Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14647 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14647 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nata a SAN GIUSEPPE VESUVIANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a TERZIGNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 ottobre 2023, la Corte d’appello di Napoli in funzione di giudice dell’esecuzione rigettava la richiesta presentata nell’interesse di COGNOME e COGNOME avente ad oggetto la revoca, l’annullamento o comunque la sospensione dell’ordine demolitorio relativo alla sentenza della Corte d’appello di Napoli dell’8 ottobre 2009, irr. 20 maggio 2010, riguardante il piano terra completo in ogni parte e primo piano composto dalle sole strutture in cemento armato, meglio descritto in atti.
Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, i predetti hanno proposto congiunto ricorso per cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo un unico, articolato, motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deducono, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata.
In sintesi, si duole la difesa dei ricorrenti per aver il giudice dell’esecuzione respinto l’istanza in questione richiamando una sentenza di questa Corte ed aggiungendo che allo stato non è concretamente e attualmente intervenuto alcun provvedimento in sanatoria che, comunque, apparirebbe non ipotizzabile in futuro, ricadendo l’immobile in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Sul punto, osserva la difesa che l’immobile in questione è oggetto di procedura di condono ancora pendente, non essendo stata ancora evasa dal Comune territorialmente competente, ciò che osterebbe all’esecuzione dell’ordine demolitorio. Si aggiunge, poi, che rispetto alla situazione che determinò la pronuncia della sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, sarebbero intervenuti dei fatti nuovi, costituiti dalla costru zione di fianco al piano terra di altro manufatto e la costruzione di un piano sovrastante l’area oggetto dell’ordine demolitorio, cui va aggiunta anche la pronuncia di una sentenza del TAR Campania del 2010 che, a seguito dell’impugnativa dell’ordine di demolizione emesso dal Comune e del verbale di accertamento di inadempienza di sospensione e/o demolizione, ha proceduto al loro annullamento sul presupposto della mancata preventiva valutazione della fondatezza delle istanze degli interessati finalizzate ad ottenere il rilascio dei provvedimenti di sa natoria. Tali atti, unitamente a tutti i provvedimenti intervenuti in relazione al presente vicenda, sarebbero stati offerti in visione al giudice dell’esecuzione il quale, sostiene la difesa, nel motivare il rigetto dell’istanza si sarebbe limitato giustificarla con il richiamo di una massima di una sentenza di questa Corte e
prendendo atto dell’inesistenza di un provvedimento del Comune a seguito dell’istanza di condono, escludendo aprioristicamente che in futuro ciò possa esserlo trattandosi di area sottoposta a vincolo paesaggistico, affermazione che sarebbe stata operata senza alcun minimo accertamento della sussistenza di tale vincolo e senza nemmeno valutare non solo se l’inerzia comunale comportasse una lesione dei diritti degli interessati, tra cui quello di impugnare nelle sedi giu diziarie un eventuale diniego, ma anche di chiedere alla locale Commissione del paesaggio un parere relativamente alla pratica di condono.
La difesa dei ricorrenti evidenzia, inoltre, un profilo ulteriore che osterebbe all’esecuzione dell’ordine demolitorio, dato dal fatto che, rispetto alla situazione esistente al momento della pronuncia dell’ordine, vi sarebbe il fatto nuovo rappresentato dalla realizzazione di un piano sovrastante quello oggetto dell’ordine demolitorio, di talché un abbattimento del piano terra, oggetto di tale ordine, arrecherebbe pregiudizio e notevoli danni alla costruzione realizzata al primo piano, mai oggetto di procedimento penale né di ordine di demolizione, con conseguente crollo dell’intera struttura. Anche su tale punto mancherebbe qualsiasi motivazione nell’ordinanza impugnata, che avrebbe trascurato di esaminare quella giurisprudenza la quale impone, in attesa della definizione della procedura di condono, l’obbligo al giudice penale di sospendere l’ordine di demolizione, ciò che sarebbe imposto anche dal principio della separazione dei poteri tra autorità amministrativa e giudiziaria, che vincolerebbe quest’ultima ad attendere la conclusione della procedura di condono avviata, come più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento all’ordine di demolizione emesso dall’autorità comunale.
