Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30956 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30956 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Procida (Na) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 5/2/2024 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 5/2/2024, la Corte di appello di Napoli rigettava l’istanza con la quale NOME COGNOME aveva chiesto la revoca dell’ordine di demolizione di cui alla sentenza della stessa Corte a data 4/5/1999 (irrevocabile il 10/8/1999), emessa a carico della propria dante causa RAGIONE_SOCIALE.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo, previa ricostruzione in fatto della vicenda, i seguenti motivi:
inosservanza o erronea applicazione della legge penale. La Corte di appello non avrebbe redatto un adeguato supporto motivazionale, in particolare non
valutando – come invece sollecitato – che il permesso di costruire in sanatoria n. 41/2010, rilasciato per l’opera in questione, sarebbe stato preceduto da due autorizzazioni rilasciate alla dante causa NOME COGNOME (nn. 12583/1994 e 1634/1995): ebbene, l’esame di questi provvedimenti avrebbe consentito di riscontrare che quanto accertato dalla polizia giudiziaria il 16/2/1995, poi oggetto del processo, altro non sarebbe stato che l’esecuzione di lavori di manutenzione di un originario immobile, regolarmente assentiti proprio dalle autorizzazioni citate. In forza di ciò, dunque, il giudice dell’esecuz:one non avrebbe potuto disapplicare il permesso di costruire poi rilasciato nel 2010, in ordine allo stesso immobile;
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe erroneamente richiamato una precedente propria ordinanza del 21/3/2019: in quella sede, infatti, non sarebbe stata compiuta alcuna valutazione quanto alle citate autorizzazioni, in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe chiesto la revoca dell’ingiunzione a demolire soltanto in ragione del titolo edilizio in sanatoria n. 41/2010. L’ordinanza, peraltro, sul punto sarebbe anche contraddittoria, prima sostenendo che la propria precedente decisione avrebbe interessato le due autorizzazioni, quindi affermando che, in questa procedura incidentale, la difesa avrebbe prodotto due nuovi documenti, quali, per l’appunto, le stesse autorizzazioni;
manifesta illogicità della motivazione. Si ribadiscono gli argomenti di cui al primo motivo, evidenziando che già nel verbale di sequestro del 16/2/1995 sarebbe stato chiaramente indicato che l’opera asseritamente abusiva avrebbe costituito soltanto la sostituzione di una parte della precedente (poi oggetto del citato permesso di costruire). Che l’intervento in allora posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE fosse soltanto l’esecuzione di quanto autorizzato, peraltro, risulterebbe indirettamente anche dalla perizia del tecnico nominato dalla Procura generale: questi, infatti, avrebbe dato atto di un unico corpo di fabbrica, perfettamente coincidente con quello di cui al permesso di costruire n. 41/2010 e con pianta di circa 58 mq., non già di due immobili, come invece avrebbe dovuto essere accogliendosi la tesi della nuova costruzione di cui alla ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
La Corte di appello ha innanzitutto esaminato il novum prodotto dall’istante, in forza del quale l’incidente di esecuzione non è stato giudicato inammissibile per mera reiterazione di quello già deciso con ordinanza del 21/3/2019 (e soltanto in questi termini vale tale richiamo, che dunque non può essere censurato, come
invece nel secondo motivo di ricorso): sono state esaminate, pertanto, le due autorizzazioni rilasciate alla RAGIONE_SOCIALE, dante causa del ricorrente, il 23/11/1994 e l’8/2/1995, ed in particolare le stesse sono state poste in relazione a quanto accertato dalla polizia municipale il 16/2/1995, poi oggetto del giudizio di cognizione concluso con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile il 10/8/1999.
4.1. Ebbene, la tesi difensiva secondo cui le opere sequestrate avrebbero costituito soltanto lavori di manutenzione, eseguiti in esecuzione (peraltro parziale) proprio delle due autorizzazioni citate, è stata superata dalla Corte di appello con una motivazione del tutto solida, fondata su oggettivi elementi e priva di illogicità manifeste; come tale, pertanto, non censurabile.
