Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33876 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33876 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nata a Shijak Albania il 14/03/1995; nel procedimento a carico delknedesimci, avverso la ordinanza del 29/06/2023 del tribunale di Potenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, dr.ssa NOME COGNOME che ha chie il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell’indagato avv.to COGNOME COGNOME COGNOME che ha insistito per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 giugno 2023 il tribunale del riesame di Potenz rigettava l’istanza proposta nell’interesse di NOME avverso la ordi applicativa della misura degli arresti domiciliari emessa dal Gip del tribuna Potenza in data 12.6.2023 in relazione ad ipotesi di reato riguardan fattispecie di cui agli artt. 74 del DPR 309/90 e 73 del medesimo DPR.
Avverso la suindicata ordinanza COGNOME tramite il difensore di línP fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando GLYPH motivi di impugnazione.
Deduce, con il primo, vizi ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. per inosservanza degli artt. 597 cod. proc. pen. 234 bis cod. pen. 191 cod. proc. pen. Non sarebbe configurabile la fattispecie di cui all’art. 234 bis cod. proc. pen. perché i dati informatici in questione e acquisti dalla A G. italiana non sarebbero stati acquisiti direttamente presso un privato avente sede in altro Stato, senza attivazione di alcuna rogatoria, bensì sarebbero stati acquisiti mediante ordine europeo di indagine per la cui emissione è imposto dall’art. 6 della Direttiva 2014/41/UE, che l’atto di indagine richiesto debba essere emesso alle stesse condizioni di un caso interno analogo. Inoltre si deduce comunque la violazione dell’art. 234 bis cod. pen. perché il giudice, con riguardo a dati informatic presenti sui server della RAGIONE_SOCIALE e relativi a conversazioni intercorse mediante lo strumento di Sky – Ecc integranti documenti informatici, non avrebbe verificato la modalità di acquisizione dei predetti dati conservati all’estero e particolare non avrebbe accertato la manifestazione del “consenso del legittimo titolare” degli stessi come previsto dal predetto articolo. Manifestazione insussistente posto che non sarebbe riconducibile al Pubblico Ministero francese la figura del legittimo titolare dei dati di cui alla citata norma con conseguent inutilizzabilità del dato probatorio.
Con il secondo motivo deduce la violazione di norme processuali in relazione all’art. 191 cod. proc. pen. e in relazione agli artt. 27 Cost . e 6 CEDU. Con inutilizzabilità dei dati acquisiti mediante Sky- ECC. Con motivo aggiunto si era rappresentato al tribunale che la qualificazione delle chat come prova documentale rimetteva alle parti solo la parte terminale del processo di acquisizione della prova, in assenza di elementi per poter verificare la fase di formazione dei dati acquisiti. Pertanto per la legittima utilizzazione di una prova straniera quale quella in esame, sarebbe ‘ stato necessaria la messa a disposizione dell’intero compendio investigativo, in particolare dei files delle chat criptate . La decisione di superfluità di tali conoscenze formulata dal tribunale sarebbe illegittima, impedendo di fatto la valutazione delle modalità di acquisizione del dato.
Con il terzo motivo il ricorrente propone ai sensi dell’art. 267 TFUE una questione pregiudiziale da sollevare innanzi alla Corte di Giustizia Europea In particolare dopo avere evidenziato; tra l’altro, che l’autorità di emissione dell’OEI deve garantire il rispetto dei diritti della persona indagata o imputata ( art.
par. 1 e 2 TUE) e certificare che l’OEI è proporzionato e necessario e si tenuto conto dei diritti della persona, si distingue, tra la avvenuta acquisizione di da elettronici non di contenuto ( inerenti il traffico e l’ubicazione de comunicazione ) e i dati relativi al contenuto della stessa e si richiama la disciplina europea dei dati elettronici e in particolare la direttiva 2002/58/CE relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche, con specifico riguardo all’art. 15 paragrafo 1 della stessa, quanto ai limiti normativi sull’accesso a ta dati elettronici.
E si rappresenta la necessità di verificare se l’attività di acquisizione di dat del Pubblico Ministero italiano, basatasi sulla disciplina interna, sia conforme in punto di tutela dei diritti fondamentali e di proporzionalità all’art. 6 par 1 de direttiva 2014/41/UE anche in combinato disposto con l’art. 15 della direttiva 2002 /58/UE. Dovendosi chiedere in tal modo alla Corte di Giustizia se l’art. 6 paragrafo 1 della Direttiva 2014/41/UE letto a tutela dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, non osti ad una normativa nazionale che consenta la acquisizione di dati elettronici relativi al traffico e alla ubicazione già in posses della autorità di esecuzione e la acquisizione di dati elettronici relativi al traffi alla ubicazione contenuti in banche dati della polizia o di autorità giudiziari idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sulla ubicazione di apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di tratte conclusioni sulla sua vit privata per finalità di prevenzione ricerca accertamento e perseguimento di reati senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e tanto indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati viene richiesto Analoghe osservazioni sono formulate con riguardo alla acquisizione di dati relativi al contenuto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si rappresenta poi un ulteriore punto critico: quale la legittimazione del Pubblico Ministero a richiedere l’accesso ai dati relativi al traffico e ai dati rela alla ubicazione ai fini di una istruttoria penale senza una previa autorizzazione del giudice.
COGNOME Con il quarto motivo deduce il vizio di violazione di legge processuale e di motivazione circa la partecipazione al sodalizio ex art. 74 del DPR 309/90 della ricorrente in quanto il tribunale si sarebbe discostato dal rispetto del principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio a fronte intercettazioni non accompagnate da sequestro e perché non avrebbe considerato il carattere equivoco delle conversazioni captate da cui al più emergerebbe una mera connivenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si deve premettere che la presente decisione interviene su alcuni temi corrispondenti a quesiti sottoposti da questa terza sezione penale all’esame delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte di Cassazione, la quale si è espressa, in particolare, con la sentenza n. 23755 del 2024 del 29 febbraio 2024, depositata il 14.6.2024.
2. Si sollevavano i seguenti quesiti:
“se l’acquisizione di messaggi su chat di gruppo scambiati con sistema cifrato attraverso un ordine europeo di indagine rivolto ad un’autorità giudiziaria straniera che ne abbia eseguito la decrittazione costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell’art. 234-bis cod. proc. pen. o d documenti ex art. 234 cod. proc. pen. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all’acquisizione di prove;
se l’acquisizione di cui sopra debba essere oggetto, ai fini della utilizzabilità dei relativi dati, di preventiva o successiva verifica giurisdizio della sua legittimità da parte della autorità giurisdizionale nazionale”.
La risposta delle Sezioni Unite, di seguito più ampiamente illustrata con precipuo riferimento ai motivi qui sollevati, è stata la seguente:
“La trasmissione, richiesta con ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nel disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen.”.
“In materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle”.
“L’emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria a norma dell’art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione, nella disciplina nazionale
relativa alla circolazione delle prove, non è richiesta per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento”.
“La disciplina di cui all’art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003, relativ all’acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l’ubicazione dei dispositivi utilizzati, si applica alle richieste rivolte ai fornit servizio, ma non anche a quelle dirette ad altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicché, in questo caso, il pubblico ministero può legittimamente accedere agli stessi senza chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende utilizzarli”.
