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Ordine di demolizione: illegittimo il condono frazionato

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un tribunale che revocava un ordine di demolizione per un vasto immobile abusivo. La revoca era basata su un permesso in sanatoria (condono) ottenuto tramite un frazionamento artificioso dell’edificio in più unità, con istanze presentate da finti promissari acquirenti per eludere i limiti volumetrici di legge. La Suprema Corte ha stabilito che l’ordine di demolizione, avendo natura reale e ripristinatoria, non può essere annullato da un condono palesemente illegittimo. Il giudice dell’esecuzione ha il potere e il dovere di verificare la legittimità sostanziale del titolo in sanatoria, inclusa la genuinità delle istanze e il rispetto dei limiti normativi, non potendosi fermare a un controllo meramente formale.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine di demolizione: la Cassazione blocca la revoca basata su un condono fraudolento

L’ordine di demolizione per un immobile abusivo è uno strumento potente per il ripristino della legalità, ma cosa succede quando, anni dopo, interviene un permesso in sanatoria? Con la sentenza n. 22480 del 2025, la Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di condono edilizio ottenuto tramite un frazionamento artificioso di un grande immobile, stabilendo principi ferrei sulla non revocabilità dell’ordine demolitorio in presenza di un titolo amministrativo palesemente illegittimo.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine da due sentenze penali che disponevano la demolizione di un grande edificio abusivo, composto da un piano cantinato e otto piani fuori terra. Per aggirare i limiti volumetrici previsti dalla legge sul condono (750 mc per istanza), l’immobile era stato frazionato in 24 unità immobiliari, per le quali erano state presentate 14 distinte domande di sanatoria. Tali domande erano state depositate da soggetti qualificatisi come ‘promittenti acquirenti’, i quali, tuttavia, avevano tutti rinunciato all’acquisto poco dopo, lasciando che il costruttore originario, unico proprietario, subentrasse nella titolarità delle istanze pendenti.

Anni dopo, un soggetto che aveva acquistato una delle unità immobiliari otteneva dal Comune un permesso di costruire in sanatoria. Sulla base di questo titolo, il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava l’ordine di demolizione precedentemente emesso, ritenendo che il condono e la successiva destinazione residenziale dell’area avessero fatto venir meno l’interesse pubblico all’abbattimento. Contro questa decisione, la Procura della Repubblica proponeva ricorso per Cassazione, denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione.

L’Ordine di Demolizione e la Verifica del Giudice

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. La decisione si fonda su una disamina approfondita della natura dell’ordine di demolizione e dei poteri del giudice dell’esecuzione.

Il punto centrale della sentenza è che il giudice dell’esecuzione, di fronte a una richiesta di revoca di un ordine demolitorio basata su un intervenuto condono, non può limitarsi a un controllo meramente formale del titolo amministrativo. Al contrario, ha il potere e il dovere di effettuare una verifica sostanziale sulla legittimità del permesso in sanatoria. Questo controllo include l’accertamento di tutti i presupposti di fatto e di diritto richiesti dalla legge, quali:

* La legittimazione del soggetto che ha presentato la domanda di condono.
* Il rispetto dei limiti volumetrici.
* La tempestività della presentazione.
* L’assenza di cause ostative.

Il Frazionamento Artificioso come Pratica Elusiva

Nel caso specifico, la Cassazione ha evidenziato le numerose ‘anomalie allarmanti’ che avrebbero dovuto insospettire il giudice di merito. La presentazione di domande multiple da parte di finti promissari acquirenti, che poi si sono ritirati quasi simultaneamente, è stata considerata un chiaro stratagemma per eludere il limite legale di cubatura. L’edificio, essendo un complesso unitario, avrebbe dovuto essere oggetto di un’unica istanza di condono. Il frazionamento procedimentale è stato ritenuto una pratica fraudolenta, mirata a ottenere un risultato contra legem.

