Ordine di Demolizione e Diritto all’Abitazione: L’Analisi della Cassazione
L’ordine di demolizione di un immobile abusivo, soprattutto quando questo costituisce l’abitazione principale, rappresenta un punto di frizione tra l’esigenza di ripristinare la legalità e la tutela del diritto fondamentale all’abitazione. Con la sentenza n. 30670 del 2024, la Corte di Cassazione torna su questo delicato tema, chiarendo i confini del principio di proporzionalità e le responsabilità di chi ha commesso l’abuso. La decisione conferma che il trascorrere del tempo non sana l’illecito, ma anzi può rafforzare la legittimità dell’azione repressiva dello Stato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza di condanna per abusi edilizi emessa dal Tribunale di Napoli nel lontano 1999 e divenuta irrevocabile nel 2000. Tale sentenza includeva l’ordine di demolizione delle opere abusive. A distanza di oltre vent’anni, i responsabili dell’abuso, che utilizzavano l’immobile come propria abitazione, presentavano un’istanza al giudice dell’esecuzione chiedendo la revoca o la sospensione della demolizione. A sostegno della loro richiesta, adducevano motivi legati alle loro precarie condizioni di salute e invocavano il principio di proporzionalità, sostenendo che il giudice non avesse valutato l’impatto della misura sulla loro vita e la possibile esistenza di soluzioni alloggiative alternative.
Il Tribunale di Napoli, in qualità di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza. Contro questa decisione, gli interessati proponevano ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione solo apparente.
La Decisione della Corte: l’Ordine di Demolizione è Legittimo
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando in toto la decisione del giudice dell’esecuzione. Secondo i giudici di legittimità, la motivazione del provvedimento impugnato non era affatto apparente, ma spiegava in modo chiaro e logico le ragioni del rigetto. In particolare, il tribunale aveva correttamente evidenziato come il lunghissimo tempo trascorso dall’irrevocabilità della sentenza avrebbe dovuto consentire ai ricorrenti di trovare una diversa e lecita soluzione abitativa. La mancata dimostrazione di un’impossibilità assoluta in tal senso ha pesato in modo determinante sulla decisione.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore della pronuncia risiede nel richiamo ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), in particolare nelle sentenze Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria e Kaminskas c. Lituania. La Cassazione ribadisce che, nel dare attuazione a un ordine di demolizione di un’abitazione, il giudice deve rispettare il principio di proporzionalità. Questo impone una valutazione complessa che tenga conto di diversi fattori:
1. Tempo sufficiente: L’interessato deve aver avuto a disposizione un lasso di tempo congruo per tentare di sanare l’immobile, ove possibile, o per trovare diligentemente un’alternativa abitativa.
2. Tutela giurisdizionale: Deve essere garantita la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti a un tribunale indipendente.
3. Tutela di altri diritti: L’esecuzione non deve avvenire in momenti che possano compromettere altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola.
4. Consapevolezza dell’illecito: Assume rilievo la consapevolezza della natura abusiva dell’attività edilizia da parte di chi l’ha realizzata.
Applicando questi principi al caso di specie, la Corte ha osservato che i ricorrenti avevano commesso numerose e gravi violazioni, non solo urbanistiche ma anche paesaggistiche, avevano avuto accesso a molteplici rimedi giudiziari e, soprattutto, avevano beneficiato di un tempo eccezionalmente lungo (oltre due decenni) per organizzare la propria vita in modo conforme alla legge. Non avendo fornito prove concrete di specifiche esigenze che giustificassero un ulteriore rinvio, la loro richiesta è stata respinta.
Le Conclusioni
La sentenza consolida un orientamento ormai chiaro: il diritto all’abitazione non può essere invocato per paralizzare indefinitamente l’esecuzione di un ordine di demolizione legittimo. Il principio di proporzionalità non è uno scudo automatico contro le conseguenze di un illecito, ma uno strumento di bilanciamento che richiede la cooperazione e la diligenza dell’interessato. La pronuncia invia un messaggio inequivocabile: chi costruisce abusivamente non può fare affidamento sul mero passare del tempo per sanare la propria posizione. Al contrario, il tempo che passa viene interpretato come un’opportunità che, se non colta per ripristinare la legalità, finisce per rafforzare le ragioni dell’intervento repressivo dello Stato.
Quando un ordine di demolizione di un’abitazione abusiva può essere considerato sproporzionato?
Un ordine di demolizione può essere considerato sproporzionato se l’interessato non ha avuto un tempo sufficiente per sanare l’immobile o trovare un’altra casa, se non ha potuto difendersi davanti a un giudice, o se l’esecuzione avviene in un momento che lede altri diritti fondamentali (es. il diritto allo studio dei figli).
Le precarie condizioni di salute possono bloccare un ordine di demolizione?
Non automaticamente. Secondo la sentenza, le condizioni di salute sono rilevanti solo se viene dimostrato che sono assolutamente incompatibili con la possibilità di trovare e trasferirsi in un alloggio alternativo. Non costituiscono di per sé un impedimento assoluto.
Il lungo tempo trascorso da una condanna per abuso edilizio favorisce chi ha commesso l’illecito?
No, al contrario. La Corte ha stabilito che un lungo lasso di tempo dall’irrevocabilità della sentenza viene considerato come un’ampia opportunità concessa al responsabile per trovare, con diligenza, una diversa soluzione abitativa. La sua inerzia in questo periodo rafforza la legittimità della demolizione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30670 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30670 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a Napoli; COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Napoli; COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a Napoli; nel procedimento a carico dei medesimi; avverso la ordinanza del 19/12/2023 del tribunale di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del AVV_NOTAIO che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione adito nell’interesse degli odierni ricorrenti per la revoca e/o sospensione dell’ordine di demolizione di opere abusive di cui alla sentenza di condanna del tribunale di Napoli del 23.11.1999, divenuta irrevocabile il 13.2.2000, rigettava l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tramite il difensore di fiducia, hanno proposto ricorsi per RAGIONE_SOCIALEzione con motivo comune di impugnazione.
é
Deducono il vizio di violazione di legge e di motivazione apparente, viziata da travisamento del fatto e della prova, sostenendo che il giudice non avrebbe valutato la proporzionalità della misura della demolizione senza altresì spiegare la eventuale sussistenza di altre soluzioni alloggiative né la ragione della preminenza dello sviluppo del territorio rispetto alle documentate condizioni di salute dei ricorrenti.
6. Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Così deciso, il 05/6/2024.