“L’utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sul parte interessata”.
“L’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura,.ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente”.
4. Le medesime Sezioni Unite, con altra coeva decisione n. 23756/24 si sono espresse su altri quesiti aventi riguardo, anche essi, alla vicina tematica dei rapporti tra ordine europeo di indagine ed acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera. In particolare si son espresse sui due seguenti quesiti:
“Se l’acquisizione mediante ordine europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera su una piattaforma informatica criptata integri l’ipotesi disciplinata nell’ordinamento interno dall’a 270 cod. proc. pen.;
“se l’acquisizione mediante ordine europeo di indagine dei risultati di intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera attraverso l’inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata sia soggetta nell’ordinamento interno ad un controllo giurisdizionale, preventivo o successivo in ordine all’utilizzabilità dei dati raccolti”.
La risposta delle Sezioni Unite, con riferimento ai quesiti immediatamente sopra riportati è stata la seguente:
“In materia di ordine europeo di indagine, l’acquisizione dei risultati dì intercettazioni disposte da un’autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234-b cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorit giudiziarie, ma è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 270 cod. proc.. pen.”.
“In materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle”.
“L’emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere i risultati di intercettazioni disposte da un ‘autori giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate attraverso l’inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata, è ammissibile, perché attiene ad esiti investigativi ottenuti con modalità compatibili con l’ordinamento italiano, e non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria ex art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione non è richiesta nella disciplina nazionale”.
“L’utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da un’autor giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, deve essere esclusa se il giudice del procedimento nel quale dette risultanze istruttorie vengono acquisite rileva che, in relazione ad esse, si sia verificata la violazione di diritti fondamentali, fermo restando che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata”.
“L’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente”.
Tanto premesso, con riguardo al primo motivo sollevato, inerente la insussistenza della fattispecie di cui all’art. 234 bis cod. proc. pen. va precisato che esso non coinvolge una richiesta di procedere ad intercettazioni, ma una
richiesta, proposta mediante o.i.e., di acquisizione degli esiti documentali di attività d’indagine che l’autorità straniera aveva già svolto, nella sua piena autonomia, nel rispetto della sua legislazione, con riguardo a documenti informatici già esistenti, in relazione ad altri reati, cui faceva seguito, da pa della Autorità Giudiziaria Francese, la trasmissione dei dati già estratti dall Polizia giudiziaria corrispondente.
Si tratta di un motivo infondato alla luce delle considerazioni svolte con la citata sentenza delle Sezioni Unite n. 23755/24 e sopra anticipate.
Con questa decisione infatti, le Sezioni Unite hanno innanzitutto precisato che, con riferimento all’acquisizione, effettuata mediante o.e.i., di messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria straniera, non è applicabile la disciplina di cui all’art. bis cod. pen., perché la stessa è alternativa e incompatibile rispetto a quella dettata in tema di o.e.i.
L’art. 234-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2, comma 1-bis, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, prevede testualmente: «È sempre consentita l’acquisizione di documenti e dati informatici conservati all’estero, anche diversi da quelli disponibili pubblico, previo consenso, in quest’ultimo caso, del legittimo titolare».
Mentre la disposizione suindicata disciplina non un mezzo di prova, bensì una modalità di acquisizione di particolari tipologie di elementi di prova presenti all’estero, attuata in via “diretta” dall’autorità giudiziaria italiana, prescinde da qualunque forma di collaborazione con le autorità dello Stato in cui tali dati sono custoditi, il sistema dell’o.e.i. regola anch’esso una modalità di acquisizione degli elementi di prova “transfrontalieri”, che, però, si realizza nell’ambito rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di Stati diversi, tutti memb dell’Unione Europea.
Occorre inoltre evidenziare che la Direttiva 2014/41/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa all’Ordine europeo di indagine, assegna alla disciplina da essa dettata una funzione di preminenza, in materia di acquisizione delle prove nell’ambito di rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di più Stati dell’Unione Europea. Ed il principio di completezza della disciplina dell’O.E.I. non è in alcun modo derogato nell’ordinamento italiano.
Individuate, nella Direttiva 2014/41/UE e nel d.lgs. n. 108 del 2017, le coordinate della disciplina in tema di acquisizione di elementi istruttori effettuata dall’autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i., le Sezioni Unite hanno anche evidenziato le regole generali di tale sistema normativo.
Un profilo preliminare attiene alle condizioni di ammissibilità dell’o.e.i. solo se l’o.e.i. è stato legittimamente emesso, gli elementi acquisiti per il su tramite potranno essere validamente utilizzati nel procedimento o nel processo
pendente in Italia. In proposito, mentre le disposizioni dell’ordinamento nazionale di carattere generale sono estremamente laconiche, è stato comunque osservato che la precisazione di carattere generale contenuta nell’art. 1 d.lgs. cit. induce a ritenere applicabili anche agli o.e.i. emessi dall’autorità giudiziar italiana le condizioni di ammissibilità previste dall’art. 6, paragrafo 1, Dirett 2014/41/UE.
che prevede che l’autorità richiedente «può emettere un o.e.i. solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’emissione dell’o.e.i. è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all’art. tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata; e b) l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’ o.e.i. avrebbero potuto essere emessi a stesse condizioni in un caso interno analogo».
Il giudizio sulla sussistenza della prima condizione (necessità e proporzionalità) deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l’ordine europeo di indagine. Il giudizio sulla sussistenza della seconda condizione (ammissibilità dell’atto richiesto alle stesse condizioni in un caso interno analogo) presuppone l’individuazione del “tipo” di atto oggetto di o.e.i..
Va aggiunto che le ragioni di merito dell’emissione di un o.e.i., secondo quanto precisa l’art. 14, paragrafo 2, Direttiva cit., possono essere oggetto di controllo successivo, e precisamente «impugnate», solo «mediante un’azione introdotta nello Stato di emissione», salvo la necessità di assicurare tutela ai diritti fondamentali nello Stato di esecuzione; e, però, «n’impugnazione non sospende l’esecuzione dell’atto di indagine, a meno che ciò non abbia tale effetto in casi interni analoghi» (art. 14, paragrafo 6, Direttiva cit.).
Quanto alla fase di esecuzione di un o.e.i. emesso dall’autorità giudiziaria italiana, essa non riceve puntuale regolamentazione nel d.lgs. n. 108 del 2017.
Piuttosto, il d.lgs. cit., da un lato, sottolinea, in termini generali, all’a l’esigenza del «rispetto dei principi dell’ordinamento costituzionale e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo». Per altro verso, detta all’art. 35, disposizioni sulla utilizzabilità degli atti compiuti e delle prove ass all’estero con riguardo all’inserimento nel fascicolo del dibattimento di taluni atti
La disciplina posta dalla Direttiva 2014/41/UE, dal canto suo, non contiene regole relative alla fase di esecuzione degli o.e.i. che incidano specificamente sulla utilizzabilità degli atti acquisiti nel procedimento davanti all’autorità di emissione. In proposito, le Sezioni Unite hanno opportunamente sottolineato come, in linea generale, l’art. 14 della Direttiva cit. fornisce preci indicazioni per ritenere che le questioni concernenti la fase di esecuzione, e quindi anche quelle concernenti la scelta di riconoscere ed eseguire l’o.e.i., siano
proponibili esclusivamente nello Stato di esecuzione. E neppure appare seriamente ipotizzabile che identiche questioni possano essere proposte sia nello Stato di esecuzione, sia nello Stato di emissione. Emblematica, in proposito, è la regola che esclude la proponibilità di questioni relative alle ragioni di merit dell’emissione dell’o.e.i. nello Stato di esecuzione, stabilita dall’art. 14, paragra 2, Direttiva cit., «fatte salve le garanzie dei diritti fondamentali nello Stat esecuzione».
