Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16690 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16690 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Vaglica NOMECOGNOME nato a Palermo il 29/12/1940
avverso l’ordinanza del 10/10/2024 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 ottobre 2024 il Tribunale di Palermo, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile la richiesta di NOME COGNOME diretta a ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’ingiunzione a demolire emessa dal Pubblico ministero al fine di dare esecuzione all’ordine di demolizione impartito con la sentenza del 5 ottobre 2018 del medesimo Tribunale di Palermo, divenuta irrevocabile il 21 febbraio 2020.
Il giudice dell’esecuzione, nel dichiarare inammissibile la richiesta dell’intimato, ha giudicato ininfluente, rispetto alla eseguibilità dell’ordine demolizione di cui era stata chiesta la dichiarazione di inefficacia, la successiva sentenza del 31 ottobre 2023 del medesimo Tribunale di Palermo, che in relazione al medesimo oggetto si era espresso con declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, disponendo di conseguenza il dissequestro e la restituzione dell’immobile.
Avverso tale ordinanza l’intimato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a due motivi.
In premessa ha esposto che il 3 giugno 2014 era stato sequestrato l’immobile sito in Palermo, INDIRIZZO, censito al N.C.E.U. al f. 80, n. 954, a causa della realizzazione di opere abusive, e il relativo procedimento penale era stato definito con la sentenza del Tribunale di Palermo n. 5746 del 2018. Il medesimo immobile era nuovamente stato sequestrato il 29 febbraio 2016, per gli stessi fatti, e il relativo procedimento penale si era concluso con la sentenza n. 6898 del 2023 del Tribunale di Palermo, con la quale era stata dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale per essere i reati estinti per prescrizione disponendo il dissequestro e la restituzione degli immobili, eseguiti il 13 dicembre 2023. Nonostante ciò, il 29 febbraio 2024 era stata intimata al Vaglica la demolizione delle opere in forza della sentenza emessa il 5 ottobre 2018.
2.1. Tanto premesso, con il primo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) et e), cod. proc. pen., la violazione e l’errata applicazione degli artt. 125 e 669 cod. proc. pen. e 111 Cost. e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della persistente validità del titolo esecutivo formato con la sentenza del 5 ottobre 2018 del Tribunale di Palermo.
Ha esposto che le due sentenze pronunciate dal Tribunale di Palermo nei suoi confronti, nel 2018 e nel 2023, erano relative al medesimo fatto, ossia al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 44, lett. c), d.P.R. 380/2001, ascrittogli per avere, concorso con altri e quale committente dei lavori, realizzato opere abusive sull’immobile sito in Palermo, INDIRIZZO, censito al N.C.E.U. al f. 80, n. 954, compreso in area tutelata e sottoposta a vincolo paesaggistico,
consistenti nella edificazione di due immobili con struttura in legno di circa 80 mq. ciascuno, poggiati su una platea di cemento armato di circa 280 mq., con muri di contenimento in cemento armato, essendo pienamente sovrapponibili e coincidenti le opere oggetto dei due giudizi, derivanti dalle medesime condotte, con la conseguente ravvisabilità di una violazione del divieto del ne bis in idem, che avrebbe dovuto determinare la caducazione del titolo esecutivo portato dalla sentenza di condanna anteriore, dovendosi tenere conto di quella successiva di proscioglimento.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 666, n. 5, cod. proc. pen., a causa del mancato accertamento da parte del giudice dell’esecuzione, avvalendosi dei poteri officiosi di cui è titolare, della coincidenza tra le condotte in relazione quali è stato emesso l’ordine di demolizione e quelle oggetto della successiva sentenza di proscioglimento e della eventuale differenza tra le opere oggetto di tali decisioni.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, sottolineando l’irrilevanza della sentenza relativa al medesimo immobile che aveva dichiarato non doversi procedere, per essere estinte per prescrizione le corrispondenti violazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il rapporto tra distinte sentenze che, come nel caso in esame, secondo quanto esposto dallo stesso ricorrente, riguardino il medesimo immobile e le stesse opere abusive, quando una comporti la demolizione e l’altra la restituzione dell’immobile per l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione, va regolato nel senso che l’ordine di demolizione pronunciato nella sentenza divenuta irrevocabile rimane eseguibile anche quando una diversa e successiva sentenza avente a oggetto il medesimo immobile e le stesse opere si concluda con la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione e senza emissione dell’ordine di demolizione.
Ciò in quanto ogni ordine di demolizione pronunciato dal giudice penale ex art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 viene emesso all’esito di un giudizio avente a oggetto uno specifico fatto sussunto in una delle fattispecie di cui all’art. 4 d.P.R. citato e si riferisce alle opere realizzate con quella specifica condotta, per cui una successiva sentenza di prescrizione o ha ad oggetto diverse condotte (e allora non potrà influire su quelle già giudicate), oppure viola il divieto del bis in
idem, e, quindi, il relativo giudizio dovrebbe concludersi, ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., con sentenza di proscioglimento o di improcedibilità, ma non potrebbe certo avere incidenza sull’efficacia di un ordine di demolizione impartito definitivamente con una sentenza di condanna irrevocabile.
In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di legittimità nella sentenza COGNOME (Sez. 3, n. 46197 del 26/09/2023, COGNOME, Rv. 285341 – 01), affermando che “l’ordine di demolizione impartito da una sentenza divenuta irrevocabile costituisce titolo autosufficiente rispetto ad altri ordini di demolizio aventi il medesimo oggetto, ma emessi in conseguenza di altre condotte edificatorie, sicché la caducazione di questi ultimi in ragione dell’esito dei processi nei quali erano stati emessi, non esplica alcuna incidenza in ordine all’efficacia di quello cristallizzato nella sentenza di condanna definitiva”.