Da ultimo, la difesa dei ricorrenti si duole per non aver la Corte d’appello valutato l’intervenuta prescrizione dell’ordine di demolizione, essendo stata emessa l’ingiunzione a demolire dopo tredici anni dall’irrevocabilità della sentenza, con conseguente prescrizione ex art. 173, cod. pen. essendo decorsi oltre cinque anni dall’irrevocabilità della sentenza.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 27 febbraio 2024, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Secondo il PG il motivo è infondato. È orientamento assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la sanzione della demolizione, prevista dall’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sfugge alla regola del giudicato penale ed è sempre riesaminabile in sede esecutiva, al fine di un’eventuale revoca, consentita solo in presenza di atti della pubblica amministrazione, o dell’autorità giudiziaria amministrativa, che siano assolutamente incompatibili con la demolizione del manufatto, ovvero quando vi sia la ragionevole prevedibilità
che tali provvedimenti saranno emanati in un breve arco temporale, sulla base di risultanze concrete, non essendo sufficiente la mera eventualità di una loro adozione (Sez. 3, n. 25212 del 18/01/2012, COGNOME, Rv. 253050; nello stesso senso, tra le tante, Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254426; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, COGNOME, Rv. 256679; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, COGNOME, Rv. 260972; Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, COGNOME., Rv. 274135). Tanto premesso, va rilevato che, sul punto, la giurisprudenza della Corte di cassazione è stata concorde nel ritenere che il Giudice della esecuzione debba revocare l’ordine di demolizione se nuovi atti amministrativi si pongano in contrasto con lo stesso oppure lo debba sospendere quando sia ragionevolmente prospettabile che, nell’arco di brevissimo tempo, la Pubblica Amministrazione adotterà un provvedimento incompatibile con l’abbattimento dell’opera. Pertanto, non è sufficiente, per neutralizzare l’ordine in esame, la mera possibilità che in un tempo lontano- o, comunque, non prevedibile- saranno emanati atti favorevoli al condannato non potendosi rinviare a tempo indefinito la tutela di interessi urbanistici che l’ordine di demolizione mira a reintegrare. Questi principi cercano di salvaguardare, in un armonico equilibrio, due interessi meritevoli di tutela: quello pubblico alla rapida riparazione del bene violato e quello del privato ad evitare un danno irreparabile in pendenza di una situazione giuridica che potrebbe risolversi a suo favore (ex plurimis : Sez. 3, n. 43878/2004; da ultimo Cass. n. 9095 del 2023). In tale contesto, il Giudice della esecuzione è chiamato ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura di sanatoria. Nel caso concreto, il giudice deve: = accertare il possibile risultato della richiesta sanatoria e se esistano cause ostative alla sua concessione (in tale ipotesi, avrebbe dovuto decidere non avendo senso concedere una dilazione); =nel caso di insussistenza di tali cause, valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (cfr. Cass., n. 38997 del 2007). Tale orientamento della Cassazione è stato ribadito anche in relazione alle altre tipologie di condono (ordinario e giurisprudenziale). Si è infatti affermato che, in sede di esecuzione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con la sentenza di condanna, il giudice, al fine di pronunciarsi sulla sospensione dell’esecuzione a seguito dell’avvenuta presentazione della domanda di condono edilizio, una volta intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare: a) ad accertare il possibile risultato dell’istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento Corte di Cassazione – copia non ufficiale
amministrativo e sospendere l’esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (cfr. ex multis: Sez. 3, 15 giugno 2009, n. 24665; Sez. 3, 1 luglio 2015, n. 9145, 266763 – 01). Alla luce degli esposti principi deve ritenersi senz’altro corretta la decisione della Corte d’appello di Napoli la quale, in piena conformità col riportato indirizzo giurisprudenziale, ha ancorato la propria decisione di rigetto della richiesta del ricorrente di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione – richiesta fondata sulla avvenuta presentazione di un’istanza di condono edilizio presentata in relazione al condono del 2003, anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che aveva disposto, fra l’altro, l’abbattimento delle opere abusivamente realizzate dai ricorrenti – alla mancata prova di cause ostative e alla insussistenza di elementi che facciano ritenere plausibilmente prossima la adozione da parte dell’autorità amministrativa competente del provvedimento ampliativo. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha evidenziato che non vi erano elementi che inducessero a ritenere prossima l’adozione di un provvedimento di condono e che anzi tale provvedimento non appariva concedibile, in quanto l’abuso era stato realizzato su terreno sottoposto a vincolo paesaggistico (per il quale il condono non è consentito, secondo la giurisprudenza costante della suprema Corte). Tali conclusioni sono state, pertanto, adottate in base a considerazioni non manifestamente illogiche. L’avvenuto annullamento dell’ordine di esecuzione adottato dal Comune di Terzigno non ha rilievo nel caso in esame, non costituendo provvedimento incompatibile con quello impugnato in questa sede, tenuto conto anche delle ragioni a sostegno della sentenza amministrativa. Quanto all’ulteriore profilo di doglianza, deve rilevarsi che l’impossibilità tecnica di d esecuzione all’ordine di demolire un manufatto abusivo senza danneggiare la parte lecita del fabbricato, oltre a dover essere dimostrata, non rileva quando dipende da causa imputabile al condannato. Nel caso in esame, però, il danneggiamento riguarderebbe comunque un’ulteriore parte abusiva. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, trattati cartolarmente ex art. 611, cod. proc. pen., sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza.