Nel contempo, la medesima Direttiva evidenzia la necessità di assicurare il rispetto dei «diritti fondamentali» da parte dell’autorità giudiziaria dello St di emissione anche con riguardo alle attività compiute nello Stato di esecuzione.
Infine, con una regola di principio e di “chiusura” del sistema, l’art. 1, paragrafo 4, Direttiva cit. statuisce: «La presente direttiva non ha l’effetto modificare l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici sa dall’articolo 6 T.U.E., compresi i diritti di difesa delle persone sottoposte procedimento penale, e lascia impregiudicati gli obblighi spettanti a tale riguardo alle autorità giudiziarie».
Si è altresì osservato, dopo questa illustrazione sopra sintetizzata, che in forza del coordinamento normativo tra il d.lgs. n. 108 del 2017 e la Direttiva 2014/41/UE, “sembra ragionevole affermare che, ai fini dell’utilizzabilità di atti acquisiti mediante o.e.i. dall’autorità giudiziaria italiana, è necessario garantire rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diri fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti”.
Ai fini dell’accertamento del rispetto dei diritti fondamentali, assumono rilievo i principi della presunzione relativa di conformità ai diritti fondamenta dell’attività svolta dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito di rapport collaborazione ai fini dell’acquisizione di prove, e dell’onere per la difesa d allegare e provare il fatto dal quale dipende la violazione denunciata (cfr., ex plurimis: Sez. 6, n. 44882 del 04/10/2023, COGNOME, Rv. 285386 – 01; Sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282886 – 01; Sez. 4, n. 19216 del 06/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279246 – 01).
Nel sistema della Direttiva 2014/41/UE, poi, è espressamente riconosciuto il principio della «presunzione relativa che gli altri Stati membri rispettino diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali» (Corte giusti 11/11/2021, Gavanozov, C-852/19, § 54; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C-584/19, § 40).
Tuttavia, tale presunzione è relativa. Di conseguenza, se sussistono seri motivi per ritenere che l’esecuzione di un atto di indagine richiesto in un o.e.i.
comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l’esecuzione dell’o.e.i. dovrebbe essere rifiutata.
Anche il principio secondo cui grava sulla difesa l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende una causa di nullità o inutilizzabilità da essa eccepita è ripetutamente e generalmente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità come pure evidenziato nella sentenza sin qui citata, cosicchè è stato alfine espressamente e specificamente sottolineato, con riguardo alla materia in questione, che l’onere di allegare e provare i fatti da cui inferire la violazione diritti fondamentali grava sulla difesa, quando è questa a dedurre l’inutilizzabilità o l’invalidità di atti istruttori acquisiti dall’autorità giudiziaria italiana m o.e.i.
Il Supremo consesso ha altresì osservato come oltre a doversi tenere conto delle suindicate regole generali in tema di acquisizione ed utilizzabilità di elementi di prova acquisiti dall’autorità giudiziaria italiana mediante o.e.i., necessario anche individuare il “tipo” di atto oggetto di richiesta e trasmissione nella singola vicenda, atteso che “è in ragione del “tipo” di atto specificamente richiesto e trasmesso che è possibile valutare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’o.e.i., e, in particolare, quella della possibilità di dispo l’assunzione «alle stesse condizioni in un caso interno analogo»”. Si è anche opportunamente evidenziato che “il “tipo” di atto richiesto costituisce un riferimento essenziale per valutare se si sia verificata una violazione dei diritt fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di u giusto processo”.
7. Nel proseguire la propria analisi, anche alla luce della vicenda esaminata, Le Sezioni unite hanno altresì osservato come la stessa avesse riguardo all’acquisizione, da parte dell’autorità giudiziaria italiana, di messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria francese, quale elemento incontroverso, aggiungendo che quanto chiesto dall’autorità giudiziaria italiana, e consegnato dall’autorità giudiziaria francese, attiene a «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione» (per questa definizione cfr. art. 1, paragrafo 1, secondo periodo, Direttiva 2014/41/UE, nonché, in termini analoghi, art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 108 del 2017).
Tanto precisato, si è osservato, con la più volte citata sentenza, che l’individuazione dell’oggetto dell’o.e.i. in «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione» ha importanti conseguenze ai fini della disciplina applicabile in quanto nel sistema dell’o.e.i., l’acquisizione di «prove gi
in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione» è oggetto di alcune specifiche disposizioni, di deroga alla disciplina generale, e funzionali a renderne più agevole la “circolazione”.
In tal senso rileva l’art. 10 Direttiva 2014/41/UE, che stabilisce che, nel caso di «informazioni o prove che sono già in possesso dell’autorità di esecuzione quando, in base al diritto dello Stato di esecuzione, tali informazioni o prove avrebbero potuto essere acquisite nel quadro di un procedimento penale o ai fini dell’o.e.i.», è esclusa la possibilità, per l’autorità di esecuzione, di disporre « atto di indagine alternativo» a quello richiesto, mentre dal combinato disposto degli artt. 12, paragrafo 4, e 13, paragrafo 1, Direttiva cit., poi, si evince ch quando le prove richieste mediante o.e.i. siano già in possesso dello Stato di esecuzione, la loro trasmissione allo Stato di emissione dovrebbe avvenire con immediatezza, perché non vi è alcun atto di indagine da compiere.
Di converso, nella prospettiva interna, emerge che nell’ordinamento giuridico italiano la “circolazione” di prove già formate ha una disciplina specifica e diversa da quella riservata alla “formazione” di prove di identica tipologia.
Nel sistema processuale italiano, infatti, il pubblico ministero e, più in generale, la parte che vi ha interesse possono chiedere ed ottenere la disponibilità di prove già formate in un procedimento penale al fine di produrle in un altro procedimento penale, senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva da parte del giudice competente per quest’ultimo. Ciò anche nel caso di prove, come le intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, per la cui formazione è indispensabile la preventiva autorizzazione del giudice competente.
Pur restando impregiudicato il potere del giudice competente per il procedimento penale nel quale le parti intendono avvalersi delle prove già separatamente formate o acquisite in altra sede, di valutare se vi siano i presupposti per ammetterle ed utilizzarle ai fini della decisione.
Questo assetto normativo si ricava, secondo quanto evidenziato dalle Sezioni Unite, dal sistema costituito dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen.
L’art. 238 cod. proc. pen. detta le regole generali in tema di circolazione dei verbali di prove di altri procedimenti. La disciplina in esso contenuta, che si riferisce espressamente anche agli atti non ripetibili, non prevede, ai fini dell’acquisizione delle prove formate altrove, alcun intervento preventivo da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbero utilizzarle. La norma si preoccupa unicamente di fissare condizioni per l’utilizzazione di prove provenienti da altri procedimenti; e, tra queste condizioni, si ribadisce, non è ricompresa la previa autorizzazione.
