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Ordine Europeo di Indagine: la Cassazione sulle chat

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato in stato di custodia cautelare, la cui posizione era basata su prove derivanti da chat criptate. Tali prove erano state ottenute dalle autorità francesi e trasmesse all’Italia tramite un Ordine Europeo di Indagine. La Corte ha confermato la piena utilizzabilità di questi dati, specificando che l’acquisizione di prove già legalmente raccolte da un altro Stato membro dell’UE non necessita di una preventiva autorizzazione del giudice italiano, rientrando nella disciplina della cooperazione giudiziaria.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine Europeo di Indagine: La Cassazione sulla Legittimità delle Chat Criptate

In un’era digitale, la cooperazione giudiziaria internazionale assume un ruolo cruciale nelle indagini penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande attualità: l’utilizzabilità delle conversazioni su chat criptate, acquisite tramite un Ordine Europeo di Indagine (OEI). La pronuncia offre chiarimenti fondamentali sulla procedura, sulle garanzie difensive e sul bilanciamento tra efficacia investigativa e diritti fondamentali.

I Fatti del Caso: L’Acquisizione di Prove dall’Estero

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Milano nei confronti di un soggetto, indagato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e altri reati. L’impianto accusatorio si fondava in modo significativo su prove derivanti da messaggi scambiati su una piattaforma di comunicazione criptata.

Questi dati non sono stati raccolti direttamente dalle autorità italiane, ma erano già stati acquisiti e decrittati dall’autorità giudiziaria francese nell’ambito di un’altra indagine. La Procura italiana aveva quindi ottenuto la trasmissione di tali dati attraverso l’emissione di un Ordine Europeo di Indagine. La difesa dell’indagato ha contestato la legittimità di questa acquisizione, sostenendo la violazione delle norme processuali italiane in materia di intercettazioni e di acquisizione di documenti informatici, che avrebbero richiesto un’autorizzazione preventiva del giudice.

L’Ordine Europeo di Indagine al Centro della Questione

Il fulcro del ricorso verteva sulla natura giuridica della prova e sulla corretta procedura da seguire. La difesa sosteneva che l’acquisizione di flussi di comunicazione dovesse seguire le rigide garanzie previste per le intercettazioni, e non la più snella procedura per l’acquisizione documentale. Inoltre, si lamentava l’impossibilità di verificare il processo di decrittazione e l’integrità dei dati, con una conseguente lesione del diritto di difesa.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato il ricorso, basando la sua decisione sui principi recentemente affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza “Gjuzi” (n. 23755/2024), che ha tracciato le linee guida per l’utilizzo dell’Ordine Europeo di Indagine in casi analoghi.

La Natura Giuridica dell’OEI e la Prova Preesistente

La Corte ha chiarito che l’OEI non è un mezzo di prova, ma una modalità di acquisizione di elementi probatori presenti all’estero, che si basa sulla cooperazione e sul reciproco riconoscimento tra Stati membri. Quando l’OEI ha per oggetto prove già formate e disponibili presso l’autorità giudiziaria straniera (come nel caso delle chat già decrittate in Francia), la procedura da seguire è quella della cooperazione giudiziaria, non quella che si applicherebbe se l’atto investigativo fosse compiuto ex novo in Italia.

Autorizzazione del Giudice e Ruolo del Pubblico Ministero

Di conseguenza, la Corte ha stabilito che per richiedere prove già in possesso di un’altra autorità UE non è necessaria una preventiva autorizzazione del giudice italiano. Il pubblico ministero è legittimato a emettere direttamente l’OEI. Il presupposto di ammissibilità, previsto dalla direttiva europea, è che l’atto di indagine richiesto (in questo caso, l’acquisizione dei messaggi) “avrebbe potuto essere emesso alle stesse condizioni in un caso interno analogo”. Poiché la legge italiana consente l’acquisizione di prove formate in altri procedimenti, tale condizione è soddisfatta.

La Presunzione di Legittimità e l’Onere della Prova per la Difesa

Un altro punto cruciale riguarda la tutela dei diritti fondamentali. La Corte ha ribadito il principio della presunzione di conformità: si presume che l’attività svolta dall’autorità dello Stato membro (in questo caso, la Francia) sia avvenuta nel rispetto dei diritti fondamentali. Spetta quindi alla difesa, che lamenta una violazione, l’onere di allegare e provare in modo specifico quali diritti sarebbero stati lesi e in che modo. Una generica contestazione sull’indisponibilità dell’algoritmo di decrittazione, ad esempio, non è sufficiente a invalidare la prova.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto il ricorso infondato in ogni sua parte. In primo luogo, ha confermato che la procedura seguita tramite Ordine Europeo di Indagine è pienamente conforme al diritto nazionale e sovranazionale. L’acquisizione di prove già legalmente raccolte da un’autorità giudiziaria di un altro Stato UE rientra nel sistema di cooperazione disciplinato dalla Direttiva 2014/41/UE e dal relativo decreto di attuazione. Non si applicano, pertanto, le norme interne sull’acquisizione diretta di documenti informatici (art. 234-bis c.p.p.) né quelle, ancora più stringenti, sulle intercettazioni. Il Pubblico Ministero italiano era pienamente legittimato a richiedere i dati senza un preventivo vaglio del giudice, poiché la prova era già esistente. La Corte ha inoltre sottolineato che l’ordinanza impugnata aveva correttamente dato atto che l’acquisizione originaria in Francia era avvenuta sulla base di un provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria locale. Per quanto riguarda le doglianze sul diritto di difesa, è stato ribadito che spetta al ricorrente l’onere di dimostrare un pregiudizio concreto derivante dalle modalità di trascrizione o acquisizione, onere che nel caso di specie non è stato assolto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza per la lotta alla criminalità organizzata transnazionale. Stabilisce che l’Ordine Europeo di Indagine è uno strumento efficace e agile per la circolazione delle prove all’interno dell’Unione Europea. Le prove digitali, come le chat criptate, ottenute legalmente in uno Stato membro, possono essere validamente utilizzate in un procedimento penale italiano senza che le autorità nazionali debbano ripetere l’intero iter autorizzativo. Questo rafforza il principio del mutuo riconoscimento e della fiducia tra le magistrature europee, ponendo al contempo un onere probatorio specifico sulla difesa che intenda contestare la legittimità di tali prove.

È necessaria l’autorizzazione di un giudice italiano per acquisire, tramite Ordine Europeo di Indagine, chat criptate già in possesso di un’autorità giudiziaria di un altro Stato UE?
No. La Corte di Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha stabilito che se la prova è già stata legittimamente acquisita e si trova nella disponibilità dell’autorità straniera, il pubblico ministero italiano può richiederla tramite OEI senza una preventiva autorizzazione del giudice del procedimento.

Le chat acquisite tramite OEI sono considerate ‘documenti’ ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. o ‘intercettazioni’?
La sentenza chiarisce che l’acquisizione tramite OEI segue una disciplina propria, distinta da quella nazionale. Indipendentemente dalla qualificazione (documento o dato relativo a comunicazioni), la procedura è legittima se l’atto investigativo avrebbe potuto essere compiuto in un caso analogo interno e se la prova è già stata formata all’estero.

Come può la difesa contestare la legittimità delle prove ottenute da un altro Stato UE?
La difesa non può limitarsi a contestazioni generiche. Vige una presunzione di conformità dell’attività svolta dall’autorità estera ai diritti fondamentali. Pertanto, la difesa ha l’onere di allegare e provare specificamente i fatti da cui deriverebbe la violazione di tali diritti nel Paese che ha raccolto la prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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