dei giudici de libertate secondo i quali il recupero dello stupefacente costituiva il corrispettivo per la liberazione dell’ostaggio.
2.3. Con il terzo motivo contesta la mancanza di motivazione in ordine alla sua appartenenza all’associazione, non potendo l’ausilio prestato ad un singolo associato, nella specie il Proshka, essere confuso con il dolo associativo che postula la conoscenza dell’associazione e la condivisione del suo programma criminoso tanto più che la collaborazione prestata da parte dell’indagato, che si era risolta in due soli interventi, era stata soltanto occasionale.
All’udienza fissata a seguito di due rinvii disposti in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite su questioni oggetto della presente impugnativa, il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, senza che né l’avv. NOME COGNOME che pure aveva chiesto la trattazione orale del ricorso, né l’avv. NOME COGNOME entrambi difensori del ricorrente, siano comparsi
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo non può ritenersi fondato.
Ed invero alla dibattuta questione se il trasferimento all’Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell’ordine europeo di indagine, le Sezioni Unite nella recentissima sentenza n. 23755 appena pronunciata hanno dato risposta negativa affermando che rientra nelle attribuzioni del pubblico ministero il potere di acquisizione di atti di altro procedimento penale. Ha ritenuto, infatti il supremo consesso, proprio affrontando la questione sollevata dalla difesa con il presente ricorso, che in materia di ordine europeo di indagine, la disciplina di cui all’art. 132 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, relativa all’acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l’ubicazione dei dispositivi utilizzati, si applica alle richieste rivolte ai fornitori del servizio, ma non anche a quelle dirette ad altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicché, in questo caso, il pubblico ministero può legittimamente accedere agli stessi senza chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende utilizzarli (Sez. U, Sentenza n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi, Rv. 286573 – 01).
Pur non trovando applicazione, diversamente da quanto affermato dal Tribunale del riesame, la procedura di cui all’art. 234 bis cod. proc. pen., in ogni caso la natura captativa ascrivibile alle comunicazioni effettuate mediante criptofonini, ove i flussi di comunicazione non siano più in corso al momento della richiesta dei relativi dati da parte dello Stato italiano allo Stato estero, consente l’applicabilità del procedimento per il trasferimento dei relativi dati disciplinato dall’art. 270 cod. proc. pen., la cui iniziativa è rimessa al Pubblico Ministero, potendo i risultati delle intercettazioni quando risultino “rilevanti ed indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, primo comma”, essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli in cui sono stati disposti. In tal caso è infatti ultronea una verifica giudizia di utilizzabilità, da parte del giudice nazionale, perché non prevista dall’art. 270 cod. proc. pen. neppure per il trasferimento di intercettazioni nei procedimenti interni (Sez. 6, Sentenza n. 46482 del 27/09/2023, COGNOME, Rv. 285363). Interpretazione questa definitivamente sugellata dalle Sezioni Unite nella sentenza sopra richiamata che ha chiarito che in materia di ordine europeo di indagine, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. U, Sentenza n. 23755 del 29/02/2024 Cc. (dep. 14/06/2024) Rv. 286573 – 01
D’altra parte, la violazione della direttiva 24/2006/CE in materia di conservazione di dati personali da parte dei gestori di comunicazioni elettroniche eccepita dalla difesa non ha nulla a che vedere con la fattispecie in esame, esulando dalla sua aera di operatività la disciplina delle intercettazioni, costituenti prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione, in disparte dal rilievo che dalla lettura del provvedimento impugnato non risulta, né viene menzionato dalla difesa, che vi fosse alcun dato personale dell’indagato conservato dal gestore che potesse di per sè rientrare nell’ambito dell’oggetto di tale direttiva.
Né vale invocare l’applicabilità dell’art. 132 d. Igs. 196/2003, che pure disciplina l’acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l’ubicazione dei dispositivi utilizzati, trattandosi di norma – questione anch’essa affrontata dalla recente pronuncia a Sezioni Unite cui questo Collegio intende uniformarsi- applicabile alle richieste rivolte ai fornitori del servizio, ma non anche a quelle dirette ad altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicché, in questo caso, il pubblico ministero può legittimamente accedere agli stessi senza
chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende utilizzarli (Rv. 286573 – 04).
I restanti motivi, risolvendosi il secondo in una ricostruzione alternativa della vicenda criminosa e il terzo in doglianze di natura soltanto contestativa e, dunque, generiche, sono inammissibili.
In relazione al secondo motivo si osserva che non vale a confutare la configurabilità del reato di cui all’art. 630 cod. pen. il propug ato intento da parte dei “modenesi” di volersi solo sincerare attraverso il sequestro dell’esponente del clan “romagnolo” della sussistenza o meno di un raggiro, appurato il quale avevano spontaneamente rilasciato l’ostaggio: allegazione questa che si sviluppa su un piano squisitamente fattuale, non confrontandosi con il puntuale rilievo dei giudici de libertate secondo il quale, oltre al contenuto dei messaggi intercettati evidenzianti la chiara volontà di trattenere il sequestrato a garanzia della riuscita delle operazioni di recupero del carico di droga abbandonato sull’autoarticolato, la liberazione dell’ostaggio, sia pure senza essere rientrati in possesso della partita di cocaina, si era verificata solo a seguito del sequestro della merce ad opera della Polizia Giudiziaria. La sussistenza dell’ingiusto profitto cui era finalizzata l’inter operazione, essendosi ritenuto che il recupero della droga costituisse il prezzo della liberazione, peraltro derivante dall’esecuzione di un pregresso negozio illecito con la vittima del reato (posto che il sodalizio dei modenesi aveva inizialmente cooperato con quello dei romagnoli per l’acquisto del carico di droga), ha coerentemente indotto il Tribunale del riesame ad escludere la derubricazione nella meno grave fattispecie delittuosa di cui all’art. 605 cod. pen..
