Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32167 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32167 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nata in Belgio il 27/06/1978, avverso l’ordinanza del 09/04/2025, del Giudice del Tribunale di Termini Imerese, in funzione di Giudice dell’esecuzione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza datata 9 aprile 2025, il Tribunale di Termini Imerese, in funzione di giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza presentata da NOME COGNOME e diretta ad ottenere la revoca, previa sospensione, dell’ordine di demolizione emesso con sentenza del Tribunale di Termini Imerese del 04/02/2019, parzialmente riformata dalla sentenza della Corte di appello di Palermo del 27/09/2019, divenuta irrevocabile il 07/02/2020.
Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
2.1 Con il primo motivo, la ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 26 codice processo amministrativo e 34 d.P.R. n. 380 del 2001.
In sintesi, la difesa deduce che, per l’immobile abusivo, catastalmente identificato al foglio 16, particella n. 964, del catasto fabbricati del Comune di Bagheria, ricadente in zona non assoggettata ad alcun vincolo di natura urbanistica, Ł stata presentata al Comune di Bagheria in data 28/06/2004, prot. n. 27397, istanza di definizione degli illeciti edilizi ai sensi del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003, da parte di NOME Speciale, dante causa della ricorrente, sicchŁ, pur essendo intervenuto provvedimento amministrativo di acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale, quest’ultima Ł pur sempre legittimata a chiedere la revoca dell’ordine di demolizione, essendo pendente istanza di condono presentata ai sensi del d.l. n. 269 del 2003, non ancora definita con un provvedimento espresso di diniego.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche, in relazione all’art.
– Presidente –
R.G.N. 14812/2025
31 del d.P.R. n. 380 del 2001, spettando al Comune di appartenenza dell’immobile la competenza a dare esecuzione all’ordine di demolizione.
In sintesi, la difesa deduce l’incompetenza della Procura della Repubblica a dare esecuzione all’ordine di demolizione, poichØ l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 attribuisce una competenza esclusiva al Comune di appartenenza dell’immobile.
2.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. l’esercizio da parte del giudice di una potestà riservata a poteri amministrativi in relazione alla presentazione di istanza di concessione in sanatoria ai sensi della l. n. 326 del 2003, integralmente recepita dalla legge regionale siciliana n. 16 del 2004, non ancora esitata con un provvedimento espresso di diniego.
In sintesi, la difesa deduce che, avendo il Tribunale di Termini Imerese ritenuto che l’istanza ex lege n. 326 del 2003 Ł infondata, ha esercitato una potestà amministrativa riservata per legge ad un organo amministrativo, quale Ł il dirigente del Comune di Bagheria.
2.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche, per intervenuta definizione degli illeciti edilizi a seguito di formazione di silenzio assenso ai sensi dell’art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla l. n. 326 del 2003, integralmente recepita dalla legge regionale siciliana n. 16 del 2004, nonchØ in ragione della decadenza dei vincoli esistenti Anas, in presenza di una strada interpoderale munita di opere di urbanizzazione.
In sintesi, la difesa deduce che, non essendo stata ancora esitata l’istanza di definizione degli illeciti edilizi presentata ai sensi della l. n. 326 del 2003, il giudicato penale Ł irrilevante, in quanto l’azione amministrativa non può essere condizionata dal giudice penale, dal momento che l’istanza del 2004 lascia presupporre la preesistenza di una costruzione rispetto a quella rilevata nel 2014 che sostituisce la precedente senza modificarne sagoma e volumi, sicchŁ si Ł in presenza di opere di manutenzione straordinaria per gli abusi rilevati successivamente al 2004. In secondo luogo, il vincolo paesaggistico Ł stato superato dal rilascio del nulla osta provvisorio di accoglimento da parte della Soprintendenza di Palermo, richiamato dal certificato di inesistenza vincoli redatto dall’ingegnere NOME PantŁ e depositato in atti.
