Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12519 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12519 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOMENOME nato a Roma il 08/01/1971; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la ordinanza del 12/09/2024 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, la Corte di appello di Roma rigettava l’istanza di COGNOMENOME per la revoca della ingiunzione a demolire correlata alla intervenuta condanna di cui alla sentenza n. 6280/2000, emessa nei confronti del medesimo e di COGNOME NOME dalla Corte di appello di Roma, e divenuta irrevocabile il 34.1.2001.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME NOME mediante il suo difensore propone ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di impugnazione.
Si rappresenta, con il primo, il vizio ex art. 606 comma 1 lett. a) cod. proc. pen., sostenendo che il PG che ha adottato l’ingiunzione contestata e
confermata con la ordinanza impugnata avrebbe esercitato un potere riservato agli “ordini amministrativi”, non rientrando tra i poteri del P.G. la potestà di acquisire, come disposto, l’area di sedime al patrimonio comunale, all’esito della demolizione.
Con il secondo deduce la violazione dell’art. 25 Cost. in relazione all’art. 7 ultimo comma della L. 47/85. Si ribadisce per il motivo di cui sopra la nullità della ingiunzione a demolire adottata dalla Procura Generale, con incidenza della stessa sull’intero provvedimento comprensivo dell’ordine di demolizione. In subordine si chiede di dichiararne la nullità in “parte qua”.
Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, e rappresenta che la sentenza n. 47263/2014 sarebbe stata citata dai giudici e presa in considerazione senza una indagine sulla sua interezza e quindi sulla sua applicabilità e si riportano trascritti taluni stralci della medesima, evidenziandosi la non pertinenza della citazione rispetto al caso concreto. Al termine del ricorso si dichiara di allegare una diversa sentenza del 2019 n. 10393, effettivamente citata nella ordinanza impugnata.
Con il quarto motivo deduce il vizio di violazione di legge che appare ripetere pedissequamente il titolo e l’incipit del precedente motivo.
Con il quinto motivo deduce il vizio di violazione di legge in quanto la corte di appello non avrebbe esaminato la pratica amministrativa indicata dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo appare omogeneo al secondo, e sono quindi da considerarsi congiuntamente. Si premette che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Orbene, è indiscutibile, conformemente a quanto assunto dalla difesa, che la acquisizione al patrimonio dell’area di sedime ove insiste l’immobile abusivo consegue all’inutile decorso di 90 giorni dalla notifica dell’ordine di demolizione emesso dall’autorità amministrativa e non
giurisdizionale. In tal senso depongono l’art. 7 della L. 47/85 come sostituito con novella dall’art. 31 comma 3 del DPR 380/01. Più di recente, con Legge n. 105/2024 di conversione del D.L. n. 69/2024, l’art. 31 comma 3 è stato integrato con la previsione per cui “il termine di cui al primo periodo può essere prorogato con atto motivato del comune fino a un massimo di duecento quaranta giorni nei casi di serie e comprovate esigenze di salute dei soggetti residenti nell’immobile all’epoca di adozione dell’ingiunzione o di assoluto bisogno o di gravi situazioni di disagio socio-economico, che rendano inesigibile il rispetto di tale termine”. Tanto precisato, da una parte, le censure non si confrontano con la corretta rilevazione della Corte di appello circa la esistenza di una necessaria distinzione tra l’ordine di demolizione impartito con sentenza, con conseguente legittimità dell’ingiunzione a demolire adottata dal P.G., e effetti acquisitivi della inottemperanza all’ordine di demolizione emesso dalla Autorità amministrativa competente.
Sul punto, il ricorrente reitera inammissibilmente la sua tesi, senza alcun confronto con la risposta della Corte di appello sopra citata, e senza illustrare le ragioni della pretesa stretta correlazione tra ordine di demolizione giudiziale ex art. 31 comma 9 del DPR 380/01 ( ai sensi del quale “per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”), e ordine di demolizione amministrativo ex art. 31 commi 12 e 3 DPR 380/01 (sostanzialmente analogo alle corrispondenti previsioni del pregresso art. 7 L. 47/85), ai sensi deli quali “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune…”.
E’ dunque corretta la risposta della Corte di appello, che statuisce la validità comunque dell’ingiunzione a demolire disposta dal P.G. in correlazione con l’ordine di demolizione disposto con la sentenza irrevocabile di condanna. E inammissibile la censura sul punto.
Per quanto sopra osservato e alla luce del dettato legislativo sopra complessivamente riportato, dall’altra parte, è corretto il rilievo difensivo circa la insussistenza dell’effetto acquisitivo in ragione della mancata ottemperanza
all’ordine di demolizione giurisdizionale, trattandosi di effetto che consegue solo all’ordine di demolizione comunale ovvero ammnistrativo, di cui non vi è contezza tra gli atti per questa Corte disponibili. Anche se nulla esclude, di converso, che in presenza di un ordine di demolizione amministrativo regolarmente notificato all’interessato e non ottemperato, si sia prodotto l’effetto acquisitivo.
Sta di fatto che in assenza di un ordine comunale di demolizione regolarmente notificato non si produce alcuna acquisizione per cui ove sussista tale circostanza non producendosi il predetto effetto acquisitivo il ricorrente neppure ha interesse in questa sede a lamentarne la insussistenza ancorchè erroneamente sostenuta dai giudici.
Il GLYPH quinto GLYPH motivo GLYPH trova GLYPH risposta GLYPH nelle GLYPH considerazioni GLYPH sopra immediatamente formulate: non vale ad innescare l’onere di verifica della pratica amministrativa del giudice la mera deduzione della pendenza della stessa, senza altre delucidazioni nel senso in precedenza sintetizzato. Né sul punto aggiunge e specifica alcunchè il ricorrente, quali deduzioni ulteriori che avrebbe esplicitato
dinnanzi al giudice dell’esecuzione per illustrare la validità della istanza di condono e la imminenza di una positiva decisione.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto debba dichiararsi inammissibile il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e della somma di euro tremila di ammenda.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila di ammenda.
Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2025
Il Co sigliere estensore
Il Presldente