Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17791 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17791 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a PATERNO’ il 27/02/1987 NOME COGNOME nato a PATERNO’ il 10/04/1990
avverso l’ordinanza del 05/12/2024 del TRIBUNALE di CATANIA
udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME lette le conclusioni del PG ha chiesto il rigetto dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catania, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 5 dicembre 2024, ha rigettato l’istanza presentata nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME quali nuovi proprietari, finalizzata ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione di opere abusivamente realizzate consistenti in un manufatto ad una elevazione fuori terra per una superficie di circa 150 metri quadrati con tetto a tegole – impartita con sentenza emessa dalla Pretura di Paternò il 3 giugno 1997 ed irrevocabile il 1 luglio 1999.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito elencati.
Con il primo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, rappresentando come l’ordine di demolizione avrebbe natura di sanzione amministrativa accessoria, la cui permanenza cesserebbe al momento del rilascio del parere favorevole dell’ente preposto alla tutela del vincolo paesaggistico, parere che, nel caso specifico, è stato emesso dalla Soprintendenza di Catania in data 11 dicembre 2014, facendo così cessare l’antigiuridicità della condotta posta in essere dai danti causa dei ricorrenti.
La sanzione sarebbe inoltre prescritta per decorso del termine quinquennale di cui all’articolo 28 della legge 6891981.
Evidenziano anche che, al momento dell’acquisto, non sarebbe stato possibile riscontrare l’esistenza dell’ordine di demolizione in quanto non trascritto nella conservatoria dei registri immobiliari.
Rappresentano, inoltre, che l’amministrazione comunale avrebbe rilasciato sia il permesso di costruire in sanatoria sia il certificato di abitabilità ed il no rogante avrebbe regolarmente provveduto a ricevere l’atto di compravendita .
La violazione di legge viene denunciata anche con il secondo motivo di ricorso, evidenziando come il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto del fatto che i ricorrenti non sono responsabili dell’abuso e non possono, quindi, essere destinatari dell’ingiunzione alla demolizione.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione rappresentando, come il giudice dell’esecuzione avrebbe
sostanzialmente disapplicato l’articolo 23 della legge regionale siciliana numero 37 del 1995 la quale, a differenza della normativa nazionale, prevede la possibilità di rilasciare il titolo edilizio in sanatoria anche per fabbricati c quello oggetto dell’ordine di demolizione.
Con memoria in data 14 aprile 2025, la difesa ha presentato motivi nuovi, lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento alla mancata considerazione, da parte del giudice dell’esecuzione, dell’avvenuto rilascio del parere favorevole della sovrintendenza di Catania.
Un ulteriore motivo aggiunto riguarda la violazione di legge. Si richiama la scusabilità dell’errore per ignoranza della legge penale a norma dell’articolo 5 cod. pen. come interpretato dalla Corte costituzionale per il fatto che i ricorrenti non sono responsabili illecito edilizio commesso oltre 30 anni prima sono entrati in possesso dell’immobile a seguito di regolare compravendita.
Insistono pertanto per l’accoglimento del ricorso.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Occorre premettere che il giudice dell’esecuzione ha dato puntualmente conto, nel provvedimento impugnato, sia del fatto che i ricorrenti hanno acquistato l’immobile da demolire dagli eredi del condannato, sia del nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza ai sensi dell’art. 23, comma 10, della legge regionale siciliana n. 371985, nonché del conseguente rilascio di concessione in sanatoria per le opere abusive.
Il Tribunale evidenzia anche che, con un precedente provvedimento del 2021, analoga istanza di revoca dell’ordine di demolizione era stata respinta causa la mancanza del già menzionato nulla osta della soprintendenza.
Considerati tali fatti, il giudice dell’esecuzione ha rilevato come l’abuso edilizio da demolire, nonostante il parere favorevole della Soprintendenza, non era suscettibile di condono edilizio in quanto insistente in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
Evidenzia, poi, come la normativa regionale richiamata dai ricorrenti non
può essere interpretata in senso difforme dalla normativa nazionale e, per tali ragioni, ha respinto l’istanza .
Fatte tali premesse, osserva il Collegio come la decisione del giudice dell’esecuzione sia del tutto immune da censure, perché pienamente conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte ed il ricorso manifestamente infondato, perché formula censure del tutto destituite di fondamento.
Occorre infatti rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti su soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche, la demolizione non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.m. in proc. Delorier, Rv. 265540 – 01).