L’art. 270 cod. proc. pen., a sua volta, indica i requisiti per l’utilizzazio dei risultati delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni in
procedimenti diversi da quelli nei quali le stesse sono state disposte. Anche questa disciplina, speciale rispetto a quella di cui all’art. 238 cod. proc. pen perché riferita ad uno specifico mezzo di ricerca della prova, non prevede alcun intervento autorizzativo preventivo del giudice del procedimento di “destinazione”, che abbia la funzione di autorizzare le parti interessate a procedere all’acquisizione di copia dei relativi atti. L’art. 78 disp. att. cod. pr pen., rubricato «Acquisizione di atti di un procedimento penale straniero», ancora, dispone, in linea generale, al comma 1, che «a documentazione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera può essere acquisita a norma dell’art. 238 del codice», e si limita ad aggiungere, al comma 2, che, per gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera, l’acquisizione fascicolo per il dibattimento è subordinata al previo esame in contraddittorio dell’autore degli stessi, o al consenso delle parti.
Da tutto ciò consegue la conclusione, del Supremo Collegio, per cui in via generale “gli atti oggetto dell’o.e.i. costituenti «prove già in possesso dell autorità competenti dello Stato di esecuzione» possono essere legittimamente richiesti e acquisiti dal pubblico ministero italiano senza la necessità d preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarli”.
Ed infatti, unico presupposto di ammissibilità dell’ordine europeo di indagine, sotto il profilo del soggetto legittimato a presentarlo, è che «l’atto o atti di indagine richiesti nell’o.e.i. avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo».
Ora, come si è rilevato in precedenza, nell’ordinamento processuale penale italiano, le prove già disponibili in altri procedimenti possono essere richieste ed acquisite dalle parti interessate, e quindi anche dal pubblico ministero, al fine di utilizzarle in un altro e distinto procedimento, senz necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice competente per quest’ultimo.
Di conseguenza, quando l’o.e.i. avanzato dal pubblico ministero italiano riguarda «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», le Sezioni unite hanno sottolineato che “non vi sono ragioni per ritenere che il medesimo debba munirsi di preventiva autorizzazione del giudice del procedimento nel quale si vorrebbe utilizzarle, siccome condizione non prevista nel nostro ordinamento, né altrimenti desumibile dal sistema dell’o.e.i”.
Il tutto, viene ribadito, pur persistendo il principio per cui il giudic quale si chiede di utilizzare le «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», ed ottenute dal pubblico ministero mediante o.e.i., conserva integro il potere di valutare se vi siano i presupposti per ammetterle ed utilizzarle ai fini delle decisioni di sua spettanza.
Potere che sarà esercitato quando il pubblico ministero presenta al giudice italiano le «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», e ricevute tramite o.e.i., atteso che in quel momento “il giudice può controllare se vi fossero le condizioni per emettere l’o.e.i., così da assicurare i pertinente diritto di “impugnazione” nello Stato di emissione previsto dall’art. 14, paragrafo 2, Direttiva 2014/41/UE, nonché se vi sia stata violazione dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dalla Carta di Nizza, e, quindi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, in linea con quanto stabilito dall’art. 14, paragrafo 7, Direttiva cit., fermo restando che l’one dell’allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione di tali diritti grava sulla parte interessata”.
E’ stato altresì aggiunto che ai fini della verifica sia dell’esistenza del condizioni di ammissibilità dell’o.e.i., in particolare di quelle di cui all’a paragrafo 1, Direttiva 2014/41/UE, sia di eventuali violazioni dei diritt fondamentali, “occorre prendere in esame il preciso “tipo” di atto trasmesso, attesa la specificità della disciplina riservata dalla normativa nazionale e sovranazionale ad alcuni di essi”.
In tale prospettiva, lo si anticipa, assume rilievo il dato per cui n presente procedimento emergono due qualificazioni prospettate: secondo l’ordinanza impugnata, gli atti acquisiti costituiscono «documenti informatici»; secondo il ricorrente, si tratterebbe altresì di dati concernenti il traff l’ubicazione, e il contenuto di comunicazioni elettroniche. Entrambe le prospettazioni escludono che gli atti in questione costituiscano risultati di intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni.
Orbene, sul primo punto le Sezioni Unite hanno osservato che “la qualificazione degli atti in questione come documenti implica che il parametro generale di riferimento nel sistema processuale nazionale per verificare l’esistenza delle condizioni di ammissibilità dell’o.e.i. e l’eventuale violazione diritti fondamentali sia costituito dall’art. 234 cod. proc. pen., il quale consen l’acquisizione di scritti o di “entità” rappresentative di fatti, persone o c mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo, salvo che non contengano informazioni sulle voci correnti nel pubblico”.
Questa qualificazione non è ostacolata dalla sola circostanza che le “entità” rappresentative siano comunicazioni elettroniche, data la latitudine della nozione di “prova documentale” accolta dall’art. 234 cod. proc. pen. come indicato dall’orientamento ampiamente consolidato della giurisprudenza di legittimità sia con riguardo ai messaggi di posta elettronica, già trasmessi ed allocati nella memoria del dispositivo del destinatario o del mittente o nel server del gestore del servizio (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 12975 del 06/02/2020 COGNOME Rv. 278808 – 02, e Sez. 3, n. 29426 del 16/04/2019, Moliterno, Rv.
276358 – 01), sia in ordine ai messaggi inviati mediante applicativo WhatsApp o s.m.s., già trasmessi e conservati nella memoria di un’utenza cellulare (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 22417 del 16/03/2022, COGNOME, Rv. 283319 – 01, e Sez. 5, n. 1822 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272319 – 01).
Si è inoltre aggiunto, nella sentenza citata, che la disciplina generale di cui all’art. 234 cod. proc. pen., non sempre è esaustiva, in quanto, per alcune tipologie di documenti sono previste regole specifiche.
In particolare, quando la prova documentale ha ad oggetto comunicazioni scambiate in modo riservato tra un numero determinato di persone, indipendentemente dal mezzo tecnico impiegato a tal fine, occorre assicurare la tutela prevista dall’art. 15 Cost. in materia di «corrispondenza».
Come infatti precisato dalla giurisprudenza costituzionale, «quello di “corrispondenza” è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza», il quale «prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato», e si estende, perciò, anche alla posta elettronica ed ai messaggi inviati tramite l’applicativo WhatsApp, o s.m.s. o sistemi simili, «del tutto assimilabili a lettere biglietti chiusi» perché accessibili solo mediante l’uso di codici di accesso o altr meccanismi di identificazione (così Corte cost., sent. n. 170 del 2023; nello stesso senso, Corte cost., sent. n. 227 del 2023 e Corte cost., sent. n. 2 del 2023).
Di conseguenza, indipendentemente dalla modalità utilizzata, trova applicazione «la tutela accordata dall’art. 15 Cost. – che assicura a tutti consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge – » (cfr., anc testualmente, Corte cost., sent. n. 170 del 2023).
La tutela prevista dall’art. 15 Cost., tuttavia – si è osservato in sentenza non richiede, per la limitazione della libertà e della segretezza della corrispondenza, e, quindi, per l’acquisizione di essa ad un procedimento penale, la necessità di un provvedimento del giudice.
