Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30954 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30954 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nata a Paternò (Ct) il DATA_NASCITA NOME NOME, nato a Paternò (Ct) il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/3/2024 del Tribunale di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18/3/2024, il Tribunale di Catania dichiarava l’inefficacia, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, dell’ordine di demolizione disposto con riguardo alla sentenza emessa dallo stesso Ufficio, sezione distaccata di Belpasso, il 16/7/2010, irrevocabile il 30/9/2010, rimettendo in termini il Pubblico Minister per notificare l’ingiunzione a demolire anche nei confronti di tali soggetti.
Propongono congiunto ricorso per cassazione i due istanti, deducendo con unico motivo – la manifesta illogicità della motivazione. L’ordinanza, per un
verso, attesterebbe che la sanzione della demolizione non potrebbe produrre effetti nei confronti dei ricorrenti, terzi proprietari rimasti estranei al procedime penale; per altro verso, tuttavia, onererebbe il Pubblico Ministero di una notifica non giustificata, in quanto – si ribadisce – l’ingiunzione non potrebbe essere applicata in danno di un soggetto che non ha potuto partecipare al contraddittorio del giudizio penale. Ancora, risulterebbe documentalnnente provato che i ricorrenti non avrebbero avuto alcun ruolo nella commissione del reato, non avrebbero concorso nello stesso, cosicché il giudicato non potrebbe produrre alcun effetto nei loro confronti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano manifestamente infondati, sotto un duplice profilo.
In primo luogo, gli istanti non evidenziano alcun interesse ad impugnare un provvedimento evidentemente emesso in loro favore, con il quale il Giudice dell’esecuzione ha rimesso in termini il Pubblico Ministero per eseguire la notifica dell’intimazione a demolire proprio nei riguardi degli stessi ricorrenti (pe consentire loro di interloquire), nei cui confronti è stata anche dichiarat l’inefficacia dell’ordine di demolizione n. 111/2010.
Sotto altro profilo, si evidenzia che i ricorsi non si confrontano con la parte dell’ordinanza che, nel merito, ha comunque rigettato l’istanza – ancora presentata dalla COGNOME e dal COGNOME – diretta ad ottenere la sospensione o la revoca dell’ordine di demolizione. In particolare, il Giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la domanda non risultava corredata da alcuna documentazione attestante la presentazione di una richiesta di concessione in sanatoria, da ritenersi, pertanto, solo meramente dedotta.
5.1. Ancora, l’ordinanza ha sottolineato – come da costante giurisprudenza che l’ordine di demolizione dell’opera abusiva, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere reale a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell’erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento (come i ricorrenti), potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall’ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (tra le molte, Sez. 42699 del 7/7/2015, COGNOME, Rv. 265193. In termini, si veda anche Sez. 3, n. 33987 del 16/6/2023, COGNOME, Rv. 285205, secondo cui l’ordine di demolizione, per il carattere reale che lo connota, ricade direttamente sul soggetto in rapporto con il bene, a prescindere dagli atti traslativi intercorsi, e che colui che lo acquista all’esito della procedura esecuti ed è estraneo all’abuso potrà rivalersi nei confronti dell’esecutato).
I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce dell sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2024
Il Co
Il Presidente