Viene, infatti, dato atto dall’ordinanza impugnata come emergesse con chiarezza dalle risultanze investigative che la spedizione punitiva, organizzata dai modenesi, gruppo del quale era parte il ricorrente, in accordo con il clan dei romagnoli, era finalizzata al recupero dell’ingente quantitativo di cocaina, pari ad oltre 43 kg., importato dal Belgio e finanziato integralmente dallo stesso gruppo dei modenesi con la somma di circa 1.350.000 euro, delegando invece le operazioni di trasporto all’associazione dei romagnoli, allorquando era emerso che il corriere aveva abbandonato l’autocarro con a bordo il prezioso carico nei pressi di Piacenza, versione cui non credevano i finanziatori che temevano, invece, di essere stati raggirati dal gruppo concorrente che si sarebbe con tale messa in scena impossessato della merce. I sodali modenesi avevano pertanto individuato quale bersaglio del progettato sequestro di persona NOME COGNOME facente parte del gruppo dei romagnoli, il quale veniva catturato e legato mani e piedi, nel mentre i modenesi tentavano di recuperare la droga a bordo del camion, operazione per la quale era stato ritenuto indispensabile l’intervento del ricorrente che, avendo predisposto insieme al fratello NOME il vano occulto all’interno del mezzo, le cui sofisticate modalità di realizzazione ne rendevano particolarmente difficoltosa
tanto l’individuazione quanto l’apertura, era in grado di sbloccarlo e di estrarre la partita di cocaina ivi nascosta.
La circostanza che neppure l’operazione di recupero in tal modo organizzata fosse andata a buon fine essendo stato l’autoarticolato trovato e sequestrato dalla Polizia non muta tuttavia le finalità perseguite dal gruppo con il sequestro di NOME COGNOME che intendevano trattenere fino a quando non fossero entrati in possesso del carico di droga da loro stessi finanziato, non valendo a confutare la configurabilità del reato di cui all’art. 630 cod. pen. il propugnato intento da parte dei “modenesi” di volersi solo sincerare attraverso il sequestro dell’esponente del clan “romagnolo” della sussistenza o meno di un raggiro, appurato il quale avevano spontaneamente rilasciato l’ostaggio, trattandosi di allegazione questa che si sviluppa su un piano squisitamente fattuale, in assenza di confronto con i rilievi spesi dal Tribunale bolognese anche in relazione al contenuto dei messaggi intercettati evidenzianti la chiara volontà di trattenere il sequestrato a garanzia della riuscita delle operazioni di recupero del carico di droga abbandonato sull’autoarticolato.
Con riferimento poi alla condotta dell’indagato, il suo essersi fino ad allora attivato per la riuscita sia del sequestro raccogliendo informazioni sui possibili bersagli, ovverosia sui componenti del clan rivale da trattenere in ostaggio, sia per recuperare contestualmente il carico di cocaina recandosi personalmente sul posto in cui l’autoarticolato era stato parcheggiato, non soltanto rivela il contributo fattivo prestato per la riuscita dell’intera operazione criminosa ma, comunque, non lasciando trapelare alcuna volontà di dissociazione dall’operato degli altri concorrenti, esclude, in sé considerata, l’attenuante di cui all’art. 630 quarto comma cod. proc. pen..
Anche il terzo motivo, del pari formulato in termini di vizio motivazionale, mira a sollecitare la rivalutazione del compendio indiziario ad opera di questa Corte, senza individuare all’interno del provvedimento impugnato alcuna incongruenza o sfasatura logica idonea a disarticolare il ragionamento che sorregge un quadro di gravità indiziaria che si rivela, al contrario, organico, articolato e doviziosamente approfondito.
Va al riguardo, invero, ribadito che il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del Tribunale del Riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 9212 del 2/2/2017, COGNOME, Rv. 269438; cfr. anche Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251760).
Muovendo dall’imprescindibile postulato in forza del quale il controllo di logicità deve rimanere “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o più favorevole valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi, materiali e fattuali, delle vicende indagate, non può ritenersi idonea a scardinare il quadro di gravità indiziaria in ordine alla partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico, la contestazione, di natura squisitamente valutativa, relativa all’episodicità delle condotte dell’indagato ovvero ai rapporti intrattenuti esclusivamente con i due cugini COGNOME e con nessun altro dei componenti dell’associazione. Trattasi di doglianze che tralasciano le ben più copiose risultanze indiziarie assemblate in una coerente ricostruzione dai giudici della cautela che evidenziano non solo come il contenuto dei messaggi tra i due germani e il loro inserimento nella chat del gruppo associativo disvelassero una collaborazione di entrambi tutt’altro che occasionale, ma altresì la piena consapevolezza del prevenuto, dotato di ben due dispositivi con nnessaggistica criptata utilizzati per comunicare tanto con i cugini COGNOME, entrambi al vertice del sodalizio, quanto con gli altri partecipi, delle finalità s della operazione cui era preordinato il vano realizzato sull’autoarticolato, sia del programma criminoso perseguito dal gruppo, la quale è stata coerentemente tratta dal suo intervento personale nelle operazioni di recupero della droga abbandonata sul mezzo, ben al di là delle mansioni svolte da un meccanico.
In definitiva il compendio indiziario enucleato dal Tribunale bolognese consente di ricostruire con piena logicità di ragionamento, quanto meno sul piano del fumus, l’intraneità dell’indagato nell’associazione criminale, con la quale non avrebbe avuto ragione di cooperare una volta costruito il vano che, a detta dello stesso ricorrente, aveva costituito l’unica occasione di rapporto con i cugini COGNOME che gliene avevano ordinato la realizzazione.
Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato.
Segue a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 18.9.2024