Invero, l’art. 15 Cost. impiega il sintagma «autorità giudiziaria», il quale indica una categoria nella quale sono inclusi sia il giudice, sia il pubblic ministero (per l’inclusione del pubblico ministero nella nozione di “autorità giudiziaria” anche nel diritto euro-unitario, cfr., proprio con riferimento al Direttiva 2014/41/UE, Corte giustizia, 08/12/2020, Staatsanwaltschaft Wien, C584/19).
E questa conclusione trova conferma nella disciplina del codice di rito in relazione agli artt. 254 cod. proc. pen. e 353 cod. proc. pen.
In tale quadro, le Sezioni unite hanno aggiunto che la qualificazione degli atti consegnati dall’autorità giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. come documenti assume specifiche conseguenze con riguardo ai presupposti di ammissibilità della loro acquisizione e alla garanzia del rispetto dei «dirit fondamentali».
In particolare, con riguardo al presupposto di ammissibilità di cui all’art. 6, paragrafo 1, lett. b), Direttiva 2014/41/UE, relativo alla c.d. valutazione astratto, è sufficiente considerare che anche l’acquisizione “originaria” della prova documentale, nel sistema processuale italiano, pur quando abbia ad oggetto “corrispondenza”, può essere disposta dal pubblico ministero, con atto motivato, senza alcuna autorizzazione del giudice, salvo il caso di sequestro effettuato nell’ufficio di un difensore. Di conseguenza, se l’ordine europeo di indagine presentato dal pubblico ministero ha ad oggetto l’acquisizione di documenti e “corrispondenza” non costituenti «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», il rispetto della condizione che esige il potere dell’autorità di emissione di disporre «l’atto o gli atti di indag richiesti nell’o.e.i. alle stesse condizioni in un caso interno analogo assicurato anche in assenza di una autorizzazione del giudice, salvo il caso di sequestro effettuato nell’ufficio di un difensore. “A maggior ragione, quindi, l’acquisizione di documenti, pur se relativi a “corrispondenza”, quando attiene a «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», può essere chiesta mediante o.e.i. presentato dal pubblico ministero, senza necessità di autorizzazione del giudice”.
Per quanto riguarda il rispetto dei «diritti fondamentali», poi, l qualificazione degli atti consegnati dall’autorità giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. come documenti, specie se costituiscono “corrispondenza”, comporta l’esigenza, si è osservato, di specifica attenzione a profili “contenutistici” deg stessi. Ad esempio, un principio generale, in materia di tutela di diritto di difesa positivizzato.nel sistema italiano dall’art. 103 cod. proc. pen., è quello del diviet di sequestro e di ogni forma di controllo della «corrispondenza» tra l’imputato ed il suo difensore, salvo il fondato motivo che si tratti di corpo del reato. Rest fermo, ovviamente, che l’onere dell’allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla parte interessata, per le ragioni indicate in precedenza nel § 7.6.
Tornando al motivo in esame, secondo il ricorrente gli atti acquisiti mediante o.e.i. dall’autorità giudiziaria francese, pur non costituendo risultati d intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, atterrebbero a dati concernenti il traffico, l’ubicazione, e il contenuto di comunicazioni elettroniche, e, quind debbono essere sottoposti alla relativa disciplina, la quale richiede, come
presupposti necessari per la loro acquisizione, sia la necessità degli stessi ai fini dello svolgimento di indagini per un reato «grave», sia la preventiva autorizzazione del giudice. ·
Va premesso che in forza della disciplina italiana, i dati relativi al traffi telefonico o telematico possono essere acquisiti presso il fornitore, solo se: a) sussistano sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la p dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, o di altri reati specificamente indicati; b) detti dati siano «rilevanti per l’accertamento de fatti»; c) vi sia stata precedente autorizzazione rilasciata dal giudice con decreto motivato, ovvero il provvedimento del pubblico ministero adottato in caso di qualificata urgenza, sia stato convalidato con decreto motivato del giudice entro il termine massimo di novantasei ore (art. 132 d.lgs. 30 giugno 2003, nel testo vigente a seguito, in particolare, delle modifiche recate dall’art. 1, comma 1, d.l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178).
Questa disciplina è stata adottata per adeguare l’ordinamento italiano alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea. La Corte di giustizia, infatti, con pronuncia della Grande Sezione, ha affermato che l’art. 15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragra 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, osta ad una normativa nazionale che: a) consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informa sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica; b) renda il pubblico ministero competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione di un’istruttoria penale (Corte giustizia, Grande Sezione, 02/03/2021, H.K./RAGIONE_SOCIALE, C-706/18).
La disciplina di cui all’art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003 non può reputarsi derogata da quella di cui all’art. 45 d.lgs. n. 108 del 2017, la quale prevede che l’o.e.i. «al fine di ottenere i dati esterni relativi al traffico telefonico o tele nonché l’acquisizione di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni» possa essere presentato sia dal giudice, sia dal pubblico ministero.
In proposito le Sezioni Unite hanno rappresentato che ritenere che il pubblico ministero abbia l’obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione del
giudice del procedimento nel quale intende utilizzare dati relativi al traffic telefonico o telematico, quando occorre richiederli ad un gestore operante in Italia, e non anche quando sia necessario richiederli ad un gestore estero, sarebbe in contrasto con la prescrizione dell’art. 6, paragrafo 1, lett. b), Diretti 2014/41/UE, la quale esige che l’autorità di emissione abbia il potere di disporre «l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’o.e.i. alle stesse condizio caso interno analogo». E in questo senso si è già espressa anche la giurisprudenza euro-unitaria, la quale ha pure precisato che «il riconoscimento da parte dell’autorità di esecuzione di un ordine europeo di indagine, emesso per l’acquisizione dei dati relativi al traffico e all’ubicazione connessi a telecomunicazioni, non può sostituire i requisiti previsti nello stato di emissione nel caso in cui tale ordine sia stato emesso indebitamente dal pubblico ministero, quando, nell’ambito di una procedura nazionale analoga, l’adozione di un atto di indagine per l’acquisizione di dati siffatti rientra nella competenza esclusiva del giudice» (Corte giustizia, 16/12/2021, HP, C-724/19).
Le medesime Sezioni Unite hanno tuttavia aggiunto che la disciplina che richiede la preventiva autorizzazione del giudice, però, si riferisce all acquisizione dei dati presso il gestore dei servizi telefonici e telematici, ma non anche all’utilizzazione dei dati in un procedimento penale diverso da quello in cui sono stati già acquisiti. Ciò in quanto l’art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003, f riferimento ai dati relativi al traffico telefonico e al traffico telematico «conser dal fornitore» (così testualmente il comma 1).
Né questa lettura dell’art. 132 cit. sarebbe in contrasto, secondo il Supremo collegio, con il diritto euro-unitario. La Corte di giustizia, infatti, com già ricordato sopra, ha dichiarato che l’art. 15, paragrafo 1, della Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, della Carta de diritti fondamentali, osta ad una normativa nazionale che renda il pubblico ministero competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini di un’istruttoria (Corte giustizia, Grande Sezione, 02/03/2021, H.K./Prokuratuur, C-706/18). Quando, però, i dati in questione sono già stati acquisiti in un procedimento penale, non si pone più la questione dell’autorizzazione all’accesso di un’autorità pubblica, siccome gli stessi sono già a disposizione di un’autorità pubblica.