Sostiene la difesa che la legge della Regione Sicilia n. 16 del 2004 non ha derogato l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 che richiama l’art. 35 della l. n. 47 del 1985, sicchŁ, decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda di definizione degli illeciti edilizi, si forma il silenzio assenso, sempre che siano stati pagati l’oblazione e gli oneri concessori e non vi siano vincoli di inedificabilità, come nel caso di specie.
Del resto, l’immobile consiste in una piccola costruzione prefabbricata di appena 64 mq in c.l.s. che soddisfa ampiamente a requisiti prescritti dalla normativa antisismica.
2.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche, in relazione agli artt. 24, 42 e 111 Cost., nonchØ all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In sintesi, la difesa deduce che le opere oggetto di ordine di demolizione sono state realizzate su una area di sedime in comproprietà tra la ricorrente, proprietaria di una quota pari al 50%, ed altri due comproprietari di una quota pari al 50%, NOME COGNOME e NOME COGNOME che non sono esecutati, essendo rimasti estranei al processo penale, sicchŁ l’ordine di demolizione Ł da ritenersi nullo ed ineseguibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso Ł inammissibile.
Risulta, infatti, pacifico che il comune di Bagheria, con ordinanza n. 14 dell’11/05/2022, ha acquisito al patrimonio comunale l’immobile abusivo, con relativa area di sedime, costituito da una piattaforma in cemento armato e dalla realizzazione di un immobile di mq 64, con pilastri e travi in ferro zincato e mura perimetrali in conci di tufo e con copertura a doppia falda realizzata con tavolato di legno.
La ricorrente, dunque, non Ł piø proprietaria dell’immobile, edificato senza titolo, a seguito dell’acquisizione delle opere e dell’area di sedime al patrimonio comunale.
Le considerazioni che precedono pongono pertanto la questione relativa all’interesse della ricorrente ad impugnare il provvedimento che dispone la demolizione di un bene del quale, ormai, non Ł piø proprietaria.
Sez. 3, n. 11171 del 14/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 286047, ha condivisibilmente affermato che l’interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica piø vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, COGNOME, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, COGNOME, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, COGNOME, Rv. 239397; Sez. U, n. 28911 del 28/09/2019, COGNOME, Rv. 275953). La legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (in tal senso, Sez. U, COGNOME, nonchØ Sez. U, COGNOME, secondo cui la concretezza dell’ interesse non può dunque che essere parametrata al raffronto tra quanto statuito dal provvedimento impugnato e quanto, con l’impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere).
E secondo il costante indirizzo di questa Corte di legittimità, costituisce declinazione pratica di questo principio quello secondo il quale l’acquisizione al patrimonio del Comune dell’immobile abusivo fa cessare l’interesse alla revoca o alla sospensione dell’ordine di demolizione in capo al responsabile dell’illecito (Sez. 3, n. 20027 del 20/03/2024, Sommella; in senso conforme, Sez. 3, n. 35203 del 18/06/2019, Centioni, Rv. 277500, che ha precisato che il precedente proprietario del bene, a seguito del provvedimento acquisitivo, deve ritenersi terzo estraneo alle vicende giuridiche dell’immobile; ancora, Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, COGNOME, Rv. 268133, ha affermato che a seguito dell’inutile decorso del termine assegnato al condannato per l’esecuzione dell’ordine di demolizione, viene meno l’interesse alla revoca o alla sospensione dello stesso, essendo il bene ormai divenuto di proprietà del Comune).
Coerentemente con tale indirizzo Ł stato altresì affermato (Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278090) che, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all’esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso (nello stesso senso, Sez. 3, n. 5536 del 16/01/2025, Giuliano; Sez. 3, n. 4758 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME; Sez. 3, n. 7720 del 30/03/2023, Amendola).
In altri termini, qualora il Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell’opera, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell’abuso. Ogni altra richiesta Ł pertanto priva di interesse (cfr. in tal senso Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133).
All’inammissibilità del primo motivo consegue l’inammissibilità anche degli altri motivi di ricorso, siccome proposti da soggetto non legittimato.
In ogni caso, il secondo e il terzo motivo di ricorso, da valutarsi congiuntamente perchØ incentrati sui rapporti tra giudice penale e autorità amministrativa, sono inammissibili, essendo la giurisprudenza di legittimità ferma nel ritenere che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo – avente natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso – Ł impartito dal giudice penale con la sentenza di condanna ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. 380/2001; ed in relazione a tale ordine, secondo la regola generale stabilita dall’art. 665, comma 1, cod. proc. pen., competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento Ł il giudice che lo ha deliberato, dunque, nel caso della demolizione di opere abusive, il giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna (o di applicazione della pena su richiesta) con la quale sia stato anche impartito tale ordine.
La giurisprudenza di questa Corte ha anche chiarito (Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, COGNOME, Rv. 284627) che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo o meramente suppletivo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 55295 del 22/09/2016, Fontana, Rv. 268844, Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez. 3, n. 37906 del 22/5/2012, COGNOME non mass.; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, COGNOME Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, COGNOME, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996, dep. 1997, COGNOME, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/08/1990, COGNOME, Rv. 185699).
La giurisprudenza di legittimità ha inoltre affermato a piø riprese che il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l’eventuale “disapplicazione” dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all’oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 273218; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, COGNOME, Rv. 265034; nel senso che il controllo di legalità del giudice ordinario sul permesso di costruire, anche in sanatoria, non comporta la “disapplicazione” da parte del giudice penale dell’atto amministrativo concessorio, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, COGNOME, Rv. 195359).
Il giudice dell’esecuzione penale Ł sempre titolato ad esercitare il proprio sindacato sulla legittimità del provvedimento abilitativo in sanatoria (Sez. 3, n. 26004 del 05/04/2019, Messina, Rv. 276014) disapplicandolo ove lo stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni formali e sostanziali di legge previste per la sua esistenza e non anche nell’ipotesi di mancato rispetto delle norme che, regolando l’esercizio del potere amministrativo, determinano solo invalidità (Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, Rv. 243905; Sez. 3,
n. 1104 del 25/11/2004, Calabrese, Rv. 230815), non dovendo il giudice dell’esecuzione penale applicare atti amministrativi non conformi alla legge (Sez. 3, n. 7736 del 22/01/2001, Pratesi, Rv. 219157).
Si Ł anche attribuita al giudice dell’esecuzione, con rifermento alla mera pendenza di una richiesta di sanatoria, la verifica dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, B., Rv. 274135; in tema di condono edilizio v., ad es., Sez. 3, n. 35201 del 3/5/2016, COGNOME, Rv. 268032; Sez. 3, n. 47263 del 25/9/2014, Russo, Rv. 261212; Sez. 3, n. 16686 del 5/3/2009, Marano, Rv. 243463; Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238145; Sez. 3, n. 38997 del 26/9/2007, COGNOME, Rv. 237816; Sez. 3, n. 23702 del 27/4/2007, COGNOME e altro, Rv. 237062; Sez. 3, n. 3992 del 12/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 227558).
Alla luce di tali principi, deve ritenersi corretta – senza che vi sia alcuna interferenza con le funzioni delle autorità amministrative (ex plurimis, Sez. 3, n. 46194 del 23/11/2021, Rv. 282239) – la decisione del Tribunale che ritiene inidonea, quale base per una sospensione o revoca dell’ordine di demolizione, l’avvenuta presentazione di una richiesta di sanatoria che mai potrebbe essere accolta, essendosi in presenza di un nuovo manufatto, consistito nella realizzazione di una intera unità abitativa, e visto che le opere ricadono in zona vincolata dal punto di vista paesaggistico (come accertato con la sentenza di condanna passata in giudicato) e sono come tali espressamente escluse dalla possibilità di sanatoria ai sensi dell’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, non rientrando negli abusi di minore rilevanza.
Anche il quarto motivo di ricorso Ł, in ogni caso, inammissibile.