4.3. Alla luce di tale accertamento in fatto, che questa Corte non è ammessa a sindacare, trattandosi di questione propria del giudice di merito, il Collegio d appello ha quindi concluso che l’opera oggetto della sentenza – e dell’intimazione a demolire – costituiva tutt’altro rispetto ad un eventuale manufatto precedente. La RAGIONE_SOCIALE, infatti, aveva ottenuto due autorizzazioni volte soltanto a non far deperire l’immobile nei tempi lunghi di definizione della domanda di condono, peraltro senza consentire alcuna variazione di superfici o volumi; la stessa, tuttavia, non aveva rispettato tale obbligo, decidendo di edificare un’opera del tutto nuova.
4.2. In particolare, l’ordinanza ha preso atto del contenuto di questi documenti, evidenziando che quello del 23/11/1994 autorizzava la sostituzione della copertura del comodo rurale, lo stesso poi oggetto di condono rilasciato nel 2010, mentre quello dell’8/2/1995, ad integrazione dell’altro, abilitava la richiedente al rifacimento dei cantonali murali. Tanto premesso, la Corte di appello ha affermato che nel febbraio 1995 la polizia municipale aveva sequestrato un’opera per 40 mq. che, in base alla proniuncia di merito, doveva ritenersi del tutto nuova rispetto al fabbricato preesistente: si trattava, in particolare, di nuovo volume, realizzato mediante una struttura verticale costituita da pilastri alti 2,50 metri, con una struttura orizzontale consistente in un solaio di copertura in cemento armato, per circa 40 mq. Ebbene, l’ordinanza ha specificato che la polizia municipale non aveva fatto alcuna menzione di un preesistente fabbricato (deposito) di 58 mq., quello poi oggetto della domanda di condono (1996) conclusasi nel 2010 e di cui la difesa sostiene che le altre opere costituissero parziale rifacimento; nel verbale di sequestro del 16/2/1995, atto fidefacente, risultava dunque soltanto l’opera abusiva, poi contestata ed accertata con sentenza ormai definitiva. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.4. A fronte di queste considerazioni, risulta dunque del tutto infondato il primo motivo di ricorso, che si sviluppa su un piano di fatto volto a ribadire la tes
difensiva già richiamata, ossia che quanto accertato il 16/2/1995 avrebbe costituito soltanto parziale esecuzione dei lavori di manutenzione autorizzati con i provvedimenti più volte citati; una simile tesi è dunque inammissibile in questa sede, ed è peraltro palesemente volta a sollecitare una diversa valutazione di quanto ormai coperto da sentenza irrevocabile. In altri termini, sostenere che le opere oggetto del giudizio non sarebbero state abusive perché coperte dalle due autorizzazioni, vuol dire sottoporre al giudice una questione volta non ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione, ma a scardinare il giudicato attraverso documenti che, peraltro, ben avrebbero potuto essere spesi in sede di merito, poiché precedenti addirittura al sequestro.
La Corte di appello, peraltro, non ha disapplicato il permesso di costruire in sanatoria n. 41/2010, ma – ancora con motivazione del tutto solida e non meritevole di censura – ha soltanto ribadito che la relativa domanda aveva avuto ad oggetto un deposito di 58 mq., mentre “dai disegni allegati al titolo in sanatoria non sembra che sia stato sanato un deposito, bensì una civile abitazione”. Ancora, è stato sottolineato che il preteso deposito, oggetto di sanatoria, avrebbe avuto un’altezza di 2,90 metri, mentre l’opera sequestrata il 16/2/1995, oggetto dell’ordine di demolizione, era alta 2,50 metri.
In senso contrario, peraltro, non possono essere qui esaminate le considerazioni di cui al terzo motivo di ricorso, con le quali si sollecitano a quest Corte ancora inammissibili valutazioni in fatto, come l’esame del verbale di sequestro, dell’informativa a stessa data e della consulenza redatta dal tecnico nominato dalla Procura generale (dalla quale risulterebbe l’esistenza di un unico corpo di fabbrica perfettamente coincidente con quello di cui al titolo n. 41/2010 e con pianta di circa 58 mq. utili).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento d spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa d ammende.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024
Il C egliere estensore
Il Presidphte