Si è quindi concluso, in proposito, con la sentenza citata, che, nel sistema processuale italiano, il pubblico ministero può acquisire da altra autorità giudiziaria dati relativi al traffico o all’ubicazione, concernenti comunicazion effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica, senza dover chiedere preventiva autorizzazione al giudice competente per il procedimento nel quale intende utilizzarli, in forza dei principi generali indicati in precedenza e
difetto di regole o principi di segno diverso nella specifica materia. E si aggiunto che può ritenersi che l’o.e.i. emesso dal pubblico ministero italiano avente ad oggetto l’acquisizione di dati relativi al traffico o all’ubicazion concernenti comunicazioni elettroniche, pur se manchi una preventiva autorizzazione del giudice competente per il procedimento nel quale si intende utilizzarli, soddisfa la condizione di ammissibilità di cui all’art. 6, paragraf lett. b), Direttiva 2014/41/UE.
“Siccome il pubblico ministero italiano può disporre l’acquisizione di dati relativi al traffico o all’ubicazione, concernenti comunicazioni elettroniche, gi disponibili in altro procedimento penale pendente in Italia, senza necessità di preventiva autorizzazione del giudice competente per il procedimento nel quale intende utilizzarli, deve ritenersi che un o.e.i. formulato dal pubblico minister italiano nel quale si chiede, senza preventiva autorizzazione del giudice nazionale, la trasmissione di dati della medesima tipologia, già acquisiti dall’autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, abbia ad oggetto atti che «avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo»”.
Le Sezioni Unite hanno anche affrontato rispetto alla tipologia di atti qui in questione il tema concernente la garanzia del rispetto dei «diritti fondamentali».
In particolare, si è osservato che può ritenersi, anche in ragione della specifica elaborazione della giurisprudenza della Corte di giustizia, che l’originaria acquisizione presso il gestore dei servizi telefonici e telematici dei dati relativi traffico o all’ubicazione, concernenti comunicazioni elettroniche, deve essere stata preventivamente autorizzata da un giudice o da un’autorità amministrativa indipendente non coinvolta nelle indagini e in posizione di terzietà rispetto all’esito del procedimento (Corte giustizia, Grande Sezione, 02/03/2021, H.K./Prokuratuur, C-706/18; cfr., nello stesso senso, Corte giustizia, Grande Sezione 05/04/2022, Commissioner of An Garda Síochéna, C-140/20, §§ 107, 108, 109 e 110, nonché Corte giustizia, 16/12/2021, HP, C-724/19, § 42).
Non risulta invece costituire violazione di «diritti fondamentali» l’acquisizione dei dati in questione da parte del pubblico ministero senza previa autorizzazione del giudice competente per il procedimento nel quale si intende utilizzarli, quando gli stessi siano già stati acquisiti in altro procedimento prev autorizzazione di un giudice. In questo caso l’accesso ai dati relativi al traffico all’ubicazione, concernenti comunicazioni elettroniche, da parte dell’autorità statuale istituzionalmente preposta a dirigere le indagini, si è osservato che è già avvenuto in forza del preventivo controllo di un giudice a tutela dei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone interessate. Si è anche aggiunto che in proposito, la Corte di giustizia, quando si è occupata dell’uso successivo a fini amministrativi di dati
relativi al traffico e all’ubicazione, concernenti comunicazioni elettroniche, gi acquisiti ai fini della lotta alla criminalità grave, non ha segnalato il difet preventiva autorizzazione del giudice come profilo di criticità, sebbene, nella vicenda da essa esaminata, la trasmissione dei dati fosse rimessa alle esclusive determinazioni del pubblico ministero (cfr., per queste indicazioni, Corte giustizia, 07/09/2023, A.G., C-162/22, §§ 11, 13 e 15).
Le Sezioni Unite hanno anche rappresentato che neppure l’accesso ad un’ampia mole di dati relativi al traffico e all’ubicazione, concernent comunicazioni elettroniche, integra, di per sé, violazione di «diritt fondamentali». In proposito, la giurisprudenza della Corte di giustizia non pone limiti quantitativi, ma, diversamente, richiede «criteri oggettivi per definire circostanze e le condizioni in presenza delle quali deve essere concesso alle autorità nazionali competenti l’accesso ai dati in questione», ed indica, come accessibili, «i dati di persone sospettate di progettare, di commettere o di aver commesso un illecito grave, o anche di essere implicate in una maniera o in un’altra in un illecito del genere» (così Corte giustizia, Grande Sezione, 02/03/2021, H.K./Prokuratuur, C-706/18, § 50, e Corte giustizia, Grande Sezione, 05/04/2022, Commissioner of An Garda Síoch.na, C-140/20, § 105).
Quanto poi alla impossibilità, per la difesa, di accedere all’algoritmo utilizzato nell’ambito di un sistema di comunicazioni per “criptare” il contenuto delle stesse, le Sezioni Unite hanno precisato che non determina, almeno in linea di principio, una violazione di «diritti fondamentali». Si è rilevato in proposito ch “se è vero che la disponibilità dell’algoritmo di criptazione è funzionale a controllo dell’affidabilità del contenuto delle comunicazioni acquisite al procedimento, deve però osservarsi, in linea con quanto evidenziato da numerose decisioni, che il pericolo di alterazione dei dati non sussiste, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (cfr., tra le tante: Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 6 n. 48838 dell’11/10/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, COGNOME, non mass. sul punto)”. E si è anche aggiunto che “la giurisprudenza sovranazionale non risulta aver affermato che l’indisponibilità dell’algoritmo di decriptazione agli atti del processo costituisce, per sé, violazione dei «diritti fondamentali». In proposito, anzi, la Corte EDU, pronunciandosi in relazione ad una vicenda in cui i dati acquisiti non erano stati messi a disposizione della difesa e la pronuncia di colpevolezza era stata fondata sul mero fatto dell’uso di un sistema di messaggistica criptata denominato ByLock, si è limitata ad affermare che dare al ricorrente l’opportunità di prendere
conoscenza del materiale decriptato nei suoi confronti poteva costituire un passo importante per preservare i suoi diritti di difesa senza avere, al contempo, affermato che tale mancata messa a disposizione integrasse un vulnus dei diritti fondamentali (Corte EDU, Grande Camera, 26/09/2023, NOME COGNOME c. Turchia, § 336; il testo originale è il seguente: «The Court is accordingly of the view that giving the applicant the opportunity to acquaint himself with the decrypted ByLock material in his regard would have constituted an important step in preserving his defence rights»)”.
In ogni caso, poi, resta fermo che l’onere dell’allegazione e della prova dei fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla parte interessata.
GLYPH Procedendo a questo punto alla ancor più specifica analisi del primo motivo, va osservato che esso è infondato. In sintesi, le censure indicate deducono la inconfigurabilità della fattispecie di cui all’art. 234 bis cod. proc pen. perché i dati informatici in questione e acquisti dalla A. G. italiana non sarebbero stati acquisiti direttamente presso un soggetto privato avente sede in altro Stato, bensì sarebbero stati acquisiti mediante ordine europeo di indagine per la cui emissione è imposto che l’atto di indagine richiesto debba essere emesso alle stesse condizioni di un caso interno analogo. Inoltre il giudice, non avrebbe verificato la modalità di acquisizione dei dati in questione conservati all’estero e in particolare non avrebbe accertato la manifestazione, insussistente, del “consenso del legittimo titolare” degli stessi come previsto dall’art. 234 bis cod. proc. pen.
