Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33531 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4   Num. 33531  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a VILLARICCA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 32483 /2023 1 Ia Terza Sezione penale di questa Corte di legittimità ha annullato con rinvio, per nuovo esame, l’ordinanza emessa il 7 ottobre 2022 dalla Corte di appello di AVV_NOTAIO con la quale era stato revocato l’ordine di demolizione emesso dallo stesso Ufficio con la sentenza dell’8 novembre 2000, irrevocabile il 18 febbraio 2001 pronunciata nei confronti di NOME COGNOME.
La Terza Sezione di questa Corte, accogliendo il ricorso proposto dal AVV_NOTAIO Generale presso la Corte di appello di AVV_NOTAIO, aveva demandato alla Corte territoriale di «verificare l’esistenza dei presupposti per la condonabilità delle opere, con particolare riguardo al momento di ultimazione delle opere e di conseguenza anche la legittimità dei permessi di costruire rilasciati dal Comune di Giugliano di Campania il 20.12.2018. Il Giudice del rinvio dovrà dunque esercitare il potere-dovere di controllo espressamente riconosciutogli dall’ordinamento; verifica che ha ad oggetto, per l’appunto, la legittimità e l’efficacia del tito abilitativo sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, l corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale».
La Corte di appello decidendo in sede di rinvio ha rigettato l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione prendendo atto dell’accertamento della polizia municipale del 12 giugno 2013, atto pubblico attestante che il manufatto era nelle medesime condizioni dell’ultima informativa di reato redatta il 12 settembre 1996 e, dunque, non ultimato. Ha così ritenuto provato che all’epoca in cui erano state presentate le domande di condono le opere non potevano essere condonate con conseguente illegittimità dei permessi rilasciati dal Comune di Giugliano di Campania il 20 dicembre 2018.
Avverso il provvedimento è stato proposto ricorso nell’interesse della COGNOME ,   affidato ad un unico motivo con cui si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 e dell’art. 32 dl. 269/2003.
Secondo la dife’ la motivazione del provvedimento impugnato si fonda solo sulla informativa della polizia municipale del 12.6.2013 ritenendo che l’opera non fosse ultimata alla data del 31 marzo 2003, come richiesto per l’accesso alla sanatoria straordinaria. Ad avviso della difesa, la Corte di appello non ha considerato che detta informativa, come si evince dalla sentenza della Terza
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Sezione penale, risulta priva di documentazione fotografica o altri elementi oggettivi attestanti lo stato di fatto dei luoghi né vi è alcuna descrizione del manufatto se non una generica dichiarazione che le opere risultano conformi all’informativa del 12 settembre 1996, senza specificare lo stato dei luoghi.
L’ordinanza impugnata avrebbe ritenuto non condonabile l’immobile trascurando che la normativa sul condono prevede che ai fini dell’ultimazione entro il 31 marzo 2003 è sufficiente che siano realizzate le strutture essenziali del manufatto. Secondo la difesa, l’ordinanza avrebbe ritenuto illegittimi i permessi in sanatoria rilasciati dal Comune il 20 dicembre 2018 sulla base della ritenuta insussistenza dei requisiti di condonabilità benché “i titoli abilitativi rilasciati sanatoria costituiscono atti aventi efficacia erga omnes e non possono essere disconosciuti in sede penale o esecutiva se non previa specifica impugnazione dinanzi al giudice amministrativo”.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte,,chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
E’ opportuno premettere, per meglio comprendere la vicenda, che la Corte di appello aveva revocato l’ordine di demolizione relativo ad un immobile abusivo sequestrato ad agosto 1996, oggetto di sentenza irrevocabile di condanna, sulla scorta di argomenti che questa Corte di Cassazione aveva ritenuto viziati.
In particolare / era stato evidenziato che l’ordine di demolizione contenuto nella pronuncia suddetta non aveva avuto esecuzione, almeno fino alla data del 27 settembre 2013 ossia x ben oltre il termine del 31 marzo 2003 entro il quale l’immobile avrebbe dovuto essere ultimato per accedere al condono ai sensi dell’art. 32, co. 25, d. I. 30 settembre 2003, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. La Terza Sezione ha censurato il passaggio del detto provvedimento laddove la Corte territoriale ha argomentato che la Polizia locale si era limitata ad attestare “genericamente” che le opere erano conformi all’ultima informativa di reato del 12 settembre 1996 e che si trattava di opere non ultimate e non condonabili, senza peraltro, allegare documentazione fotografica.
Proprio tale passaggio è stato ritenuto viziato dalla Terza Sezione penale di questa Corte che ha accolto il ricorso proposto dal AVV_NOTAIO Generale di AVV_NOTAIO nella misura in cui il provvedimento impugnato non ha chiarito perché «fosse necessaria l’allegazione di fotografie, a fronte di un atto pubblico il cui contenuto risultava privo di incertezze e rinviava comunque a precedenti atti di indagine,
secondo la lettura offertane dalla stessa Corte di appello» (sent. n. 32483 /2023 cit.). Analogamente è stato ritenuto viziato il passaggio in cui la Corte di appello aveva affermato che per verificare la legittimità delle concessioni in sanatoria rilasciate in esito al condono non sarebbe stato “dirimente” accertare se le opere fossero ultimate alla data di presentazione del condono stesso.
3. Il giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 627, co. 3, cod. proc. pen. in forz del quale i il giudice del rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, chiamato a verificare l’esistenza dei presupposti per la condonabilità delle opere e, di conseguenza, la legittimità dei permessi di costruire, per quanto sinteticamente ma con motivazione logica e congrua ha rigettato l’istanza volta ad ottenere la revoca dell’ohne di demolizione avanzata dalla ricorrente, ritenendo l’intervenuta 1″ctlei, decadenza da parte di costeidrraTe – rleors6 alla sanatoria straordinaria.
A tanto la Corte territoriale è pervenuta facendo riferimento alla informativa di reato da cui risultava che dalla data del 12.9.1996 alla data del 12.6.2013 non risultavano intervenute modifiche al manufatto e che lo stesso non poteva dirsi ultimato. In proposito vale la pena ricordare quanto messo in luce dalla Terza Sezione di questa Corte laddove è stato precisato che a fronte del sequestro dell’opera eseguito in data 9 agosto 1996 non emerge che il manufatto fosse stato I · a, dissequestrato e restituito all’avente diritto né che fosse Ai2Ezto – da vincoli tJLiLic amministrativi che neLsio~) . alla data di presentazione della domanda di condono, la “ultimazione”.
E’ stato, inoltre, evidenziato che se detta circostanza fosse confermata, non si comprenderebbe come il titolo abilitativo potesse essere rilasciato a fronte di un immobile nelle condizioni dell’agosto 1996 i confermate il 27 settembre 2000, ossia un “rustico strutturale costituito da travi e pilastri in cemento armato”.
Rimaneva del tutto neutra la circostanza che all’informativa non fossero allegate le foto, avuto riguardo alla natura di atti pubblici fidefacenti delle informative richiamate, atti ritenuti pienamente valutabili nell’ambito del procedimento in esame, come già evidenziato nella sentenza rescindente.
Solo per ragioni di completezza va ricordato il principio secondo cui la prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza una nuova condotta illecita a prescindere dall’entità dei lavori eseguiti, atteso che i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale strutturalmente ingeriscono (Sez. 3, n.30673 del 24/06/2021, Rv. 282162 – 01); che qualsiasi intervento effettuato sulla costruzione realizzata abusivamente costituisce una ripresa dell’attività criminosa originaria che integra un nuovo reato, ancorché l’abuso originario non sia stato represso (Sez. 3, n.
(u
48026 del 10/10/2019, Rv. 277349 – 01); che integra il reato contravvenzionale previsto dall’art. 44, col, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 la prosecuzione dell’attività edilizia vietata in vista dell’ultimazione dei lavori esegui successivamente al dissequestro e alla restituzione dell’immobile abusivo all’indagato, a prescindere dall’entità degli interventi eseguiti, anche nel caso in cui l’ultimazione dei lavori riguardi interventi che non necessitino del permesso di costruire (Sez. 3, n. 41079 del 20/09/2011, Rv. 251290 – 01).
3, La ritenuta mancanza di modifiche, come si è ritenuto di evincere dalla informativa del 2013 e che non sarebbero giustificate in alcun modo stante il sequestro dell’opera, elide ogni dubbio anche in ordine alla valutazione dei profili da ritenere rilevanti per considerare l’opera ultimata, dato che l’informativa indica in maniera precisa l’assenza di modifiche rispetto alla situazione originaria quindi la oggettiva impossibilità di considerare le opere ultimate.
Avverso tale provvedimento che indica le ragioni per le quali l’istanza non può trovare accoglimento in quanto inidonea in radice a porre in discussione l’efficacia del titolo esecutivo, la ricorrente oppone argomenti generici e privi di specifico riferimento alle ragioni della decisione tendenti a ribadire, ancora una volta, la mancanza di documentazione fotografica allegata alla informativa presa in esame o di altri elementi oggettivi attestanti lo stato dei luoghi. Il ricorso pertanto non supera il vaglio di ammissibilità per la mancanza di correlazioni tra le ragioni spiegate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione dato che non possono essere ignorate le esplicitazioni del giudice censurato senza incorrere nel vizio di aspecificità per violazione dell’art. 591, co. 1, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Rv. 260608 – 01).
Manifestamente infondato è anche l’ulteriore aspetto dedotto secondo cui la Corte dell’esecuzione avrebbe ritenuto illegittimi i provvedimenti concessori rilasciati in sanatoria dotati di efficacia erga omnes. Sul punto va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensì doverosa verifica dell’integrazione della fattispecie penale (Sez. 3, n. 30168 del 25/05/2017, Rv. 270252: Sez. 3, n. 37847 del 14/05/2013, Rv. 256971; Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Rv. 234469) e che tale potere/dovere deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria o condono, poiché il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del
reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Rv. 265034 – 01; Sez. 3, n. 26144 del 22/4/2008, Rv. 240728 – 01).
Questa Corte ha anche affermato che nel giudizio di esecuzione il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di «condono edilizio» non determina l’automatica revoca dell’ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l’obbligo di accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo de sua conformità alla legge (Sez. 3, 55028 del 9/11/2018, Rv. 274135 – 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Rv. 260972-01; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013, Rv. 256579-01). Se è vero che l’ordine di demolizione legittimamente impartito dal giudice con la sentenza di condanna per un reato edilizio è suscettibile di revoca quando esso risulti assolutamente Acompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all’immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l’abusività (Sez. 3, n. 47402 del 18/11/2014, Rv. 250973), è altrettanto vero che il giudice dell’esecuzione – investito dell’istanza di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva – ha il potere/dovere di verificare la legittimità e l’efficacia del tito abilitglio, sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 55028 del 10/12/2018, Rv. 274135 – 01; Sez. 3, n. 47402 del 18/11/2014, cit.; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013, Rv. 256679)
6. Alla inammissibilità del ricorso consegue, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in data 8 luglio 2025
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