Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13316 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13316 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ATOINI NOME COGNOME CODICE_FISCALE nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2023 del GIUDICE DI PACE di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME CENICCOLA E. E
che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle attenuanti di cui all’art. 62bis cod. pen.
e l’inammissibilità del ricorso, nel resto;
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 luglio 2023 il Giudice di Pace di Trento ha ritenuto NOME responsabile del reato di cui all’art. 14, comma 5 ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 per essersi trattenuto nel territorio nazionale, senza giustificato motivo, in violazione dell’ordine di allontanamento del 23 settembre 2022 a seguito del decreto di espulsione emesso in pari data dal Questore di Trento.
A fondamento della decisione, ha segnalato la mancanza di qualsiasi giustificazione, da parte dell’imputato, della propria presenza sul territorio dello Stato nonostante il provvedimento amministrativo di espulsione.
Il riferimento all’indisponibilità di risorse economiche è stato ritenuto generico.
La pena è stata applicata nel minimo, tenuto conto del comportamento processuale dell’imputato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5ter, d.lgs. n. 286 del 1998 in relazione agli artt. 3, 27 e 97, comma secondo, Cost.
Ha, altresì, eccepito la mancanza di motivazione o la manifesta illogicità della motivazione con la quale è stata implicitamente respinta l’eccezione di incostituzionalità da parte del Giudice di Pace.
L’eccezione, posta all’udienza del 7 luglio 2023 e implicitamente rigettata dal giudice di merito, è stata riproposta.
Con riguardo alla violazione dell’art. 27, comma secondo, Cost., nella parte in cui sancisce il principio della finalità rieducativa del trattamento sanzionatorio, è stata evidenziata la manifesta irragionevolezza della previsione di una sanzione pecuniaria della multa da 10.000 a 20.000 euro per il reato di inottemperanza all’ordine di espulsione.
Nel caso di specie, lo straniero aveva fatto ingresso sul territorio nazionale dalla frontiera di Ventimiglia, era stato raggiunto dal provvedimento di espulsione e, tenuto conto dell’impossibilità di rilasciare in suo favore un permesso di soggiorno e della impraticabilità del suo accompagnamento alla frontiera, anche per mancanza di documenti idonei e della indisponibilità di posti nei CPRE, gli era stato intimato di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni.
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L’inottemperanza aveva dato luogo alla denuncia per il reato per il quale si procede.
La mancanza del permesso di soggiorno rende impossibile lo svolgimento di attività lavorativa e, dunque, l’acquisizione di fonti di reddito lecite; pertant l’importo della pena pecuniaria appare del tutto irragionevole e rimane ad esso estranea qualsiasi finalità rieducativa della sanzione.
Il contrasto si manifesterebbe anche rispetto alla previsione dell’art. 3 Cost. in quanto la funzione rieducativa della pena dovrebbe contribuire alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona.
Il meccanismo processuale che si viene a determinare appare, particolarmente «farraginoso e dispendioso» e si porrebbe in contrasto con il principio del buon andamento della Pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
I costi dell’iter amministrativo-giurisdizionale che si avvia a seguito dell’attività di polizia che individua i soggetti non in grado di ottemperare all’ordine di espulsione e i conseguenti procedimenti davanti ai Giudici di Pace non consentono di perseguire efficacemente gli obiettivi prefissati essendo le decisioni giudiziarie sostanzialmente prive di concreta utilità.
2.2. Con il secondo motivo è stata eccepita la violazione di legge con riguardo alla mancata considerazione di un giustificato motivo idoneo ad escludere la configurabilità del reato o ad affermare la particolare tenuità del fatto.
Sul punto è stata eccepita anche la manifesta illogicità della motivazione.
L’assenza di documenti e la condizione di clandestinità avrebbero dovuto essere adeguatamente valutate al fine di escludere la configurabilità del reato.
Stante l’applicabilità dell’art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000 anche al reato per i quale si procede, la decisione risulterebbe viziata nella parte in cui non è stata ritenuta configurabile l’ipotesi in essa delineata.