Nella motivazione di tale sentenza, relativa a una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, si chiarisce che “l’ordine di demolizione impartito da una sentenza divenuta irrevocabile costituisce titolo autosufficiente rispetto ad altri ordini demolizione aventi il medesimo oggetto, ma emessi in conseguenza di altre condotte. Invero, ogni ordine di demolizione pronunciato dal giudice penale ex art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 viene emesso all’esito di un giudizio avente ad oggetto uno specifico fatto sussunto in una delle fattispecie di cui all’art. 4 d.P.R. cit., e si riferisce alle opere realizzate con quella specifica condotta. Ed u ordine di demolizione pronunciato all’esito di un altro processo non può che essere determinato dall’accertamento di distinte condotte, pena la violazione del divieto di bis in idem, e, quindi, non può che riferirsi ad opere ulteriori, siccome prodotte da queste nuove e diverse condotte. Sicché la caducazione di ulteriori ordini di demolizione per ragioni determinate dall’esito dei processi nei quali questi ultimi erano stati emessi non esplica alcuna incidenza in ordine alla efficacia di quello “cristallizzato” in una sentenza di condanna irrevocabile. . Ancora, identica conclusione appare già enunciata in un precedente, nel quale si afferma che è legittimo l’ordine di demolizione dell’intero manufatto, anche se per alcune opere meramente complementari (nella specie, casseformi armate dirette alla sopraelevazione) era in precedenza intervenuta revoca dell’ordine di demolizione, conseguente a declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431-01). Piuttosto, in sede di esecuzione, come si evince anche dal precedente appena citato, potrebbe essere necessario verificare se le condotte oggetto del processo in relazione al quale è emesso l’ordine di demolizione poi caducato, siccome diverse da quelle giudicate nel processo definito con sentenza di condanna penale irrevocabile, abbiano comportato la realizzazione di opere strutturalmente autonome rispetto a quelle oggetto del provvedimento di abbattimento contenuto in quest’ultima decisione. Ed infatti, se l’ordine di demolizione caducato ha ad oggetto opere strutturalmente Corte di Cassazione – copia non ufficiale
a GLYPH autonome da quelle interessate dal provvedimento rimasto fermo, le prime non potranno essere demolite. Se, invece, l’ordine di demolizione caducato ha ad oggetto opere accessorie rispetto a quelle interessate dal provvedimento da eseguire, anche le prime dovranno essere demolite. In questo senso, si è ripetutamente pronunciata la giurisprudenza, secondo la quale l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l’edificio oggetto del procedimento che ha dato vita al titolo esecutivo ma anche ogni altro intervento, che, per la sua accessorietà all’opera abusiva, renda ineseguibile l’ordine medesimo, non potendo consentirsi che eventuali ulteriori edificazioni possano, in qualche modo, ostacolare l’integrale attuazione dell’ordine giudiziale (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 41180 de 20/10/2021, COGNOME, e Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268831-01)”.
Ora, nel caso in esame le opere oggetto del secondo giudizio, conclusosi con sentenza di proscioglimento per prescrizione, sono, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, coincidenti con quelle del primo giudizio, cosicché la decisione di proscioglimento è insuscettibile di incidere in qualsiasi modo sulla decisione irrevocabile con la quale è stata affermata la responsabilità e disposta la demolizione, posto che il successivo giudizio, se relativo alle medesime opere realizzate con identiche condotte, avrebbe dovuto concludersi con dichiarazione di improcedibilità per violazione del divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto.
Quanto al mancato accertamento delle caratteristiche delle opere oggetto del secondo giudizio, in relazione alle quali con il secondo motivo di ricorso il ricorrente ha prospettato del tutto genericamente una possibile diversità, va osservato che sarebbe stato onere del ricorrente, in ossequio al canone di specificità del ricorso di cui all’art. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen., illustrare l’oggetto dei due giudizi che lo hanno riguardato, indicando anche le opere abusive oggetto degli stessi e la loro natura.
Ciò, peraltro, avrebbe potuto assumere rilievo, alla stregua del consolidato orientamento riportato nella sentenza COGNOME, con riferimento alle opere oggetto del secondo giudizio, che, se strutturalmente autonome, avrebbero potuto sfuggire alla demolizione (mentre se accessorie o complementari a quelle oggetto del primo giudizio avrebbero, comunque, dovuto essere demolite), ma non certamente con riferimento alle opere oggetto dell’ordine di demolizione impartito con la prima sentenza emessa il 5 ottobre 2018 dal Tribunale di Palermo, non riesaminabile per la realizzazione di opere ulteriori nel medesimo fabbricato, destinate anch’esse a venire demolite se complementari o accessorie, o a sopravvivere, se strutturalmente autonome, nel caso di estinzione per prescrizione
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del relativo reato (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 37245 del 17/04/2024, COGNOME, Rv.
286887 – 01; Sez. 3, n. 869 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 285733 –
01; Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 6049 del
27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268831 – 01, queste ultime già citate nella menzionata sentenza COGNOME nonché, già in precedenza, Sez. 3, n. 21797 del
27/04/2011, COGNOME, Rv. 250389 – 01).
4. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza delle censure alle quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione
dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 3/4//2025