La Corte ha ribadito che, per essere legittimati a presentare domanda di condono, i promissari acquirenti devono avere un interesse qualificato, serio e reale, che va oltre il semplice contratto preliminare, come ad esempio la detenzione e il possesso effettivo dell’immobile. Nel caso di specie, tale interesse era del tutto assente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha chiarito diversi principi fondamentali. In primo luogo, l’ordine di demolizione non è una sanzione penale, ma una misura amministrativa di tipo ripristinatorio. Il suo scopo è eliminare le conseguenze di un abuso edilizio e ripristinare l’assetto urbanistico violato. Proprio per questa sua natura ‘reale’, legata all’immobile (la res abusiva), esso produce effetti nei confronti di chiunque sia proprietario del bene, anche se estraneo alla commissione dell’abuso originario. L’acquirente di un immobile abusivo, quindi, subisce le conseguenze dell’ordine, salva la sua facoltà di rivalersi civilmente contro il venditore.

In secondo luogo, il principio di proporzionalità, spesso invocato per paralizzare le demolizioni, non può essere utilizzato per legittimare in via definitiva una situazione di illegalità. Sebbene la giurisprudenza, anche europea, richieda un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla demolizione e il diritto all’abitazione, tale bilanciamento non può condurre alla revoca dell’ordine, ma al massimo a una sua temporanea sospensione per consentire all’interessato di trovare soluzioni alternative. Inoltre, questo principio è stato ritenuto ancor meno applicabile al caso di specie, dove l’immobile era destinato ad attività commerciale e non a residenza principale di un nucleo familiare in stato di necessità.

Infine, la Corte ha smontato la tesi del ‘silenzio assenso’, chiarendo che un provvedimento amministrativo non può formarsi validamente se l’istanza è radicalmente ‘inconfigurabile’ dal punto di vista giuridico, come nel caso di una domanda presentata da un soggetto non legittimato o palesemente non conforme ai limiti di legge.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito contro i tentativi di sanare abusi edilizi di vasta portata attraverso pratiche elusive e fraudolente. Le conclusioni che se ne possono trarre sono nette:

1. Potere di Controllo del Giudice: Il giudice dell’esecuzione non è un mero notaio degli atti amministrativi, ma ha un ruolo attivo nel verificare la legalità sostanziale dei condoni che dovrebbero paralizzare un ordine giudiziale definitivo.
2. Natura Inderogabile dell’Ordine di Demolizione: L’ordine di demolizione è uno strumento robusto che non perde efficacia a fronte di titoli amministrativi palesemente illegittimi. La sua natura reale lo rende opponibile a tutti i successivi proprietari del bene.
3. Rischio per l’Acquirente: Chi acquista un immobile deve prestare la massima attenzione alla sua conformità urbanistica. Confidare in un condono, soprattutto se ottenuto con modalità anomale, è estremamente rischioso, poiché l’ordine di abbattimento può essere eseguito anche a distanza di molti anni.

Un ordine di demolizione può essere revocato se per l’immobile abusivo viene rilasciato un permesso in sanatoria (condono)?
No, non automaticamente. La sentenza chiarisce che il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di verificare la legittimità sostanziale del condono. Se il permesso in sanatoria risulta ottenuto in modo fraudolento o in assenza dei requisiti di legge (es. superando i limiti di volume), è illegittimo e non può giustificare la revoca dell’ordine di demolizione.

L’ordine di demolizione è efficace anche nei confronti di chi ha acquistato l’immobile anni dopo la sua costruzione e non è responsabile dell’abuso?
Sì. La Corte ribadisce che l’ordine di demolizione ha natura reale, cioè è legato all’immobile stesso (res abusiva) e non alla persona del responsabile. Di conseguenza, si trasferisce a tutti i successivi proprietari, i quali sono tenuti a subirne l’esecuzione, salva la possibilità di agire in sede civile per ottenere il risarcimento dal venditore.

È legale frazionare un grande edificio abusivo in tante piccole unità per presentare domande di condono separate e rientrare così nei limiti di cubatura consentiti dalla legge?
No, la Corte di Cassazione considera questa pratica uno stratagemma elusivo e fraudolento. Se l’edificio costituisce un complesso unitario riconducibile a un unico centro di interessi, le diverse istanze devono essere considerate unitariamente. Un condono ottenuto attraverso un frazionamento artificioso è illegittimo e non produce l’effetto di sanare l’abuso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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