Sono anzitutto generici per aspecificità non confrontandosi con l’ordinanza impugnata che, pure nella sinteticità dell’apparato argomentativo, ha tuttavia fornito adeguata soluzione alle questioni giuridiche poste dall’istante, che vengono reiterate senza alcun apprezzabile elemento di novità critica nell’impugnazione proposta in sede di legittimità. Questa Corte ha già più volte affermato
che ai fini della configurabilità dell’ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione per genericità dei motivi, in quest’ultima rientra non solo la aspecificità dei motivi stessi, ma anche la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 1, ord. n. 4521 del 20/01/2005, Rv. 230751 – 01).
3. Il ricorso è, peraltro, in diritto, manifestamente infondato.
Ed infatti, i giudici di appello hanno fornito adeguata risposta alla doglianza difensiva con cui veniva lamentata la ostatività all’esecuzione dell’ordine demolitorio conseguente alla pendenza della procedura di condono edilizio. L’ordinanza ha motivato la reiezione fondandola sulla giurisprudenza di questa Corte nonché sul rilievo che, allo stato, non è concretamente e attualmente intervenuto alcun provvedimento in sanatoria che, comunque, apparirebbe non ipotizzabile in futuro, ricadendo l’immobile in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Trattasi di soluzione giuridica assolutamente ineccepibile, che si conforma alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui in tema di reati edilizi, ai fini della revoca o sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive previsto dall’art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell’esecuzione investito della questione è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare: a) ad accertare il possibile risultato dell’istanza e se esiston cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l’esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (tra le tante: Sez. 3, n. 38997 del 26/09/2007, Rv. 237816 – 01).
Nella specie, il giudice dell’esecuzione ha dato atto che non è concretamente e attualmente intervenuto alcun provvedimento in sanatoria e che, comunque, apparirebbe non ipotizzabile in futuro, ricadendo l’immobile in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Né risulta dagli atti valutabili da parte di questa Corte, se non dalla mera prospettazione difensiva articolata in ricorso, che sia prossimo il rilascio del provvedimento di condono da parte dell’autorità amministrativa com-. petente, non essendovi alcun automatismo per il giudice penale di sospendere (né tantomeno revocare) l’ordine demolitorio in pendenza di una pratica di condono di incerta definizione nell’an e nel quando.
Né, si noti, rileva la circostanza costituita dalla pronuncia della sentenza del TAR Campania del 2010 che, a seguito dell’impugnativa dell’ordine di demoli-
zione emesso dal Comune e del verbale di accertamento di inadempienza di sospensione e/o demolizione, ha proceduto al loro annullamento sul presupposto della mancata preventiva valutazione della fondatezza delle istanze degli interessati finalizzate ad ottenere il rilascio dei provvedimenti di sanatoria. Sul punto è sufficiente rilevare che le sentenze del giudice amministrativo, ancorché definitive, non vincolano quello penale ed una volta acquisite agli atti del dibattimento sono liberamente valutabili ai fini della decisione (Sez. 6, n. 10210 del 24/02/2011, Rv. 249592 – 01).
Quanto all’ulteriore profilo di doglianza, deve rilevarsi che l’impossibilità tecnica di dare esecuzione all’ordine di demolire un manufatto abusivo senza danneggiare la parte lecita del fabbricato, oltre a dover essere dimostrata, come bene evidenzia il PG, non rileva quando dipende da causa imputabile al condannato (Sez. 3, n. 7789 del 09/02/2021, Rv. 281474 – 01).
Nel caso in esame, però, il danneggiamento riguarderebbe comunque un’ulteriore parte abusiva.
Infine, quanto alla questione relativa all’applicabilità all’ordine demolitorio dell’art. 173, cod. pen., è sufficiente richiamare la granitica giurisprudenza di questa Corte che ha a più riprese affermato che in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina della prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzio penali, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l’autore dell’abuso (In motivazione, la S.C. ha precisato che tali caratteristiche dell’ordine di demolizione escludono la sua riconducibilità anche alla nozione convenzionale di “pena” elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU: Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 – 01).
I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dei ricorsi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 13 marzo 2024
Il Co igliere GLYPH tensore