Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32606 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32606 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Pozzuoli (Na) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 7/4/2025 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7/4/2025, la Corte di appello di Napoli rigettava l’istanza proposta da NOME COGNOME e volta ad ottenere la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione emesso dalla locale Procura Generale con riguardo ad una pronuncia irrevocabile di condanna.
Propone ricorso per cassazione l’COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
-violazione degli artt. 31, 38, I. 28 febbraio 1985, n. 47, 39, I. 23 dicembre 1994, n. 724; vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe erroneamente affermato che le tre richieste di permesso di costruire in sanatoria, relative alle tre
unità immobiliari in oggetto, costituirebbero l’effetto di un indebito frazionamento di un unico bene, effettuato al solo fine di rispettare i limiti di cubatura di cui a I. n. 724 del 1994:Questa affermazione sarebbe però errata, e non terrebbe conto del fatto che le tre unità sarebbero del tutto autonome e distinte, e che le tre domande sarebbero state proposte da differenti soggetti, ciascuno dei quali portatore di un proprio e specifico interesse (quanto alle due unità immobiliari, i figli del proprietario, titolari di un diritto personale di godimento in forz contratto di comodato gratuito; quanto all’officina, il titolare di questa, con attiv del tutto lecita esercitata negli anni, fino alla demolizione). I tre permessi costruire rilasciati nel 2014 – nn. 81, 82 (per le unità residenziali) e 83 (p l’officina) – sarebbero dunque legittimi e le relative, distinte domande sarebbero sostenute da un interesse giuridicamente rilevante, come peraltro desumibile dalla giurisprudenza dell’epoca e dalle circolari amministrative, che avrebbero creato nei richiedenti un legittimo affidamento, mai venuto meno in ragione della perdurante validità degli stessi provvedimenti concessori;
– la medesima violazione di legge, oltre a quella dell’art. 9 -bis, comma 1 – bis, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è poi contestata con riguardo ad una circostanza, contenuta in una memoria, che la Corte di appello non avrebbe esaminato. Ricevuto l’ordine di demolizione, la ricorrente avrebbe infatti provveduto parzialmente, quanto all’unità non residenziale ed oggetto del permesso di costruire n. 83; nell’occasione, l’amministrazione comunale avrebbe anche approvato il progetto di riqualificazione dell’immobile e certificato lo stato legittim dello stesso quanto alle due unità residenziali (di cui ai permessi nn. 81 e 82). L’omessa verifica di tale decisiva circostanza determinerebbe, dunque, una grave carenza motivazionale dell’ordinanza, tale da imporne l’annullamento;
– violazione dell’art. 2, I. 4 agosto 1955, n. 848, in relazione agli artt. 6 e CEDU. Si contesta il provvedimento alla luce dei principi convenzionali, con particolare riguardo alla violazione del diritto di proprietà, a fronte di permessi d costruire legittimamente rilasciati, mai annullati, e del successivo adempimento parziale in ordine all’unità di cui al permesso n. 83. È sottolineata, poi, la “ostinat bipolarità” dell’ordinamento che, da un lato, in sede giudiziaria, persevererebbe nel dar seguito all’ordine di demolizione e, dall’altro, in sede amministrativa, attesterebbe lo stato legittimo delle unità immobiliari oggetto dei permessi nn. 81 e 82. Un tale atteggiamento, peraltro, lederebbe il principio del legittimo affidamento del cittadino nei confronti dell’agire amministrativo, non potendosi ammettere una facoltà di “ripensamento” a distanza di molti anni; specie, peraltro, considerando che i permessi di costruire sarebbero stati rilasciati previo versamento degli oneri di legge, e con pagamento annuale di quanto dovuto a titolo di IMU. Procedere nei termini indicati dall’ordinanza, peraltro, comporterebbe
anche un’evidente lesione del diritto della persona, di cui all’art. 8 CEDU, ancora più grave alla luce del comportamento tenuto dagli istanti, che avrebbero fatto legittimo affidamento sui titoli edilizi acquisiti e sull’inerzia colpevole della Procu generale. Infine, si evidenzia che, per fatto notorio, l’intera area in esame è interessata da fenomeni di bradisismo, il che renderebbe ancora più difficoltoso trovare soluzioni abitative alternative; l’abbattimento dell’immobile, dunque, rappresenterebbe una soluzione contraria a ogni criterio di proporzione e ragionevolezza;
infine, si contesta la violazione dell’art. 173 cod. pen., in relazione all’art. CEDU, in quanto l’ordine di demolizione – sanzione penale – dovrebbe essere soggetto a prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riferimento al primo motivo, che concerne la legittimazione a presentare autonome istanze di condono quanto alle tre unità immobiliari in esame – istanze poi tradottesi nei permessi di costruire in sanatoria nn. 81, 82 e 83 del 2014 -, occorre evidenziare che lo stesso è stato correttamente giudicato inammissibile dalla Corte di appello, in quanto mera riproposizione di un’identica questione già affrontata – e risolta in termini negativi – con precedente ordinanza dello stesso Collegio, seguita da declaratoria di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione, con sentenza n. 36808 del 21 febbraio 2017.
4.1. Nell’occasione, questa Corte ha sottolineato che il provvedimento impugnato (Corte di appello di Napoli dell’8/3/2016) “fonda correttamente il rigetto dell’istanza sul consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in materia di condono edilizio disciplinato dalla legge 24 novembre 1994 n. 724, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità de sanatoria ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell’intero complesso (ex plurimis, Sez. 3, n. 20161 del 19/04/2005, Rv. 231643; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, dep. 17/03/2014, Rv. 259292; Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Rv. 269280). Tale orientamento trova applicazione anche nel caso di specie, in cui – come ben evidenziato dal giudice dell’esecuzione – la presentazione di più richieste di condono aveva lo scopo di parcellizzare artificiosamente la consistenza dell’abuso,
in presenza di una cubatura complessivamente superiore a quella consentita, trattandosi di uno stesso fabbricato nel quale contestualmente, dallo stesso soggetto, erano state realizzate due unità abitative e un’officina”.
4.3. Questo argomento, già sufficiente a qualificare come inammissibile l’identica questione poi riproposta, è stato, peraltro, ulteriormente rafforzato nell’ordinanza qui impugnata, con rilevanti e congrui elementi in fatto insuscettibili di essere riscontrati o contestati in questa sede.
4.4. In particolare, quanto alle due unità ad uso residenziale (permessi nn. 81 e 82), la Corte di appello ha sottolineato che le relative domande in sanatoria erano state presentate, rispettivamente, dalla ricorrente NOME COGNOME e da NOME COGNOME, quali figli del proprietario di entrambi gli appartamenti, NOME COGNOME. Ebbene, per quanto gli stessi si fossero allora qualificati come titolari di un diritto personale di godimento (comodatari), nessun elemento concreto aveva supportato tale dichiarazione; nessun rilievo, poi, poteva ricoprire il riferimento a future disposizioni testamentarie da parte dell’uomo (ossia, lasciare in eredità un appartamento a ciascuno dei figli), trattandosi, con ogni evidenza, di una circostanza meramente congetturale ed eventuale. Nessun rilievo, infine, poteva avere la donazione del 25/5/2015, effettuata dal padre nei confronti della sola NOME COGNOME: con indicazione in fatto priva di vizi, e non contestata nel ricorso, la Corte di appello ha infatti precisato che l’atto di donazione non dava conto di alcuna precedente disposizione in favore della donna, con riguardo al medesimo immobile, ed anzi ha sottolineato che – come da esplicito tenore dell’atto (punto 5, par. 4) – la stessa ricorrente aveva acquisito il possesso del bene soltanto in seguito alla donazione medesima.
4.5. In ordine, poi, all’officina sita al piano terra dell’immobile (oggetto d permesso di costruire in sanatoria n. 83), la Corte di appello ha evidenziato che il richiedente NOME COGNOME non aveva documentato la propria qualità di conduttore, né un titolo che lo legittimasse al possesso dell’immobile, così da non risultare (a sua volta) legittimato a presentare la domanda. Al riguardo, il ricorso contesta questa affermazione, sostenendo che l’istanza di permesso di costruire in sanatoria avrebbe contenuto un attestato di attività artigianale (dal che – in ottica ricorrente – il rapporto qualificato tra il richiedente COGNOME e l’immobil ma la questione non è comunque proponibile in questa sede in ragione della già richiamata inammissibilità della domanda, riproposta innanzi al giudice dell’esecuzione nei medesimi termini già rigettati nel 2017, con pronuncia poi convalidata da questa Corte.
4.6. Con riguardo, infine sul punto, all’unico elemento di novità proposto nel nuovo incidente ex art. 666 cod. proc. pen., quale la parziale, volontaria demolizione di alcune opere (oggetto del permesso di costruire n. 83/2014), la
motivazione del provvedimento impugnato risulta ancora del tutto solida ed adeguata, come tale immeritevole di censura.
4.7. In particolare, è stato richiamato il costante e condiviso indirizzo di legittimità in forza del quale, in tema di condono edilizio, la volumetria eccedente i limiti previsti dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai fini de condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge (per tutte, Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021, Medusa, Rv. 282163; tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 1234 del 7/11/2024, Pg/Perillo).
Il primo motivo di impugnazione, pertanto, è del tutto infondato.
5. Il ricorso, di seguito, risulta inammissibile anche sul secondo motivo proposto, che contesta al giudice dell’esecuzione di non aver esaminato la memoria integrativa prodotta, nella quale si sarebbe dato atto dello stato legittimo dell’immobile riconosciuto dall’amministrazione comunale, quanto alle opere di cui ai permessi nn. 81 e 82 (le due unità residenziali) in seguito alla autodemolizione parziale già richiamata (ex permesso n. 83).
5.1. La questione, infatti, risulta interamente assorbita nel precedente motivo, in quanto un’eventuale attestazione amministrativa nei termini indicati dal ricorso non consentirebbe comunque di ritenere sanata un’opera abusiva, in contrasto con le prescrizioni di cui alla I. n. 724 del 1994. La già richiamata inammissibilità dell questione, in assenza di elementi di novità sul punto rispetto ai precedenti provvedimenti giudiziari, rende peraltro parimenti inammissibile anche tale censura, non riscontrandosi in sé alcun collegamento tra l’intervenuta demolizione di un immobile abusivo e l’eventuale legittimazione della sua parte restante, illecita nei medesimi termini e non sanata da provvedimenti amministrativi viziati (a prescindere, peraltro, dalla loro formale vigenza, in nulla rilevante nel procedimento in questione).
6. Il ricorso, di seguito, risulta manifestamente infondato anche con riguardo al terzo motivo, che denuncia la violazione del principio del legittimo affidamento, della non contraddittorietà dell’ordinamento giuridico e della proporzionalità della sanzione, con riguardo agli artt. 6 e 8 CEDU.
6.1. La Corte di appello, pronunciandosi sul tema, ha sottolineato il carattere evidentemente teorico della questione proposta, che in alcun modo tien conto dell’interesse pubblico all’ordinato sviluppo del territorio ed alla eliminazione d ogni intervento di segno contrario che non venga legittimamente sanato. Ancora, e con specifico riferimento ai principi convenzionali citati, l’ordinanza impugnata ha sottolineato la piena consapevolezza della ricorrente quanto al carattere illecito
degli abusi eseguiti, al punto che i relativi lavori erano stati più volte bloccati provvedimenti di sequestro; ciò, tuttavia, non aveva avuto alcun effetto sull’operato della COGNOME, che aveva proseguito a più riprese tali opere contra legem. Ancora, e con particolare significato nell’ottica dell’invocato principio di proporzionalità, la Corte di appello ha evidenziato che, a fronte di una sentenza di condanna passata in giudicato il 12/5/1998, la ricorrente non aveva adottato alcuna documentata iniziativa per procurarsi una soluzione abitativa alternativa (quel che, peraltro, non è stato mai neppure dedotto), non potendosi ritenere sufficiente, al riguardo, la presentazione di una domanda di sanatoria, che i giudici di merito hanno ritenuto sostenuta da argomenti viziati, quale il carattere distinto delle tre unità immobiliari.
6.2. Proprio in ragione di ciò, e dunque radicando in una condotta dell’COGNOME medesima l’esclusiva causa del carattere illegittimo dei permessi di costruire rilasciati, non è dunque consentito in questa sede richiamare il principio dell’affidamento nell’operato della pubblica amministrazione, che risulta legittimo soltanto quando sostenuto da buona fede qualificata; ebbene, entrambe le ordinanze di appello hanno negato un tale atteggiamento soggettivo, con adeguato e non censurabile argomento, ribadendo l’artificioso ed illegittimo frazionamento dell’unica opera abusiva, con volumetria ben superiore ai 750 mc consentiti.
6.3. Negli stessi termini, non può essere accolta neppure la colorita censura di “ostinata bipolarità” che il ricorso contesta all’amministrazione pubblica, sulla base di un supposto contrasto tra l’operato giudiziario e quello amministrativo. Al riguardo, basti qui ribadire che, ai fini della revoca dell’ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell’esecuzione deve verificare la legittimità del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo i sanatoria, la tempestività della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali temporali per la sanabilità dell’opera e, ove l’immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonché la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili (così Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, COGNOME, Rv. 277665; in termini del tutto sovrapponibili, cfr. Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, Rv. 243905, e Sez. 3, n. 1104 del 25/11/2004, COGNOME, Rv. 230815).
6.4. Infine sul terzo motivo, il Collegio evidenzia l’inammissibilità del riferimento all’attuale situazione geologica nell’area dei Campi Flegrei, ed al relativo fenomeno del bradisismo (che renderebbe notevolmente difficile trovare soluzioni abitative alternative), trattandosi di questione di mero fatto inammissibile in questa sede. E fermo restando, peraltro, che proprio i recenti e
ripetuti fenomeni sismici nell’area costituiscono argomento evidentemente contrario ad ogni ipotetica, legittima permanenza in un immobile costruito come radicalmente abusivo, in violazione di ogni principio di sicurezza ed in sicuro spregio dei canoni convenzionali richiamati nel ricorso.
L’impugnazione, infine, risulta manifestamente infondata anche sull’ultima censura, che qualifica l’ordine di esecuzione come sanzione penale, come tale soggetta a prescrizione.
Al riguardo, basti ribadire che, in materia di reati edilizi, l’ordine demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena” nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU (tra le molte, Sez. 3, n. 3979 del 21/9/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 275850); al punto che è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa – che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finali punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l’autore dell’abuso – non consentono di ritenerla “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a·quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all’art. 117 Cost (Sez. 3, n. 41475 del 3/5/2016, Porcu, Rv. 267977). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, l’11 settembre 2025
Deposia in Ca.Licelieria