Rispetto a tali censure va osservato che sussiste la inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 234-bis cod. proc. pen. in materia di acquisizione ed utilizzabilità dei dati relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il siste criptato Sky-Ecc, perché si tratta, per quanto sopra sintetizzato, di disciplina alternativa, e, quindi, incompatibile con quella relativa al sistema dell’o.e. Inoltre la condizione di ammissibilità, posta dall’art. 6, paragrafo 1, lett. Direttiva 2014/41/UE, la quale richiede che l’atto o gli atti richiesti «avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo», deve ritenersi soddisfatta: i dati ricevuti dall’autorità giudiziaria francese in esecuzio di o.e.i. emesso dal pubblico ministero italiano, per quanto è desumibile dal contenuto dell’ordinanza impugnata, non contestata sul punto dal ricorso, costituiscono «prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione», perché acquisite nell’ambito di un procedimento penale pendente in quello Stato e per quanto sinora considerato l’emissione, da parte del pubblico ministero, di o.e.i. diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera i
un procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, perché non richiesta nell’ordinamento italiano per l’acquisizione del contenuto di comunicazioni telefoniche già acquisite in altro procedimento, eventualmente anche se, a norma dell’art. 132 d.lgs. n. 196 del 2003, presso i gestori di servizi telefonici o telematici. Nella specie, come emerge dal provvedimento impugnato, i dati non sono stati richiesti a un detentore privato ma ad un’autorità giudiziaria, quella francese, che, nell’ambito di un diverso e autonomo procedimento, li aveva già acquisiti da un server ove i dati stessi erano stati immagazzinati. Rispetto a tale ricostruzione, è condivisibile peraltro l’ulteriore rilievo di legittimità per cui in tali casi più che parl consenso appare più opportuno verificare se, rispetto alla norma interna, chi ha trasmesso i dati ne potesse legittimamente disporne (Sez. 4 – n. 16347 del 05/04/2023 Rv. 284563 – 01). E la risposta è, dai dati disponibili, positiva, nei limiti del vaglio di coerenza con i principi fondamentali del nostro ordinamento, e della regola per cui l’ordine europeo di indagine deve aver ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformità di quanto previsto nello Stato di esecuzione per il compimento di un analogo atto di acquisizione probatoria, potendosi presumere il rispetto di tale disciplina e dei diritti fondamentali, salvo concreta verifica di segno contrario (sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, COGNOME Rv. 284027, in motivazione), poiché l’attività di acquisizione si è addirittura svolta sotto la direzione di un giudice (il Tribunale Parigi).
Può osservarsi, per completezza, che anche l’altra condizione di ammissibilità, relativa alla necessità e proporzione dell’o.e.i., è rispettata. Inve l’esame di tale profilo deve essere compiuto avendo riguardo al procedimento nel cui ambito è emesso l’ordine europeo di indagine. Nella specie, nessuna precisa questione risulta posta in relazione a questo aspetto nel motivo in esame.
Ciò precisato, nel caso concreto l’inapplicabilità dell’art. 234 bis citato a fronte della corretta configurabilità, alla luce della disciplina dell’o.e.i. e norme di riferimento interne, per il caso di specie, di cui agli artt. 238 e 270 cod proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen., di una acquisizione delle prove in discussione, mediante o.e.i., come pure di seguito ulteriormente precisato, non conduce ad altro che alla conclusione di una legittima acquisizione, Emerge certamente un errore di qualificazione in cui è incorsa l’ordinanza impugnata, che tuttavia non determina l’annullamento della stessa, sulla base di quanto previsto dall’art. 619, comma 1, cod. proc. pen: l’errore rilevato, precisamente, non ha avuto influenza decisiva sul dispositivo, in quanto, nella specie, sussistono le condizioni di ammissibilità necessarie per emettere legittimamente l’o.e.i. né risultano violazioni dei diritti fondamentali.
10. Quanto al secondo motivo, con esso si deduce la violazione di norme processuali in relazione all’art. 191 cod. proc. pen. e in relazione agli artt. 2 Cost . e 6 CEDU. Con inutilizzabilità dei dati acquisiti mediante Sky- ECC. Con motivo aggiunto si era rappresentato al tribunale che la qualificazione delle chat come prova documentale rimetteva alle parti solo la parte terminale del processo di acquisizione della prova, in assenza di elementi per poter verificare la fase di formazione (e quindi la relativa legittimità) dei dati acquisiti, passata attravers l’acquisizione prima e la decifratura poi del contenuto della messaggistica acquisita in forma criptata. Sarebbe stata necessaria, per assicurare il controllo di legittimità sul processo di formazione della prova, la messa a disposizione delle parti di tutto il compendio investigativo, e precisamente dei files delle chat criptate come richiesto dal ricorrente con pec al P.M. procedente, ma invano. La decisione di superfluità di tali conoscenze formulata dal tribunale – sul rilievo pe cui la decriptazione sarebbe certamente avvenuta correttamente in quanto diversamente, la mancata applicazione del corretto algoritmo avrebbe condotto a risultati privi di senso – sarebbe illegittima, impedendo di fatto la valutazion delle modalità di acquisizione del dato. E posto che la prova non può essere in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, e quindi con l’inviolabilità del diritto di difesa.
Si tratta di motivo assolutamente infondato, alla luce dei principi sanciti dalle Sezioni unite e sopra citati, nella misura in cui viene in rilievo il principi presunzione di legittimità della acquisizione effettuata dalla Autorità Giudiziaria straniera, della irrilevanza della disponibilità dell’algoritmo, nonché dell’onere della parte di rappresentare specificamente e in concreto casi di violazione di diritti fondamentali, che nel caso di specie non sono prospettati, anche nel quadro, altresì, di una deduzione, quale quella in esame, che appare alquanto generica.
Ed invero, in punto di diritti fondamentali, accennati nel ricorso come violati, non è allegato che i dati trasmessi dall’autorità giudiziaria francese sian stati acquisiti nel procedimento penale pendente davanti ad essa in difetto di un provvedimento autorizzativo di un giudice.
In secondo luogo, l’affermazione difensiva secondo cui vi sarebbe assenza di elementi per poter verificare la fase di formazione (e quindi la relativa legittimità) dei dati acquisiti, passata attraverso l’acquisizione prima e l decifratura poi del contenuto della messaggistica acquisita in forma criptata, appare, come già anticipato, da una parte, superata, alla luce di quanto sostenuto dalle Sezioni Unite in ordine alla ridotta rilevanza della disponibilità per le parti, dell’algoritmo di decriptazione, dall’altra, generica, in assenza specifiche deduzioni sulla violazione del diritto di difesa o altri diritti fondament e, in quanto tale, inidonea a soddisfare gli oneri di allegazione e di prova dei fatt
dai quali inferire che l’accesso ai dati in questione, da parte dell’autori giudiziaria francese, sia avvenuto in modo arbitrario, o in radicale difetto dei presupposti necessari.
