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Ordine di demolizione: quando il ricorso è inammissibile

Un privato, condannato per aver realizzato abusivamente due piani su un manufatto preesistente, ha impugnato l’ordine di demolizione sostenendo che si trattasse di una ristrutturazione e non di una nuova costruzione. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, stabilendo che la qualificazione giuridica di ‘opera nuova’ data dalla sentenza di condanna definitiva è vincolante e non può essere ridiscussa in fase esecutiva per bloccare l’ordine di demolizione.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine di demolizione: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

L’ordine di demolizione rappresenta la conseguenza più drastica di un abuso edilizio. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la qualificazione giuridica dell’abuso, una volta definita con sentenza passata in giudicato, non può essere rimessa in discussione in fase esecutiva per tentare di bloccare la demolizione. Approfondiamo i contorni di questa importante decisione.

I fatti del caso: un abuso edilizio e il conseguente ordine di demolizione

Il caso trae origine da una condanna, divenuta definitiva, nei confronti di un privato per aver realizzato abusivamente un manufatto di due piani sopra una struttura preesistente. A seguito della condanna, la Procura Generale competente emetteva il conseguente ordine di demolizione.

Il condannato si opponeva all’esecuzione, chiedendone la sospensione al giudice dell’esecuzione (la Corte di Appello). La richiesta, tuttavia, veniva rigettata. Contro tale rigetto, il privato proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che la Corte di Appello avesse errato nel non considerare l’impossibilità di demolire l’abuso senza pregiudicare le parti legittime dell’edificio.

La strategia difensiva: ristrutturazione o nuova costruzione?

La linea difensiva del ricorrente si basava su un’argomentazione specifica: l’intervento edilizio contestato doveva essere qualificato come una ‘ristrutturazione’. Questa tesi mirava a invocare l’applicazione dell’art. 33 del DPR 380/01, che disciplina gli interventi di ristrutturazione edilizia, aprendo potenzialmente a scenari alternativi alla demolizione, come la cosiddetta ‘sanatoria’.

Tuttavia, questa tesi si scontrava con un ostacolo insormontabile: la sentenza di condanna, ormai passata in giudicato.

La decisione della Cassazione sull’ordine di demolizione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un ragionamento giuridico netto e ineccepibile.

La qualificazione giuridica dell’abuso è vincolante

Il punto centrale della sentenza è il valore del giudicato penale. La Corte ha evidenziato come la sentenza di condanna avesse chiaramente qualificato l’intervento non come una ristrutturazione, bensì come una ‘opera nuova’, consistente nella creazione illegale di due piani aggiuntivi. Questa qualificazione, cristallizzata in una decisione definitiva, non può più essere messa in discussione.

L’irrilevanza della richiesta di ‘sanatoria’

Di conseguenza, se l’abuso è una ‘opera nuova’, ogni tentativo di invocare normative relative alla ‘ristrutturazione’, come l’art. 33 citato, è del tutto fuori luogo e impertinente. La Corte afferma che non si può prospettare alcuna incompatibilità giuridico-amministrativa con l’esecuzione dell’ordine di demolizione basandosi su una qualificazione dell’abuso diversa da quella accertata in via definitiva.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione motiva il rigetto affermando che le argomentazioni giuridiche del ricorrente erano palesemente infondate. Secondo un principio consolidato, quando le tesi di una parte sono infondate, il fatto che il giudice di merito le abbia disattese non costituisce un vizio della sentenza. Anzi, la Suprema Corte, richiamando l’art. 619 c.p.p., ricorda il proprio potere di correggere la motivazione di un provvedimento se la decisione finale risulta comunque corretta dal punto di vista giuridico. In questo caso, il rigetto dell’istanza di sospensione da parte della Corte di Appello era legittimo, poiché l’ordine di demolizione era la conseguenza inevitabile di una condanna per la realizzazione di un’opera nuova abusiva.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma la centralità del giudicato penale nel procedimento esecutivo. Chi è stato condannato per un abuso edilizio non può sperare di bloccare la demolizione tentando di riqualificare la natura dell’illecito in una fase successiva. La classificazione dell’intervento (opera nuova, ristrutturazione, ecc.) accertata nella sentenza di condanna è definitiva e determina le conseguenze giuridiche, inclusa la legittimità dell’ordine di demolizione. La decisione serve da monito sulla serietà delle conseguenze legate agli abusi edilizi e sull’impossibilità di eludere le sanzioni attraverso espedienti procedurali una volta che la condanna è diventata irrevocabile.

Si può chiedere la sospensione di un ordine di demolizione qualificando l’abuso come ‘ristrutturazione’ se la condanna definitiva lo ha definito ‘opera nuova’?
No. La sentenza stabilisce che se una condanna penale, passata in giudicato, ha definito l’abuso edilizio come ‘opera nuova’, il responsabile non può successivamente tentare di qualificarlo come ‘ristrutturazione’ per bloccare l’ordine di demolizione. La qualificazione del giudicato è vincolante.

In un ricorso contro l’ordine di demolizione, quale principio applica la Corte se le argomentazioni della parte sono infondate?
Se le argomentazioni giuridiche della parte sono infondate, il fatto che il giudice le abbia disattese non costituisce un vizio della sentenza. La Corte può rigettare il ricorso e, ai sensi dell’art. 619 c.p.p., può anche correggere la motivazione del giudice precedente se la decisione nel merito è comunque giuridicamente corretta.

Qual è la conseguenza se un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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