Alla decisione appena menzionata, che richiama i numerosi precedenti conformi, ha fatto seguito altra pronuncia che, nel pervenire alle medesime conclusioni, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell’art. 31 del d.P.R. n 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, ribadendo che le caratteristiche di detta sanzione amministrativa – che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere real producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso – non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all’art. 117 Cost. (Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, COGNOME, Rv. 267977 – 01. Conf. Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275850 – 02).
Anche con riferimento al secondo motivo di ricorso deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, rinvenibile anche nelle pronunce
precedentemente menzionate, secondo cui l’ordine di demolizione impartito dal giudice ha come destinatario non solo il condannato responsabile dell’abuso, ma anche l’attuale proprietario del bene, rimasto estraneo al processo, che assume una responsabilità di natura “sussidiaria”, ferma restando la sua facoltà di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, de proprio dante causa (v., da ultimo, Sez. 3, n. 17809 del 18/01/2024, Pmt, Rv. 286308 – 01, nonché Sez. 3, n. 3752 del 18/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287393 – 01 laddove si evidenzia che l’avente causa dall’autore dell’edificazione è tenuto ad informarsi, al momento dell’acquisto, in ordine alla liceità delle opere realizzate, senza che possa giovarsi della propria colpevole ignoranza).
Il terzo motivo di ricorso non merita miglior sorte dei precedenti, perché anch’esso fondato su argomenti del tutto destituiti di fondamento.
I ricorrenti, nel censurare il provvedimento impugnato, pur riconoscendo l’esistenza di un vincolo paesaggistico (la sussistenza del quale, pertanto, non è in contestazione), affermano che, contrariamente a quanto stabilito nel provvedimento impugnato, l’immobile da demolire risulterebbe lecitamente condonato.
La presenza del vincolo, tuttavia, risulta determinante ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti di condonabilità dell’opera e di ciò ha doverosamente tenuto conto il giudice dell’esecuzione.
Invero, la costante giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, ha ripetutamente affermato, con riferimento al condono edilizio introdotto con la legge 3263, che la realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuove costruzioni in assenza di permesso di costruire non è suscettibile di sanatoria (cfr. Sez. 3, n. 40676 del 20/05/2016, Armenante, Rv. 268079 – 01 ed altre prec. conf.).
In altra occasione, nel ribadire il concetto, si è anche fornita dettagliata confutazione di alcune posizioni dottrinarie divergenti che avevano prospettato una interpretazione più permissiva delle disposizioni menzionate (Sez. 3, n. 6431 del 12/01/2007, Sicignano, Rv. 237320 – 01).
Tale ultima pronuncia evidenziava, tra l’altro, l’inequivocabile contenuto della Relazione governativa al D.L. n. 269 del 2003, che ha chiarito alcuni dubbi interpretativi e non ha smentito il tenore delle disposizioni successivamente emanate.
Va altresì ricordato quanto evidenziato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza (n.1502009) con la quale dichiarava la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed I) e terzo comma, e 119 della Costituzione, dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, con ordinanza del 21 agosto 2008, riguardo alla condonabilità limitata ai soli “abusi minori” nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico secondo l’interpretazione, criticata dal giudice remittente, data con la sentenza n. 64312007 di questa Corte.
La Corte Costituzionale afferma, infatti, seppure incidentalmente che “…può restare in disparte sia il rilievo per cui l’interpretazione tracciata dalla Cort cassazione, nelle molteplici sentenze in materia (e non nella sola sentenza considerata), appare del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata, sia l’erronea ricostruzione, da parte del rimettente, della giurisprudenza di questa Corte quanto alla natura dei vincoli preclusivi della sanatoria, atteso che la sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come tali vincoli non debbano necessariamente comportare l’inedificabilità assoluta”.
Questa Corte ha, inoltre, preso anche in considerazione i rapporti, in tema di condono edilizio, tra la disciplina statale e quella della Regione Sicilia affermando che tali ultime disposizioni non possono essere interpretate in senso confliggente con la normativa statale sul condono edilizio di cui alla legge 24 novembre 2003, n. 326 circa la condonabilità degli interventi in zona vincolata (v. Sez. 3, n. 44957 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277264 – 01; Sez. 3, n. 45977 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 251341 – 01).
Tali condivisibili argomentazioni sono state ribadite anche di recente (v. Sez. 3, n. 14123 del 05/03/2025, COGNOME non mass.).
I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 3.000,00
Ai sensi dell’art. 585, comma 4, l’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili
i
ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in data 30/04/2025
Deposituta in Cancelleria