2.3. Con il terzo motivo sono state eccepite la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche che erano state richieste all’udienza del 7 luglio 2023 e sulle quali il giudice ha omesso ogni argomentazione.
Nel senso dell’applicabilità della mitigazione sanzionatoria deponeva la condizione di clandestinità dell’imputato che era privo di documenti, di risorse economiche idonee a consentirgli di ottemperare all’ordine di allontanamento.
In tal senso anche la brevità del tempo trascorso tra la scadenza del termine di sette giorni per l’adempimento dell’ordine di espulsione e la riscontrata presenza dello straniero nel territorio dello Stato.
Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alle circostanze attenuanti generiche ex art. 62b1s cod.. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
La questione di legittimità costituzionale posta con il primo motivo è manifestamente infondata.
Prima della sostituzione, per effetto dell’art. 3, comma 1, lett. d), n. 5), del d.l. 23 giugno 2011, n. 89, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 129, l’art. 14, comma 5ter, d.lgs. n. 286 del 1998, prevedeva una fattispecie di reato sanzionata con la pena detentiva diversamente graduata, per il caso dello straniero che, senza giustificato motivo, permaneva illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal Questore ai sensi de comma 5bis.
Recependo la direttiva europea 2008/115/CE sul rimpatrio di cittadini irregolari di Paesi terzi, l’art. 3, comma 1, cit. ha previsto una nuova fattispeci di reato che si pone in termini di discontinuità normativa con la precedente.
In tal senso, la costante giurisprudenza di questa Corte, ha affermato che «la nuova formulazione del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, D.Lgs. n. 286 del 1998, introdotta dall’art. 3 del D.L. n. 89 del 2011, convertito con modificazioni nella legge n. 129 del 2011, non si pone in continuità normativa con la precedente fattispecie di reato (non più applicabile nell’ordinamento a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E. 28 aprile 2011, El COGNOME), dando luogo, invece, ad una nuova incriminazione applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della normativa sopra citata» (fra le molte Sez. 1, n. 36363 del 26/05/2016, COGNOME, Rv. 268253).
Come già segnalato, «il legislatore – pur non rinunciando alla sanzione penale per sostenere la forza precettiva dell’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato, impartito al cittadino di un Paese non appartenente all’Unione europea, e garantirne così l’ottemperanza – ha eliminato la previsione della reclusione, antecedentemente comminata, sostituendola con la pena della multa» (Sez. 1, n. 25533 del 27/03/2018, Rosca, Rv. 273047, in motivazione).
Ciò ha fatto in esecuzione della decisione della Corte di giustizia GLYPH UE 28/04/2011, COGNOME) in base alla quale la successione delle fasi della procedura di rimpatrio definita dalla direttiva, corrisponde ad un’esigenza di gradazione delle misure da prendere per dare esecuzione alla relativa decisione.
Tra tali misure non è prevista l’adozione di pene restrittive della libertà personale che si risolverebbero nel «rimedio» all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere al rimpatrio coattivo.
In tale prospettiva, gli Stati devono «continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti», finendo, in caso contrario, «per ostacolare l’applicazione delle misure di partenza volontaria e ritardare l’esecuzione del rimpatrio stesso» (Sez. 1, n. 25533 del 2018 cit.).
Pertanto, l’introduzione della pena pecuniaria, in luogo di quella detentiva, trova la propria ragione nelle esigenze evidenziate dalla direttiva e dalla decisione della Corte di giustizia che non appaiono, in alcun modo, recessive rispetto ai profili di incostituzionalità sollevati dal ricorrente.
La questione sollevata, peraltro, sconta anche profili di genericità, se solo si considera, quanto all’aspetto relativo alla violazione dell’art. 3 Cost. che non risulta illustrata adeguatamente la censura e ciò per la mancata indicazione di eventuali fattispecie rispetto alle quali dovrebbe potersi apprezzare una diversità di trattamento irragionevole, irrazionale o, peggio, discriminatoria.
Il profilo risulta, peraltro, sollevato in termini promiscui rispetto a quello cui all’art. 27 Cost. meramente enunciato nella rubrica del motivo, ma privo di una adeguata e, nemmeno approssimativa, illustrazione.
