Ordine di demolizione: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
L’ordine di demolizione rappresenta la conseguenza più drastica di un abuso edilizio. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la qualificazione giuridica dell’abuso, una volta definita con sentenza passata in giudicato, non può essere rimessa in discussione in fase esecutiva per tentare di bloccare la demolizione. Approfondiamo i contorni di questa importante decisione.
I fatti del caso: un abuso edilizio e il conseguente ordine di demolizione
Il caso trae origine da una condanna, divenuta definitiva, nei confronti di un privato per aver realizzato abusivamente un manufatto di due piani sopra una struttura preesistente. A seguito della condanna, la Procura Generale competente emetteva il conseguente ordine di demolizione.
Il condannato si opponeva all’esecuzione, chiedendone la sospensione al giudice dell’esecuzione (la Corte di Appello). La richiesta, tuttavia, veniva rigettata. Contro tale rigetto, il privato proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che la Corte di Appello avesse errato nel non considerare l’impossibilità di demolire l’abuso senza pregiudicare le parti legittime dell’edificio.
La strategia difensiva: ristrutturazione o nuova costruzione?
La linea difensiva del ricorrente si basava su un’argomentazione specifica: l’intervento edilizio contestato doveva essere qualificato come una ‘ristrutturazione’. Questa tesi mirava a invocare l’applicazione dell’art. 33 del DPR 380/01, che disciplina gli interventi di ristrutturazione edilizia, aprendo potenzialmente a scenari alternativi alla demolizione, come la cosiddetta ‘sanatoria’.
Tuttavia, questa tesi si scontrava con un ostacolo insormontabile: la sentenza di condanna, ormai passata in giudicato.
La decisione della Cassazione sull’ordine di demolizione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un ragionamento giuridico netto e ineccepibile.
La qualificazione giuridica dell’abuso è vincolante
Il punto centrale della sentenza è il valore del giudicato penale. La Corte ha evidenziato come la sentenza di condanna avesse chiaramente qualificato l’intervento non come una ristrutturazione, bensì come una ‘opera nuova’, consistente nella creazione illegale di due piani aggiuntivi. Questa qualificazione, cristallizzata in una decisione definitiva, non può più essere messa in discussione.
L’irrilevanza della richiesta di ‘sanatoria’
Di conseguenza, se l’abuso è una ‘opera nuova’, ogni tentativo di invocare normative relative alla ‘ristrutturazione’, come l’art. 33 citato, è del tutto fuori luogo e impertinente. La Corte afferma che non si può prospettare alcuna incompatibilità giuridico-amministrativa con l’esecuzione dell’ordine di demolizione basandosi su una qualificazione dell’abuso diversa da quella accertata in via definitiva.
Le motivazioni della Corte
La Cassazione motiva il rigetto affermando che le argomentazioni giuridiche del ricorrente erano palesemente infondate. Secondo un principio consolidato, quando le tesi di una parte sono infondate, il fatto che il giudice di merito le abbia disattese non costituisce un vizio della sentenza. Anzi, la Suprema Corte, richiamando l’art. 619 c.p.p., ricorda il proprio potere di correggere la motivazione di un provvedimento se la decisione finale risulta comunque corretta dal punto di vista giuridico. In questo caso, il rigetto dell’istanza di sospensione da parte della Corte di Appello era legittimo, poiché l’ordine di demolizione era la conseguenza inevitabile di una condanna per la realizzazione di un’opera nuova abusiva.
Le conclusioni
Questa sentenza riafferma la centralità del giudicato penale nel procedimento esecutivo. Chi è stato condannato per un abuso edilizio non può sperare di bloccare la demolizione tentando di riqualificare la natura dell’illecito in una fase successiva. La classificazione dell’intervento (opera nuova, ristrutturazione, ecc.) accertata nella sentenza di condanna è definitiva e determina le conseguenze giuridiche, inclusa la legittimità dell’ordine di demolizione. La decisione serve da monito sulla serietà delle conseguenze legate agli abusi edilizi e sull’impossibilità di eludere le sanzioni attraverso espedienti procedurali una volta che la condanna è diventata irrevocabile.
