Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34997 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34997 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del PG, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
4453/2024
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME, con unico atto a firma del comune difensore, ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza del 10 novembre 2023 della Corte di appello di Napoli che, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di sospensione o revoca dell’ordine di demolizione delle opere per la cui abusiva realizzazione NOME COGNOME e NOME COGNOME erano state irrevocabilmente condannate con sentenza del 6 novembre 1997, irr. il 15 gennaio 1998, della stessa Corte di appello.
1.1.Con il primo motivo deducono l’incompetenza funzionale della Procura generale presso la Corte di appello a ingiungere la demolizione considerato che il provvedimento che era divenuto definitivo per ultimo era l’ordinanza di non luogo a procedere del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 13 febbraio 2023 pronunciata nei confronti di NOME COGNOME, coimputata nel medesimo procedimento, non rilevando che la correa, NOME COGNOME, avesse proposto appello avverso la sentenza di condanna, dovendosi applicare il principio della unitarietà dell’esecuzione.
1.2.Con il secondo motivo deducono la violazione degli artt. 32 Cost. e 8 C.E.D.U.
Lamentano, al riguardo, che la decisione impugnata ha privilegiato solo ed esclusivamente il dato temporale intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e l’attivazione del procedimento esecutivo (diciannove anni) senza considerare, tuttavia, che l’ingiunzione a demolire era stata loro notificata nel mese di maggio 2017. Poiché tra il 2017 ed il 2018 erano stati rilasciati due permessi di costruire in sanatoria a favore, rispettivamente, di COGNOME NOME (2017) e COGNOME NOME (2018), dopo che nel 2009 analogo permesso era stato rilasciato in favore di COGNOME NOME, era legittima l’aspettativa del rilascio del permesso anche a favore delle ricorrenti, tanto più aggiungono – che l’immobile rientra nei parametri di positiva valutazione del Comune di Napoli che, per prassi consolidata, ha sempre accettato la presentazione di più domande di condono su un unico immobile, purché ciascuna nei limiti di 750 mc., ed ha effettivamente rilasciato i due permessi sopra indicati persino dopo la notifica dell’ingiunzione a demolire. Il criterio adottato dalla Corte di appello per rigettare la domanda (il lasso di tempo di diciannove anni nell’arco del quale i condannati avrebbero dovuto assumere iniziative per il ripristino dello stato dei luoghi ovvero per il reperimento di altra abitazione) è, dunque, del tutto apparente.
1.3. Con il terzo motivo deducono l’inosservanza degli artt. 97 Cost. e 19 d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il profilo della violazione del principio
dell’affidamento incolpevole del terzo in buona fede rispetto ag i atti della Pubblica RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1 ricorsi sono infondati.
3.0ggetto di esecuzione è la sentenza del 6 novembre 1997 pronunciata dalla Corte di appello di Napoli su gravame interposto dalla sola NOME COGNOME avverso la sentenza del 26 marzo 1996 del Pretore di Napoli (parzialmente riformata dalla Corte di appello) che l’aveva condannata, insieme con NOME COGNOME, alla pena ritenuta di giustizia per aver abusivamente realizzato, in concorso tra loro, un manufatto in cemento armato composto da piano seminterrato, piano rialzato e primo piano, sito in Napoli, INDIRIZZO.
3.1.La sentenza pronunciata in primo grado, non appellata da NOME COGNOME, è stata revocata dal Giudice per le indagini preliminari di Napoli con provvedimento del 14 febbraio 2003, sicché – afferma la Corte di appello – la competenza esecutiva nei confronti di NOME COGNOME deve ritenersi correttamente radicata di fronte al Giudice distrettuale visto che, oltretutto, non si agisce nei confronti degli aventi causa di NOME COGNOME. Nel caso di specie, afferma la Corte di appello, trattandosi di sentenza pronunciata nei confronti di più persone ma appellata da una sola di esse, la competenza in executivis appartiene comunque al giudice dell’impugnazione.