Parimenti generica si rivela, tanto più se si considerano le ragioni che hanno determinato l’adozione della sanzione pecuniaria, l’evocazione del principio di cui all’art. 97 Cost. che parte dall’assunto della incapienza dei soggetti destinatari della sanzione per assumere che da ciò deriva un sistema sanzionatorio che «viola le regole dal buon andamento dell’Amministrazione».
Si pretende così di ricavare da una massima di esperienza la previsione di un vincolo per il legislatore che, nell’affermata possibilità consentita dalle font sovranazionali, di prevedere una sanzione penale per le fattispecie di violazione dell’esecuzione dell’ordine di allontanamento, si troverebbe nella preclusione di adottare una sanzione detentiva per effetto delle predette fonti e nella impossibilità di prevedere una sanzione pecuniaria per effetto di vincoli provenienti dalla normativa interna.
Va aggiunto, per completezza, sul punto, che la pena pecuniaria «non comporta alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva, che è quella di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri
extracomunitari, privi di valido titolo di permanenza (Sez. 1, n. 40923 del 14/06/2013, Tozlukaya), né la direttiva in parola osta (sentenza Corte di giustizia UE 6 dicembre 2012, Sagor) alla «possibilità che la legislazione statale affidi ad una pronuncia giudiziaria di carattere penale, purché non implicante la detenzione dell’interessato, la decisione impositiva dell’obbligo di rimpatrio».
E’ manifestamente infondato anche il secondo motivo poiché l’assenza di un documento e la clandestinità non integrano il giustificato motivo che esclude la configurabilità della fattispecie penale.
In tal senso si richiamata l’arresto secondo cui «non integra il giustificato motivo, che scrimina l’inosservanza dell’ordine impartito dal questore allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, la mancanza di un documento valido per l’espatrio, quando lo straniero stesso non riesca a provare di essersi attivato per ottenere un documento sostitutivo» (Sez. 1, n. 9754 del 18/02/2010, Singh, Rv. 246516).
La sentenza impugnata si colloca, quindi, in linea con l’orientamento per cui «in tema di immigrazione clandestina, la sussistenza del giustificato motivo idoneo ad escludere la configurabilità del reato di inosservanza dell’ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato, deve essere valutata con riguardo a situazioni ostative-della cui allegazione è onerato l’interessato-incidenti sulla possibilità, oggettiva o soggettiva, di ottemperarvi, non essendo sufficiente la considerazione del mero disagio socio-economico, di regola ricollegabile alla condizione tipica del migrante clandestino» (Sez. 1, n. 44567 del 03/11/2021, Sabally, Rv. 282216 e numerose conformi precedenti).
Con riferimento alla causa di non punibilità di cui all’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, ferma restando l’applicabilità astratta alla fattispecie in esame (Sez. 1, n. 10275 del 16/01/2020, Ugiagbe, n.m.), il motivo di ricorso è inammissibile atteso che il ricorrente non ha chiesto l’applicazione dell’istituto al Giudice di Pace, per come risulta dalla disamina del verbale di udienza del 7 luglio 2023.
Si ricorda che «in tema di procedimento davanti al giudice di pace, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, in assenza di deduzione specifica della difesa, richiedendosi ai fini del “decisum” di improcedibilità la mancata opposizione dell’imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa; ne deriva che la doglianza relativa all’improcedibilità per particolare tenuità del fatto non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità» (Sez. 1, n. 49171 del 28/09/2016, Chebouti, Rv. 268458).
4. Fondato il terzo motivo di ricorso.
Risulta dal verbale di udienza del 7 luglio 2023 che il difensore del ricorrente ha chiesto l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e sul punto non risulta adottata alcuna motivazione.
Da ciò consegue l’annullamento della sentenza sul punto con rinvio al Giudice di Pace di Trento che motiverà in ordine alla richiesta del beneficio formulata dall’imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Giudice di Pace di Trento in diversa persona fisica.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 19/01/2024