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Ordine di demolizione: quando la prova non basta

La Corte di Cassazione conferma la decisione di non revocare un ordine di demolizione per opere abusive. Il caso evidenzia come la prova della completa demolizione, fornita dal condannato, possa essere superata da perizie tecniche che dimostrino una rimozione solo parziale e una successiva ricostruzione illecita, rendendo inefficaci le attestazioni iniziali.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine di demolizione: la parola non basta, servono prove certe

Un ordine di demolizione emesso a seguito di una condanna per abusi edilizi rappresenta una delle sanzioni più incisive nel nostro ordinamento. Ma cosa succede quando il condannato sostiene di aver ottemperato all’ordine, ma le autorità nutrono dubbi? Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale fa luce sulla complessità della fase esecutiva e sul rigore probatorio richiesto per dimostrare l’avvenuta demolizione, offrendo importanti spunti di riflessione.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale è lunga e complessa. Un privato cittadino viene condannato in via definitiva per aver realizzato, in assenza di titolo abilitativo, un piazzale in cemento armato di circa 600 mq e sei pilastri. La sentenza di condanna include, come previsto dalla legge, un ordine di demolizione delle opere abusive.

Una volta divenuta irrevocabile la sentenza, il Procuratore Generale emette l’ingiunzione a demolire. A questo punto, il condannato si oppone, sostenendo di aver già provveduto alla demolizione integrale, come attestato da una nota dei Carabinieri della stazione locale, a seguito della quale il giudice aveva anche disposto il dissequestro dell’area. Tuttavia, il Procuratore Generale avvia ulteriori accertamenti, nominando un consulente tecnico. Dalle indagini emerge un quadro diverso: la demolizione sarebbe stata solo parziale, limitata ad alcune porzioni della platea, mentre le travi di collegamento e i pilastri non sarebbero mai stati rimossi. Inoltre, tra il 2020 e il 2022, la platea sarebbe stata ricostruita.

Il caso arriva più volte davanti alla Corte di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, con esiti alterni, fino a un primo annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, che censura la motivazione del provvedimento che aveva revocato l’ordine di demolizione. La Corte d’Appello, riesaminando il caso, rigetta l’istanza del condannato, che propone un nuovo ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il rigetto del ricorso

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del condannato, confermando la piena legittimità del provvedimento della Corte di Appello che aveva mantenuto in vita l’ordine di demolizione. La Corte ha ritenuto che la motivazione del giudice del rinvio fosse congrua, coerente e priva di vizi logici, e che avesse correttamente valutato tutti gli elementi probatori a disposizione, superando le deduzioni difensive.

Secondo i giudici di legittimità, il percorso argomentativo della Corte territoriale ha esposto in modo convincente le ragioni per cui le prove addotte dal ricorrente, come le fotografie allegate a pratiche edilizie (SCIA) o le stesse dichiarazioni di alcuni tecnici, non fossero idonee a smentire le conclusioni del consulente tecnico della Procura. Di conseguenza, l’appello è stato respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’analisi probatoria. La Corte di Cassazione ha evidenziato come il giudice dell’esecuzione abbia correttamente adempiuto al compito assegnatogli dalla precedente sentenza di annullamento, approfondendo tre punti critici: l’effettiva demolizione, la legittimità di eventuali nuove edificazioni e le comunicazioni alle autorità.

In primo luogo, la Corte ha dato prevalenza alle conclusioni del consulente tecnico. I rilievi fotografici prodotti dal ricorrente, che mostravano il piazzale senza pilastri, sono stati ritenuti ininfluenti perché risalenti a un periodo in cui i pilastri erano ancora esistenti, come dimostrato dall’autorizzazione alla demolizione concessa dal giudice solo in un momento successivo. Il verbale dei Carabinieri, che attestava la demolizione, è stato considerato ‘superato’ dalle valutazioni tecniche più approfondite, che hanno evidenziato una demolizione solo parziale.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato il tema della successiva riedificazione. È emerso che il condannato aveva avviato un nuovo procedimento penale per aver realizzato, sulla base di titoli edilizi ritenuti inidonei, un nuovo piazzale e nuovi pilastri. Questa circostanza, anziché supportare la tesi del ricorrente, ha confermato l’illiceità complessiva della sua condotta e l’impossibilità di considerare ‘eliminate’ le opere originarie. La nuova edificazione illecita non sana né cancella l’obbligo di eseguire il precedente ordine di demolizione.

Infine, la Corte ha sottolineato come la motivazione del giudice dell’esecuzione non fosse né contraddittoria né illogica, ma basata su una valutazione complessiva e coerente delle prove, respingendo l’interpretazione alternativa proposta dalla difesa.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’onere di provare in modo inequivocabile l’avvenuta e completa demolizione di un’opera abusiva grava su chi è tenuto a eseguirla. Non sono sufficienti attestazioni generiche o prove documentali contraddittorie, specialmente se smentite da accertamenti tecnici dettagliati.

Il giudice dell’esecuzione ha il potere e il dovere di compiere una valutazione approfondita di tutti gli elementi, e le perizie tecniche assumono un ruolo cruciale nel dirimere i dubbi. Questo caso dimostra che il percorso per ottenere la revoca di un ordine di demolizione è tutt’altro che semplice e richiede una prova certa, completa e non contestabile. La semplice ricostruzione di nuove opere, peraltro illecite, non estingue l’obbligo ripristinatorio imposto con la sentenza di condanna definitiva.

Chi ha l’onere di provare l’avvenuta demolizione di un’opera abusiva?
Spetta alla persona soggetta all’ordine di demolizione fornire la prova certa e inconfutabile di aver completamente rimosso le opere abusive, come stabilito dalla sentenza di condanna.

Un verbale dei Carabinieri che attesta una demolizione è sufficiente a bloccare l’ordine del giudice?
Non necessariamente. Come emerge dalla sentenza, tale verbale può essere superato da prove di maggior peso, come una consulenza tecnica dettagliata che dimostri che la demolizione è stata solo parziale. Il giudice deve valutare l’intero compendio probatorio.

Se un’opera abusiva viene demolita e poi ricostruita illecitamente, l’ordine di demolizione originario perde validità?
No. La sentenza chiarisce che la successiva edificazione, a sua volta illecita, non annulla né sana l’obbligo di eseguire l’originario ordine di demolizione. L’obbligo ripristinatorio rimane pienamente efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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