Questa Corte ha già chiarito (Sez. 3, n. 57602 del 13/11/2018, COGNOME, non mass.) che, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv., con mod., dalla l. 24 novembre 2003, n. 326) all’art. 32, comma primo, della l. n. 47 del 1985, non opera piø, anche per le istanze di sanatoria già presentate, la procedura del silenzio assenso per gli interventi di ampliamento eseguiti su immobili sottoposti a vincolo paesaggistico (Sez. 3, n. 14312 del 16/03/2010, COGNOME, Rv. 246817, che ha altresì precisato in motivazione che il rilascio della sanatoria Ł subordinato al parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo da rilasciarsi nel termine di 180 gg. dall’istanza conseguendo, in caso di inerzia, l’impugnabilità del silenzio – rifiuto).
NØ può sostenersi che sull’area non gravasse detto vincolo, atteso che l’esistenza del vincolo Ł stata accertata con la sentenza di condanna passata in giudicato.
NØ ancora può essere sostenuto che la legge della Regione Sicilia n. 16 del 2004 abbia introdotto una deroga alla procedura del condono prevista dal d.l. n. 269 del 2003 in tema di silenzio assenso, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in materia di legislazione edilizia, le disposizioni introdotte da leggi regionali, anche nelle regioni a statuto speciale, devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270210; Sez. 3, n. 28560 del 26/03/2014, COGNOME, Rv. 259938).
E, con particolare riferimento alla regione Sicilia, Ł stato affermato che la legge reg. Sicilia n. 37 del 1985, nel recepire il primo condono edilizio, che ammetteva la sanatoria in presenza di vincoli relativi, non può prevalere sulla normativa statale sopravvenuta che disciplina, in ogni suo aspetto, il terzo condono edilizio e che Ł anch’essa recepita dalla legge reg. Sicilia n. 15 del 2004 (Sez. 3, n. 45977 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 251341; nello stesso senso, Sez. 3, n. 30693 del 24/06/2021, Lacca, non mass.).
L’orientamento Ł stato condiviso dalla Corte costituzionale che, con la pronuncia n. 252 del 22/11/2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sicilia n. 19 del 2021, con la quale il legislatore regionale intendeva fornire l’interpretazione autentica dell’art. 24 della legge reg. Sicilia n. 15 del 2004, che ha recepito in Sicilia il terzo condono edilizio, previsto dall’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003. In forza di tale norma, la norma di recepimento siciliana doveva essere interpretata nel senso che Ł ammissibile la sanatoria delle opere abusive «realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta». La Corte costituzionale ha stabilito che tale norma non aveva carattere «interpretativo», bensì «innovativo» e contrastava con la norma statale, l’art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003, da considerarsi quale «grande riforma economico-sociale», contenente limitazioni alla condonabilità delle opere introdotte dallo Stato nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva nella materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), eccedendo così i limiti della potestà legislativa primaria della regione Siciliana sanciti dallo statuto di autonomia. Ne consegue che, per effetto della pronuncia del giudice delle leggi, deve ritenersi preclusa la possibilità di procedere, nella regione Sicilia, a condono degli abusi edilizi commessi in aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta (Sez. 3, n. 26660 del 17/06/2025, Militello, in corso di massimazione).
In ogni caso, va ribadito che, nella fattispecie, il giudice dell’esecuzione ha precisato trattarsi di opere di nuova costruzione (manufatto nuovo consistente nella realizzazione di una intera unità abitativa) accertate nel 2014 e realizzate su area sottoposta a vincolo, sicchŁ, per un verso, vengono in considerazione opere realizzate in epoca di gran lunga successiva al limite temporale entro il quale le opere abusive avrebbero dovuto essere ultimate per consentire l’attivazione della procedura di condono prevista dal d.l. n. 269 del 2003, e, per altro verso, non trattandosi di interventi di minore rilevanza di cui ai numeri 4, 5 e 6, dell’allegato 1 al d.l. n. 269 cit. (restauro o risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), le opere abusive accertate non erano in alcun modo suscettibili di sanatoria (Sez. 3, n. 40676 del 20/05/2016, COGNOME, Rv. 268079; nello stesso senso, Sez. 3, n. 44957 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277264, che ha ribadito che la normativa della Regione Sicilia non può essere interpretata in senso confliggente con la normativa statale sul condono edilizio di cui al d.l. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni in legge n. 326 del 2003, ed in particolare con quanto stabilito all’art. 32 di tale decreto legge, che prevede la condonabilità dei soli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato d.l.), nØ era conseguentemente applicabile la disciplina del silenzio assenso (Sez. 3, n. 26660 del 17/06/2025, Militello, cit.).