3.2.Deve essere al riguardo ribadito l’insegnamento secondo il quale, per il principio dell’unitarietà dell’esecuzione, nei procedimenti con pluralità di imputati la competenza del giudice di appello a provvedere “in executivis” va affermata non solo rispetto a quelli per cui la sentenza di primo grado è stata sostanzialmente riformata, ma anche rispetto agli imputati che non abbiano eventualmente proposto impugnazione o nei cui confronti la decisione di primo grado sia stata confermata (Sez. 1, n. 31778 del 16/10/2020, Rv. 279802 – 01; Sez. 1, n. 10676 del 10/02/2015, Rv. 262987 – 01; Sez. 1, n, 14686 del 28/02/2014, Rv. 259797 – 01; Sez. 1, n. 10415 del 16/02/2010, Rv. 246395 01; Sez. 1, n. 2277 del 28/03/2000, COGNOME, Rv. 216075 – 01).
3.3.Non possono pertanto le ricorrenti giovarsi dell’errore del Giudice del primo grado che ha successivamente revocato la sentenza di cémdanna nei confronti di NOME COGNOME.
3.4.Peraltro, errano le ricorrenti allorquando individuano il provvedimento di revoca come l’ultimo provvedimento divenuto definitivo, dovendosi intendere per
tale, ai sensi dell’art. 665, comma 4, cod. proc. pen., le sole sentenze o i decreti penali di condanna di cui all’art. 648 cod. proc. pen., non le ordinanze emesse in sede esecutiva che logicamente eseguono (e seguono) le sentenza e i decreti penali di condanna.
4.11 secondo motivo è parimenti infondato.
4.1.Secondo l’insegnamento della Corte di cassazione, in tema di reati edilizi, il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze Corte EDU, 21/04/2016, COGNOME e COGNOME c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, COGNOME c. Lituania, considerando l’esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all’art. 8 dell Convenzione EDU, e valutando, nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell’ambiente, nonché i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Rv. 280270 01; nello stesso senso, Sez. 3, n. 48021 dell’11/09/2019, Rv. 277994 – 01, secondo cui il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. CEDU, non è tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale, come l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, che giustificano, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2.E’ stato precisato che il giudice, nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, deve valutare la disponibilità, da parte dell’interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l’eventuale consapevolezza della natura abusiva dell’attività edificatoria (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, COGNOME, Rv. 282950 – 01, che ha ritenuto corretta la decisione di rigetto dell’istanza di revoca dell’ingiunzione a demolire un immobile abusivo, rilevando che i ricorrenti avevano commesso numerose contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche e
più delitti di violazione dei sigilli, avevano potuto avvalersi di plurinn rimedi per la tutela in giudizio delle proprie ragioni, avevano beneficiato di Un congruo tempo per individuare altre situazioni abitative e non avevano indicato specifiche esigenze che giustificassero il rinvio dell’esecuzione dell’ordine di demolizione onde evitare la compromissione di altri diritti fondamentali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270 – 01).
4.3.Come spiegato in motivazione dalla citata Sez. 3, COGNOME, «i fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, la Corte EDU ha (…) valorizzato essenzialmente; la possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunale indipendente; la disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; l’esigenza di evitare l’esecuzione in momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Inoltre, ai medesimi fini, un ruolo estremamente rilevante è stato attribuito alla consapevolezza della illegalità della costruzione da parte degli interessati al momento dell’edificazione ed alla natura ed al grado della illegalità realizzata (…) La maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell’ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, COGNOME, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, COGNOME, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo a situazioni di salute «solo “cagionevole”») o la gravità delle violazioni (cfr. Sez. 3, n. 43608 del 08/10/2021, COGNOME, che ha valorizzato le dimensioni del fabbricato e la violazione di più disposizioni penali, anche in tema di paesaggio, conglomerato cementizio e disciplina antisismica), o entrambe le circostanze (Sez. 3, n. 35835 del 03/11/2020, COGNOME ed altro, non massimata)». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.4.Non va peraltro dimenticato che l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all’art. 8 Conv. EDU , posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto “assoluto” ad occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l’equilibrio urbanisticoedilizio violato (Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, COGNOME, Rv. 273368 – 01; Sez. 3, n. 18949 del 10/0372016, Contadini, 267024; Sez. 3, ri. 3704 del 09/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez 3, n. 1668 del 29/09/2022, n.m.)’.
4.5.Del resto, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una
funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, andhe se non è l’autore dell’abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena”, nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e non è soggetto a prescrizione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 – 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 – 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 – 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 – 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 – 01). Come diffusamente spiegato da Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265540, già con la sentenza Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, COGNOME e altri, Rv. 245918, la Corte di cassazione, in base alle argomentazioni sviluppate dalla stessa Corte e.d.u. (in essa richiamate), aveva chiaramente affermato che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una «pena» nemmeno ai sensi dell’art. 7 della CEDU, perché «essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge».
4.6.Né rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull’inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017).
4.7.Per queste ragioni, l’ordine demolitorio, diversamente dalla pena, non si estingue per morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249317; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 – dep. 2000, COGNOME, Rv. 215601), ma si trasmette agli eredi del responsabile (v., ad es., Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 3206 del 30/5/2011) e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (v., ad es. Consiglio di Stato, Sez. 4, n.2266 del 12/4/2011; Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008).
4.8.Non va nemmeno dimenticato che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, COGNOME ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, COGNOME Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. COGNOME, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), COGNOME, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 3008/1990, COGNOME, Rv. 185699).
4.9.11 principio di proporzionalità, dunque, presuppone la cogenza dell’ordine di demolizione dell’opera abusivamente realizzata e la sua inderogabile funzione ripristinatoria di un “ordine urbanistico” tuttora violato, non potendo essere utilizzato per eludere tale funzione con il rischio di legittimare ‘ex poSt, nei fatti, condotte costituenti reato e di consolidarne il relativo prodotto/profitto.
4.10.11 principio di proporzionalità si frappone all’esecuzione dell’ordine di demolizione per ragioni estranee alla adozione dell’ordine stesso; esso non incide nella fase deliberativa dell’ordine stesso, bensì in quella esecutiva. Per questo i fatti addotti a sostegno del rispetto del principio di proporzionalità devono essere allegati (e accertati) in modo rigoroso, dovendosene far carico (quantomeno sul piano dell’allegazione) chi intende avvalersene per paralizzare il ripristino di un ordine violato, tanto più se si stratta dello stesso autore dell’abuso.
4.11.Né tali fatti possono dipendere dall’inerzia o dalla volontà dell’autore dell’abuso o del destinatario dell’ordine. Va, al riguardo, ricordato (e sottolineato) che l’ordine di demolizione ingiunto dal pubblico ministero costituisce esecuzione (provvisoriamente a spese della collettività) dell’ordine già irrevocabilmente impartito dal giudice con sentenza pronunciata all’esito di un giusto processo svolto nel contraddittorio tra le parti. Il condannato (o i suoi aventi causa) non può “lucrare” sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza perché l’ingiunzione del pubblico ministero è causata proprio dalla sua inerzia, né può successivamente invocare il principio di proporzionalità allegando (colpevoli) inerzie o fatti da lui stesso posti in essere nella piena consapevolezza della natura abusiva dell’immobile, della precarietà della propria situazione abitativa, della persistente violazione dell’ordine.
4.12.In altri termini: il principio di proporzionalità non può essere indiscriminatamente e genericamente dedotto e utilizzato per legittimare la violazione dell’ordine di demolizione irrevocabilmente impartito dal giudice, poiché a tanto si arriverebbe opponendo sempre e comunque la violazione del domicilio.
4.13.La circostanza, pertanto, che l’immobile da demolire costituisca l’unico domicilio del condannato non è di per sé dirimente poiché tale circostanza non influisce nemmeno sulla configurabilità del reato di cui all’art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, non è configurabile l’esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all’abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell’inevitabilità del pericolo, posto che tale pericolo è evitabile chiedendo, in caso di terreno edificabile, il relativo permesso, mentre, in caso di terreno non edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un’abitazione non può prevalere sull’interesse della ccillettività alla tutela del paesaggio e dell’ambiente (Sez. 3, n. 2280 del 24/11/2017, dep.
2018, COGNOME, Rv. 271769 – 01; Sez. 3, n. 35919 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 241094 – 01; Sez. 3, n. 41577 del 20/09/2007, COGNOME, Rv. 238258 i- 01).
4.14.0rbene, se l’esigenza abitativa è irrilevante non solo ai fini della sussistenza del reato, ma anche dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, non si vede come questo argomento possa di per sé essere utilizzato per sterilizzare “ex post” l’ordine stesso.
4.15.Peraltro, nel caso di specie, la Corte di appello ha dato atto che le ricorrenti hanno goduto del bene abusivamente realizzato nel tutto il periodo che va dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna ad oggi senza che le stesse si siano mai preoccupate di trovare un alloggio alternativo. La circostanza che l’ingiunzione a demolire emessa dal Pubblico ministero sia stata loro notificata nel mese di marzo dell’anno 2017 nulla toglie alla validità del ragionamento dei Giudici distrettuali avuto riguardo alle considerazioni sopra già esposte.
4.16.Le ricorrenti allegano l’esistenza di ben tre provvedimenti di condono rilasciati dal Comune di Napoli, l’uno, del 4 giugno 2009, in favore di COGNOME NOME, relativo alla abitazione sita al primo piano dell’immobile, l’altro, del 4 agosto 2017, rilasciato in favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, relativo al piano rialzato del medesimo immobile, l’altro del 11 aprile 2018 rilasciato a favore di COGNOME NOME, relativo al locale Semi nterra to sempre del medesimo immobile.
4.17.0rbene, con sentenza Sez. 3, n. 9755 del 03/02/2022, questa Corte si è già pronunciata sul punto, rigettando i ricorsi delle odierne ricorrenti (e di COGNOME NOME) e osservando che mediante i tre provvedimenti di condono era stato illegittimamente operato il frazionamento dell’unico immobile in tre unità, ciascuna inferiore a 750 metri cubi.
4.18.Non solo, già con precedente sentenza Sez. 3, n. 29076 del 06/02/2019, la Corte si era pronunciata sulla possibilità di disapplicare i tre provvedimenti di sanatoria speciale rigettando i ricorsi delle odierne ricorrenti (e di COGNOME NOME) e ribadendo che non si tratta di una “disapplicazione” di un atto amministrativo bensì dell’esito del doveroso potere dovere di controllo del giudice penale sulla sussistenza dei presupposti necessari perché sia integrata la speciale causa estintiva del reato consistente nel condono edilizio (cfr. Sez. 5, n. 736 del 12/02/1999 Rv. 212884- 01 COGNOME G; Sez. 3, n. 39970 del 16/10/2002 Rv. 223082 – 01 COGNOME NOME).
4.19.E’ da più di quattro anni, dunque, che alle odierne ricorrenti è chiara la illegittimità della propria condizione abitativa non sanata da provvedimenti amministrativi la cui disapplicazione è già stata validata due volte dal Supremo Collegio, sicché è un fuor d’opera evocare la propria buona fede.
5.Le considerazioni che precedono rendono superfluo l’esame del terzo motivo non potendo in ogni caso le ricorrenti invocare la buona fede a fronte di un ordine di demolizione già impartito con sentenza irrevocabile del 1998 e di provvedimenti edilizi la cui legittima disapplicazione è stata per due volt affermata da questa Corte di cassazione.
Non si comprende, dunque, su quale dato di fatto poggi l’invocato diritto di affidamento del terzo in buona fede e quale ne sia l’oggetto.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spes processuali.
Così deciso in Roma, il 15/05/2024.