Si può chiedere la sospensione di un ordine di demolizione qualificando l’abuso come ‘ristrutturazione’ se la condanna definitiva lo ha definito ‘opera nuova’?
No. La sentenza stabilisce che se una condanna penale, passata in giudicato, ha definito l’abuso edilizio come ‘opera nuova’, il responsabile non può successivamente tentare di qualificarlo come ‘ristrutturazione’ per bloccare l’ordine di demolizione. La qualificazione del giudicato è vincolante.
In un ricorso contro l’ordine di demolizione, quale principio applica la Corte se le argomentazioni della parte sono infondate?
Se le argomentazioni giuridiche della parte sono infondate, il fatto che il giudice le abbia disattese non costituisce un vizio della sentenza. La Corte può rigettare il ricorso e, ai sensi dell’art. 619 c.p.p., può anche correggere la motivazione del giudice precedente se la decisione nel merito è comunque giuridicamente corretta.
Qual è la conseguenza se un ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20080 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20080 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME nato a San Giuseppe Vesuviano il 26/10/1950; nel procedimento a carico del medesimo: avverso la ordinanza del 19/12/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore del ricorrente avv.to NOME COGNOME che ha insistito per raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Napoli adita quale giudice della esecuzione per la sospensione , nell’interesse di NOME NOME, dell’ordine di demolizione ingiunto dalla Procura generale della Corte di appello di Napoli, correlato alla sentenza del 26.3.1997 del Pretore di Noia, di condanna dell’NOME per la intervenuta creazione abusiva di un manufatto di due piani realizzato su altro manufatto preesistente, rigettava la richiesta.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME COGNOME mediante il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di impugnazione.
Si rappresenta il vizio di violazione di legge, atteso che la Corte di appello non avrebbe verificato il profilo della impossibilità di procedere alla demolizione senza pregiudicare parti legittime avendo erroneamente ritenuto che tale aspetto dovesy c dimostrato dall’istante cui invece incombeva solo l’onere di allegazione di un tale requisito e non avendo spiegato le ragioni per le quali il predetto onere di allegazione non sarebbe stato soddisfatto mediante la relazione tecnica di parte con cui il tecnico incaricato attestava la impossibilità della demolizione nei termini predetti.
Il ricorso è inammissibile per le seguenti ragioni. Emerge una questione giuridica preliminare atteso che il ricorrente invoca la rilevanza della istanza ex art. 33 del DPR 380/01 sull’asserito presupposto per cui l’abuso sarebbe ,consistito in ultima analisi in un intervento di ristrutturazione. Al contrario nella ordinanza impugnata si evidenzia senza che sul punto vi sia alcuna contestazione, che secondo il capo di imputazione cui afferisce la sentenza di condanna ormai passata in giudicato, l’abuso sarebbe consistito nella creazione senza titolo di due piani edificati su un manufatto preesistente. Emerge in tal modo l’intervenuto giudicato per un intervento inerente una “opera nuova” (e non quindi una ristrutturazione) rispetto alla quale va modulata ogni astratta e ipotetica richiesta di “sanatoria”. Rispetto alla predetta tipologia di abuso quindi, non appare pertinente la presentazione di una domanda ex art. 33 cit., che attiene alla diversa tipologia della ristrutturazione (non oggetto dell’intervenuto giudicato, come ricostruibile sula base degli atti di cui questa Corte di legittimità può disporre), e quindi tale circostanza non consente, “in nuce”, di prospettare alcuna incompatibilità giuridico-amministrativa rispetto alla esecuzione dell’ordine di demolizione. Cosicchè il rigetto della istanza è legittimo, alla luce del noto principio secondo il quale riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti queste ultime o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al motivo di censura costituito dalla violazione di legge (insussistente per quanto sopra osservato) o sono infondate (quale è il caso di specie), e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 NOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2025.