Del resto, in presenza di manufatti abusivi non sanati nØ condonati, gli interventi ulteriori, pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacchØ nemmeno la presentazione della domanda di condono autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI, 20/12/2022, n. 11110; Cons. Stato, Sez. VI, 13/11/2018, n. 6367).
E questo in continuità con il piø generale principio secondo cui l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l’edificio oggetto del procedimento che ha dato vita al titolo esecutivo ma anche ogni altro intervento, che, per la sua accessorietà all’opera abusiva, renda ineseguibile l’ordine
medesimo, non potendo consentirsi che eventuali ulteriori edificazioni possano, in qualche modo, ostacolare l’integrale attuazione dell’ordine giudiziale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, COGNOME; Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268831, fattispecie quest’ultima nella quale la Corte di legittimità ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale, in funzione di giudice dell’esecuzione, avesse respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell’ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell’abuso).
In altri termini, ciò che viene in rilievo Ł l’intangibilità dell’ordine di demolizione relativo al fabbricato nella sua interezza visto che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonchØ le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione (Sez. 3, n. 21797 del 27/04/2011, COGNOME Rv. 250389; conf., Sez. 3, n. 24066 del 09/05/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 690 dell’11/10/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 33648 del 08/07/2022, COGNOME, non mass.).
Ne consegue che la realizzazione dei lavori di completamento di un manufatto abusivo determina la radicale abusività dell’intero fabbricato, non solo della parte oggetto dei nuovi lavori. Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorchØ l’abuso non sia stato represso, costituisce ripresa dell’attività criminosa originaria, integrante un nuovo reato edilizio; ne consegue che, allorchØ l’opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive, il proprietario non acquista il diritto di ricostruirla o di ristrutturarla o manutenerla senza titolo abilitativo, giacchØ anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016, COGNOME, Rv. 267582 – 01; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, COGNOME, Rv. 232364 – 01; piø recentemente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282162 – 01; Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, COGNOME, Rv. 277349 – 01).
Il quinto motivo di ricorso Ł inammissibile.
L’ordine di demolizione del manufatto abusivo, infatti, ha carattere reale ed i cui effetti ricadono direttamente sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non Ł l’autore dell’abuso (Sez. 3, n. 9558 del 18/12/2024, dep. 2025, COGNOME; Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275850; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265540).
In proposito, Ł stato affermato che «l’ordine di demolizione ha come suo destinatario unicamente il condannato responsabile per l’abuso. Solo questi ha l’obbligo di attivarsi e di demolire il manufatto illecito ripristinando lo stato dei luoghi. Se egli non ottempera all’ordine il pubblico ministero (che) dovrà curare l’esecuzione della sentenza secondo le procedure di legge», mentre il proprietario rimasto estraneo al processo penale «non ha invece nessun obbligo di fare alcunchØ, ma solo quello di non opporsi – al pari di qualsiasi altro soggetto che abbia eventualmente sull’immobile un diritto reale o personale di godimento – alla esecuzione dell’ordine di demolizione curata dal pubblico ministero. Da ciò deriva che le spese della demolizione gravano ovviamente solo sul condannato, ma la misura – investendo il bene – finisce pur sempre per ricadere sul proprietario e sul titolare di altri diritti sul bene stesso, anche nell’ipotesi in cui nulla possa essere loro addebitato per quanto concerne l’attività abusiva» (così, in motivazione, Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, COGNOME, Rv. 245404; nello stesso senso, Sez. 3, n. 4011 del 18/12/2020, dep. 2021,
Campolungo, Rv. 280916).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue l’onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, l. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 11/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME