Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28980 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28980 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
nei confronti di:
NOME NOMECOGNOME nata a Napoli il 11 febbraio 2004;
avverso la ordinanza n. 731/24 SIGE del Tribunale di Napoli del 5 novembre 2024;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata;
letta, altresì, la memoria del 19 marzo 2025 redatta nell’interesse della resistente, dall’avv.ssa NOME COGNOME del foro di Napoli, con la quale si è chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, resa il 5 novembre 2024, il Tribunale di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato l’ordine di demolizione emesso con sentenze n. 207/95 e 89/97 accogliendo la istanza presentata da NOMECOGNOMENOME COGNOME
Avverso l’ordinanza sopra indicata ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, che ha denunciato, con articolato motivo, la violazione di legge sostanziale e il vizio di motivazione.
Il ricorso premette e ricostruisce la vicenda sottostante esponendo che: a) con le sentenze n. 207/95 e 89/97 emesse nei confronti di COGNOME Luca, soggetto condannato con sentenza passata in giudicato, veniva altresì disposta la demolizione delle opere abusive contestate per aver, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, violando per ben 17 volte i sigilli apposti dalla Pg, realizzato un immobile allo stato grezzo senza titolo e in violazione delle discipline tecniche inerenti un fabbricato in cemento armato posto in zona di rilievo sismico; b) l’intero manufatto, oggetto delle sentenze di condanna di cui alla procedura di demolizione, suddiviso in piano cantinato e otto piani fuori terra, era stato frazionato in 24 unità immobiliari per le quali erano state presentate 14 istanze di condono ai sensi della L. 724/94, tutte depositate in data 10 febbraio 1995, in numero di due unità per istanza, sempre a comporre cubature inferiori ai 750 mc, da soggetti estranei all’abuso, nella qualità di promittenti acquirenti, eccezion fatta per le unità immobiliari poste al piano terra e al primo piano, le cui istanze erano a nome del COGNOME; c) tra il 1996 e il 1997 tutti i promissari acquirenti avevano rinunciato all’acquisto e COGNOME NOME, unico proprietario, era subentrato nella titolarità delle istanze di condono pendenti; d) NOMECOGNOMENOME era divenuta titolare dell’immobile per averlo acquistato dai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali lo avevano a loro volta acquistato in data 20 luglio 1998, dal COGNOME, dai coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME, in data 28 dicembre 2022; e) l’unità abitativa era stata commercializzata sulla base di un’istanza di condono del 10 febbraio 1995, depositata da un soggetto estraneo e non in rapporto col bene, tale COGNOME COGNOME in qualità di promittente acquirente di due appartamenti, istanza di condono prot. n. 2456 del 10/2/1995, ancora pendente al momento dell’acquisto assieme a tutte le altre domande di condono riguardanti, con le medesime modalità anche soggettive (ossia domande presentate da terzi promissari acquirenti, estranei
all’abuso); f) il giudice dell’esecuzione, con la citata ordinanza impugnata aveva revocato l’ordine di demolizione di cui alla RESA 66/2005, ritenendo che l’ordine di demolizione si poneva in contrasto in particolare con il principio di proporzionalità ledendo “l’affidamento, la libertà di autodeterminazione e il diritto di abitazione dei ricorrenti”.
Venendo quindi alle censure svolte dal ricorrente, deve darsi atto che, avendo il ricorrente Pubblico Ministero, proposto numerosi ricorsi avverso ad altrettante ordinanze di eguale contenuto del Giudice dell’esecuzione di Napoli, le censure svolte, di eguale contenuto nei diversi ricorsi, sono così sintetizzate: a) il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con consolidati principi di legittimità fatti propri da quattro ordinanze del Tribunale in relazione al medesimo ordine di demolizione che avevano ritenuto i provvedimenti di condono illegittimi e, conseguentemente, confermato l’ordine di demolizione, da cui il contrasto con il precedente giudicato; b) il permesso rilasciato in data 4 4:”-L – 1 2049, qui in rilievo e della unità immobiliare di riferimento sarebbe illegittimo in quanto: rilasciato su una porzione di un immobile dalle dimensioni maggiori (21.000 mc.); rilasciato in carenza dell’istanza di condono per gli spazi comuni e per l’intero piano interrato e nonostante che per il quarto piano l’istanza non fosse stata accolta per carenza di documentazione e non fosse stata inoltrata per il seminterrato; si sarebbe dovuto tenere in considerazione non già la volumetria delle porzioni di edificio oggetto delle singole istanze ma quella complessiva del manufatto, pari a mc. 21000; c) in relazione alla ritenuta, dal giudice, incompatibilità della demolizione dell’edificio con il principio di proporzionalità viene dedotto che il principio di proporzionalità, come ricostruito dal giudice dell’esecuzione, contrasterebbe con la stessa sentenza del 14 settembre 2024 della CEDU che esclude la natura dell’ordine di demolizione quale sanzione, qualificandola piuttosto come misura ripristinatoria, evidenziando anche che si tratta di misura non grave, atteso che incide sul diritto di proprietà e solo in modo indiretto su diritti di natura personale. In particolare, si contesta la tesi del tribunale per il quale l’interesse dello Stato al ripristino della situazione di fatto antecedente alla realizzazione dell’opera abusiva sarebbe recessivo sia rispetto ad interessi di natura personale, laddove l’ordine di demolizione compromettesse irreparabilmente i diritti del soggetto che disponga dell’opera abusiva sia rispetto ad interessi di natura patrimoniale nel caso in cui la situazione di pregressa indigenza o sopravvenuta a causa della perdita dell’opera abusiva incidesse sulla sfera personale del terzo sub specie di impossibilità di risarcimento del danno patrimoniale nei confronti dell’autore dell’abuso oppure del comune rilasciante titoli in sanatoria.
Si contesta anche la legittimazione, nel quadro della prospettiva elaborata dal giudice dell’esecuzione, persino del non esercizio dei potere demolitorio, sull’assunto per cui i diritti personali prevarrebbero sull’interesse pubblico e che l’art. 39 della legge n. 724 del 1994 verrebbe a legittimare la domanda di condono di chi sia legato alla singola unità immobiliare, con la conseguenza che sarebbe irrilevante la circostanza per cui unico sia il soggetto titolare della proprietà del bene. Si osserva che la predetta complessiva impostazione, che risentirebbe anche di una prospettiva per cui l’interesse pubblico sarebbe assente in caso di conformità dell’opera abusiva alla disciplina urbanistica attuale, sarebbe stata superata altresì dalla pronuncia della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017, laddove ha sostenuto la natura vincolata dell’ordine di demolizione, ancorata al ricorrere dei relativi presupposti di fatto e di diritto, tale da non richiedere motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico diverse da quelle riguardanti il ripristino della legalità violata.
L’accoglimento della richiesta di revoca da parte del Tribunale sarebbe avvenuto senza tener conto del fatto che gli autori della domanda di condono erano differenti da coloro che avevano ottenuto il provvedimento di condono; lo stesso provvedimento di condono non sarebbe stato rilasciato in ordine alla singola unità immobiliare bensì accorpandone due per piano fino al limite dei 750 mc, né il giudice avrebbe precisato il momento in cui verrebbe in rilievo l’interesse giuridicamente rilevante connesso alla singola unità immobiliare, ossia se corrisponderebbe al momento del rilascio del provvedimento di condono oppure al momento della presentazione della domanda di condono e al momento della ultimazione della costruzione. Piuttosto, il momento di riferimento, alla luce del dettato normativo, coinciderebbe con il tempo dell’ultimazione della costruzione al 31 dicembre 1993, quale requisito necessario per la presentazione della domanda di condono.
Si aggiunge che la GLYPH legittimazione al condono, GLYPH pur ampia soggettivamente, riguarderebbe, comunque, soggetti diversi rispetto al proprietario ma interessati alla presentazione della domanda di condono in ragione del correlato effetto estintivo del reato. E si conclude osservando che nel caso di una unica costruzione, per la quale non sia stata operata alcuna divisione a monte della costruzione, né costituito alcun distinto diritto di proprietà su una porzione separata, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati ex artt. 6 e 38, comma 5, della legge n. 47 del 1985 come richiamati dall’art. 39, comma 6, della legge n. 724 del 1994 integrerebbe un artificioso frazionamento dell’immobile e della domanda, da ricondursi invece ad unità in capo ad un unico centro
sostanziale di interessi, per evitare l’elusione del limite legale di volumetria dell’opera condonabile. Tale sarebbe il caso di specie, con un immobile unico, realizzato su area dì proprietà del Fusco, e condivisione degli spazi comuni tutti rimasti al Fusco. La perizia di idoneità statica sarebbe unica e i versamenti delle oblazioni sarebbero stati realizzati tutti dal Fusco e le eventuali integrazioni erano state poste, alla luce dei contratti stipulati, tutte a carico del Fusco.
Da qui la sussistenza di un unico interesse giuridicamente rilevante, dato essenziale al fine del condono, tanto che per la giurisprudenza di legittimità, in caso dì comproprietà, ciò che rileva è il rapporto tra il bene e il diritto del quale è oggetto e non tra il bene e la pluralità di persone che ne possano disporre. Il giudice, quindi, avrebbe trascurato la necessaria considerazione unitaria dell’immobile e avrebbe ancorato la legittimazione alla presentazione della domanda di condono alla autonomia della unità immobiliare, affidata alla discrezionalità del proprietario/committente.
In questa prospettiva, si insiste sulla assenza di una divisione ovvero di distinti diritti di proprietà su singole porzioni del fabbricato e si evidenzia come le stesse compravendite sarebbero state effettuate con il regime dell’Iva agevolata del 4% spettante alle compravendite da imprese costruttrici quale quella del Fusco.
Ritornando al tema del principio di proporzionalità, si rimarca che esso presuppone la cogenza dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva e la sua funzione ripristinatoria, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione. Esso, si osserva, sì “frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione pe ragioni estranee all’ordine stesso” e i fatti addotti a sostegno devono essere allegati e accertati. In essi non rientrano la circostanza che l’immobile abusivo sia unico domicilio dell’interessato né assume rilievo lo stato di necessità. E la valutazione dell’interesse pubblico sotteso all’ordine di demolizione rispetto al diritto alla vita privata e familiare risponde a criteri guida da rispettarsi senza alcuna discrezionalità del giudice.
Si aggiunge che la disciplina sul condono, sconosciuta al diritto europeo, integra una particolare forma di autotutela amministrativa rispetto all’opera abusiva, che risponde a criteri precisi di tipo temporale e volumetrico.
Si aggiunge, poi, che l’istante non avrebbe dato prova della lesione di interessi a sostegno della tutela stabilita dal tribunale e, nel caso di specie, non vi sarebbe violazione dell’art. 8 della CEDU, non essendo adibita l’unità immobiliare ad abituale dimora del ricorrente che risiederebbe altrove. Non si sarebbero allegati interessi differenti da quello patrimoniale e dello stato
d’indigenza o di precarietà economico sociale, tali da impedire altra soluzione abitativa.
Si osserva, quanto alla giustificazione della ordinanza per cui il diritto all’abitazione sarebbe violato per il pregiudizio arrecato alla perdita della proprietà o dalla impossibilità di ottenere un risarcimento, che questi ultimi profili sarebbero in contrasto con la Convenzione Europea, atteso che sarebbero tutelati dal nostro ordinamento con possibilità risarcitorie anche nei confronti dell’ente comunale. L’istante poi, sarebbe stato consapevole della abusività dell’opera, atteso che al momento dell’acquisto era pendente la domanda di condono.
Si aggiunge inoltre che nel bilanciamento degli interessi contrapposti viene anche in rilievo l’esigenza di assicurare la permanenza degli individui in ambienti salubri e in manufatti in grado di garantire condizioni di sicurezza nel caso di calamità; si rimarca l’obiettiva incertezza esistente in ordine alla conformità dell’edificio, che consta di 8 piani fuori terra e di un piano cantinato, alla normativa antisismica e a quella sui conglomerati cementizi, essendo stato realizzato in zona sismica: “in mancanza di controlli antisismici e in assenza di un progetto di adeguamento sismico”; “in assenza del deposito dei calcoli strutturali richiesti per le costruzioni in cemento armato”.
Con una ampia memoria del 19 marzo 2025 la difesa del COGNOME si è opposta all’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Va preliminarmente dato atto che il presente ricorso si inserisce in un filone di ricorsi, di eguale contenuto, avverso distinte ordinanza del giudice dell’esecuzione che riguardano la medesima vicenda fattuale scaturita dall’edificazione di un palazzo di diversi piani, in assenza di titolo edilizio, il successivo frazionamento e la successiva vendita delle unità abitative con conseguente rilascio di un permesso in sanatoria cui aveva fatto seguito l’incidente di esecuzione, promosso da vari acquirenti che avevano chiesto la revoca dell’ordine di demolizione, accolta dal Tribunale di Napoli, con il provvedimento ora impugnato di revoca dell’ordine di demolizione.
Va ancora dato atto che questa Corte di legittimità ha già deciso un nutrito gruppo di ricorsi del Pubblico ministero con sentenze emessa da questa III Sezione penale alla udienza del 19 marzo 2025.
Stante l’identità delle censure svolte dal ricorrente, il Collegio richiama in toto la citata pronuncia e intende conformarsi ai principi enunciati in tale decisione che ripercorre e rimanda agli indirizzi interpretativi consolidati nella giurisprudenza di legittimità che sono stati disattesi dal Tribunale di Napoli anche nel caso in scrutinio.
Nel caso in esame NOME COGNOME aveva acquistato la proprietà dì una unìtà immobiliari completa di pertinenze, con atto del 28 dicembre 2022da soggetti anche mediatamente aventi causa di COGNOME NOME; l’istanza di condono del 10 febbraio 1995 era stata depositata da un soggetto estraneo e non in rapporto col bene, tale NOME COGNOME in qualità di promittente acquirente, ed era ancora pendente al momento dell’acquisto.
In data 23 5 , 1, 5, t , m41 .0r 7 era stato rilasciato il permesso a costruire in sanatoria.
L’ordinanza impugnata non solo non sì è attenuta ai princìpi dì diritto enunciati nelle sentenze di questa Sezione, in particolare la n. 18467 del 2025, sulla natura vincolante, obbligatoria a carattere reale dell’ordine di demolizione, ma ha disatteso anche quelli in punto validità e legittimità del condono, da operarsi alla luce dei principi richiamati nella citata sentenza, avendo giudicato della legittimità del provvedimento in sanatoria mediante acritica sussunzione del mero dato formale di una presentazione di singole domande in un particolare contesto nel quale la maggioranza di queste era stata presentata da parte di autoqualificati promissari acquirenti (per i vari appartamenti dell’unico immobile), con tutte le relative conseguenze sul concreto quanto legittimo svolgimento della procedura di sanatoria e dei suoi adempimenti anche in termini soggettivi (imputabili piuttosto al Fusco) cosicché, piuttosto, paiono emergere una pluralità di elementi con cui doversi confrontare, sintomatici, allo stato degli atti qui disponibili, della non peregrina ipotesi del ricorrente circa la natura fraudolenta del frazionamento procedimentale del manufatto, ai fini del rilascio dei provvedimenti sananti con tutte le conseguenze in tema di poteri del giudice penale di valutazione dell’esistenza di un provvedimento incompatibile con l’ordine di demolizione, unico caso a cui consegue la revoca.
L’ordinanza impugnata, a fronte degli elementi di fatto, neppure avrebbe tratto le dovute conseguenze sulla invocata buona fede dei terzi circa la abusività delle opere, posto anche che, giova sottolinearlo, i relativi acquisti sono anteriori al momento di ritenuta definizione del condono.