11. Il terzo motivo riguarda la proposta di sollevare ai sensi dell’art. 267 TFUE una questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia Europea, come in precedenza riportata.
Si tratta di prospettazione che va respinta, atteso che per le ragioni precedentemente esposte, sancite dalle Sezioni Unite, deve escludersi la necessità di formulare alla Corte di giustizia dell’Unione Europea i quesiti prospettati.
Sia alla luce dei principi esposti in ordine alla legittimazione del P.M. ad acquisire prove a disposizione della autorità estera, integranti tanto documenti elettronici di contenuto quanto dati relativi alla ubicazione e traffico nei termi sopra specificati, che come tali non sono prospettati come non rispettati. Sia altresì in considerazione della genericità del motivo, atteso che nel quadro di astratte e generali considerazioni, trascura di tradurre le stesse in rilie pienamente riscontrabili nel caso in esame, sotto il profilo della violazione dei diritti della persona e del principio di personalità. Con conseguenze ulteriori anche sul piano della sussistenza dei presupposti per sollevare le rappresentate questioni pregiudiziali.
In tale quadro e ribadendosi il richiamo ai principi sanciti dalle Sezioni unite, è sufficiente illustrare quanto segue per rilevare, allo stato degli atti, piena legittimità della procedura di acquisizione di dati seguita.
Non esiste un potere di vaglio della legittimità del procedimento di acquisizione della documentazione di che trattasi in capo all’autorità decidente italiana.
Piuttosto, deve riconoscersi il principio generale di presunzione di legittimità delle prove acquisite dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro dell’Unione Europea: l’utilizzazione degli atti trasmessi, infatti, non condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano concernente la regolarità delle modalità di acquisizione esperite dall’autorità straniera, in quanto vige la presunzione di legittimità dell’attività svolta e spetta al giudice stranie la verifica della correttezza della procedura e l’eventuale risoluzione di ogni questione relativa alle irregolarità lamentate nella fase delle indagini preliminar (in tal senso, sez. 3, n. 1396 del 12/10/2021, dep. 2022, COGNOME, in cui in motivazione si rinvia anche a sez. 5, n. 1405 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269015 – 01; a sez. 2, n. 24776 del 18/5/2010, COGNOME, Rv. 247750 – 01; e a sez. 1, n. 21673 del 22/1/2009, COGNOME, Rv. 243796 – 01; ma anche a sez. 5, n. 45002 del 13/7/2016, COGNOME, Rv. 268457 – 01, in cui si è ritenuta la utilizzabilità
della documentazione di atti compiuti autonomamente da autorità straniere in un diverso procedimento penale all’estero – anche al di fuori dei limiti stabiliti dag artt. 238 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen., con il solo limite che ta attività non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali, i quali, però – come in precedenza già riportato – , non si identificano necessariamente con il complesso delle regole dettate dal nostro codice di rito, spettando inoltre a chi eccepisca tale incompatibilità l’onere di dare la prova di tale incompatibilità). Circostanza quest’ultima pure assente atteso che, come già rilevato dal tribunale senza alcuna specifica contestazione sul punto, il ricorrente non è riuscito ad illustrare nel caso di specie quali diritti sarebbero stati violat fronte di comunicazioni che, come osservato dal giudice della cautela, afferiscono essenzialmente a vicende illecite di traffico di stupefacenti.
Invero il diritto straniero è un fatto e spetta a chi eccepisce il difetto compatibilità delle norme di quell’ordinamento con quelle interne dimostrarne il contenuto, e ciò tanto più laddove si tratti, come nel caso di specie, del diritto d un Paese membro dell’Unione Europea (sez. 4, n. 19216 del 6/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 274296, principio affermato in materia di intercettazioni, eppur valido valido nel caso di acquisizione di documenti, in esame).
Va aggiunto, nel quadro dei rapporti di reciproco affidamento tra stati già accennato, che il limite che l’attività richiesta non sia in contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali, appare difficilmente rinvenibile in attivit giudiziarie di uno stato membro dell’Unione Europea, tenuto a condividere i principi fondamentali dell’ordinamento europeo, come la Francia, nel cui ordinamento le garanzie della libertà individuale e della riservatezza delle comunicazioni rappresentano un baluardo costituzionale, il cui codice di procedura penale disciplina diverse tipologie di intércettazioni affidate al controllo dell’autorità giudiziaria (si vedano gli art. 100 e 706-102-21).
Appare priva di pregio anche ogni disquisizione sulla rilevanza di accertare che all’attività investigativa di cui si tratta nello stato estero abbia provveduto giudice e non un pubblico ministero, nel quadro della sopravvenuta disciplina dello Stato italiano in materia di acquisizione di tabulati introdotta con il d.l. settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178. Ciò perché non solo, come già rilevato, resta fermo, quanto invece Wutilizzabilità degli atti trasmessi a seguito di attività di cooperazione internazionale e, per quanto qui interessa, di o.i.e., che la stessa non è condizionata ad un accertamento da parte del giudice italiano inerente la regolarità delle modalità di acquisizione esperite dall’autorità straniera, ribadendosi il pieno vigore – in assenza di deduzioni specifiche – della presunzione della regolarità dell’attività svolta, spettando al giudice straniero la verifica della correttezza della procedura e la competenza a risolvere qualsiasi
questione in ordine ad eventuali irregolarità lamentate. Ma anche perché nel caso concreto risulta che l’acquisizione dei dati da una parte è funzionale a reati di peculiare gravità nel rispetto dei limiti di cui al sopra citato Decreto, dall’a è stata realizzata nello Stato estero sotto l’egida e il controllo di un giudice qual il tribunale francese.
Inoltre i documenti dell’o.e.i. in esame: a) sono stati acquisiti dall’autorit francese nell’ambito di indagini concernenti un traffico internazionale di stupefacenti e sono stati successivamente trasmessi all’autorità italiana in relazione ad un procedimento concernente un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico; b) sono stati richiesti ed ottenuti mediante o.e. dall’autorità giudiziaria italiana competente ad acquisirli «alle stesse condizioni in un caso interno analogo», in applicazione, va ribadito, della prima già citata disciplina sulla “circolazione” delle prove.
Dunque, nella vicenda in esame, neppure si pongono problemi né di legittimazione del P.M., né di acquisizione di dati elettronici relativi al traff all’ubicazione o al contenuto di comunicazioni già in possesso della autorità di esecuzione – alla luce dei criteri di legittimità sanciti con la sentenza de Supremo Collegio già citata -, tantomeno al di fuori di procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, né di mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 6 Direttiva 2014/41/UE.
Si esclude quindi che ricorrano ragionevoli dubbi in ordine alla interpretazione del diritto dell’Unione Europea concretamente applicabile nel caso in esame, e che, quindi, sussista l’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. (cfr., in questo senso, Corte giustizia, Grande Sezione, 06/10/2021, RAGIONE_SOCIALE, C-561/19, ma già Corte giustizia, 06/10/1982, RAGIONE_SOCIALE, C-283/81).
12. Il quarto motivo è inammissibile per la assoluta genericità della censura, siccome articolata in una poco specifica invocazione di vizi di motivazione, senza alcuna individuazione dei passaggi argomentativi ritenuti difettosi né delle ragioni giuridiche e di fatto a supporto di tale tesi. In contra con il noto principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425).
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13. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 15/07/2024