Quanto poi alla tesi del giudice, anche sostenuta nella memoria difensiva del COGNOME, secondo la quale la formazione del titolo sanante, sia per il decorso del termine in assenza di provvedimenti dell’autorità amministrativa, sia per il rilascio successivo del formale provvedimento di condono, determinerebbe la caducazíone dell’ordine di demolizione, senza la possibilità per il giudice penale di sindacare la legittimità del titolo, deve ribadirsi in via generale l’indirizzo per cui il legislatore ha accolto la tesi secondo cui il provvedimento formatosi per silenzio assenso postula la liquidazione definitiva, da parte del Comune, dell’oblazione e l’accertamento della possibilità dell’opera di conseguire la sanatoria (cfr. in motivazione, Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 dicembre 2007, n. 4749 dep. del 2008, rv 238787).
Analogamente, quanto al cd. terzo condono, e con principio che deve ritenersi valevole in via generale, si è stabilito che il silenzio-assenso, ai fini della condonabilità dell’opera abusivamente realizzata ex art. 32, comma 37, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, con legge n. 326 del 2003, si forma a condizione che vi sia rispondenza della domanda di condono edilizio ai requisiti previsti dalla legge per il prodursi dell’effetto sanante. (Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 ottobre 2022, n. 727 dep. del 2023, rv 284055), situazione non ricorrente nel caso.
Infine, anche in relazione al principio di proporzionalità, invocato dal giudice per sostenere la scelta qui in valutazione, di revocare l’ordine di demolizione non appare applicabile alla luce dei rilevi di sistema qui esemplificati e della correlata vincolatività dell’ordine di demolizione, come sopra ribadito. A ciò si deve aggiungere, come affermato dalla citata sentenza n. 18467 del 2025, che “in sede di adozione e tantomeno di esecuzione dell’ordine medesimo, se applicato nel quadro di una nuova rivisitazione dell’opera abusiva rispetto ad un contesto urbanistico rinnovato: il giudizio sull’opera, sulla relativa responsabilità, e sul suo assetto urbanistico, è affidato al processo ed al suo contraddittorio, di cui l’ordine di demolizione costituisce un possibile esito obbligatorio, senza alcuna possibilità di successivo riesame di tali parametri di giudizio, che in quanto tali definiscono profili e presupposti intangibili del titolo esecutivo” e “Non trova fondamento neppure la ulteriore tesi della revoca dell’ordine di demolizione in ragione di un principio di un “proporzionalità in senso stretto” che impedirebbe la demolizione dell’opera abusiva per evitare il pregiudizio agli interessi dei ricorrenti agenti in quella sede esecutiva (sub specie del diritto alla abitazione), siccome soggetti estranei all’autore del reato che avrebbero
confidato sulla legittimità del condono formatosi per silentium
e poi
“confermato”, così da avere anche impegnato risorse finanziarie nell’acquisto, facendo in tal modo affidamento sulla legittimità dell’opera e rischiando di
essere altresì pregiudicati in diritti di natura personale quali la libertà
autodeterminazione”.
In tale ambito deve ribadirsi che il sistema delineato, in conclusione, affida le tutele dei terzo proprietario dì buona fede dell’opera abusiva agli
strumenti civilistici, lasciando il principio di proporzionalità, che tuttavia non destinato ad inficiarlo in via definitiva e che, nel prospettare la valutazione de
predetto principio di proporzionalità in rapporto al diritto all’abitazione, da un parte non ne prospettano una revoca definitiva (incompatibile con il quadro
normativo e giurisprudenziale sopra delineato) bensì, al più, una sospensione, in sede esecutiva, e dall’altra non definiscono diritti, tantomeno all
abitazione, di assoluta prevalenza rispetto alla demolizione.
Anche in punto applicazione del principio di proporzionalità, quale canone di legittimità dell’uso del potere di demolizione e parametro incidente quasi di per sé, l’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione dello ius receptum.
L’ordinanza va pertanto annullata con rinvio al Tribunale di Napoli.
PQM
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli / GLYPH Vt1/41 e C 2/500 n AAN L i4A GLYPH
Così deciso in Roma, il 1 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente