Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6300 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6300 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NOCERA INFERIORE il 24/12/1984
avverso l’ordinanza del 07/10/2024 del TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 7 ottobre 2024, il Tribunale di Nocera Inferiore, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza avanzata il 9 ottobre 2023 con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, a sua volta erede di NOME COGNOME, hanno chiesto la sospensione dell’ordine di demolizione n.14/2003 R.S.A. emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore avente ad oggetto opere abusive realizzate a Nocera Inferiore INDIRIZZO NOME n. 6.
Il 9 ottobre 2023 NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto nuovamente la sospensione dell’ordine di demolizione. L’istanza è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Nocera Inferiore con ordinanza del 17 ottobre 2023 adottata ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. perché ritenuta «mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi». L’ordinanza è stata annullata con sentenza n. 14646/24 del 13 marzo 2024 dalla Terza Sezione penale di questa Corte, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Nocera Inferiore. La sentenza rescindente ha osservato che i ricorrenti avevano chiesto al giudice dell’esecuzione di valutare la proporzionalità dell’ordine demolitorio rispetto al
diritto all’abitazione e di esaminare i documenti allegati all’istanza con riferimento alle condizioni personali di NOME COGNOME: questioni che, in precedenza, non erano state dedotte né esaminate, neppure implicitamente. Al giudice del rinvio è stato chiesto di valutare – nel rispetto del principio di proporzionalità come elaborato dalla giurisprudenza convenzionale (Corte EDU, 21/04/2016, COGNOME e COGNOME c. Bulgaria, e Corte EDU, 04/08/2020, COGNOME c. Lituania) – se, nel caso di specie, l’esecuzione dell’ordine di demolizione, volto a garantire l’ordinato sviluppo del territorio e la salvaguardia dell’ambiente, potesse giustificare, secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità, il sacrificio del dir all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. e all’art. 8 CEDU.
Con l’ordinanza del 7 ottobre 2024, oggetto del presente ricorso, il Tribunale di Nocera Inferiore ha ritenuto che, «all’esito di un complessivo bilanciamento tra contrapporti interessi», l’esecuzione dell’ordine di demolizione non fosse «sproporzionata e irragionevolmente lesiva del diritto all’abitazione» (così pag. 7).
Contro questo provvedimento ha proposto tempestivo ricorso il solo NOME COGNOME per mezzo del difensore munito di procura speciale. Il ricorso si articola in tre motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari all decisione come previsto dall’art. 173, comma 1, D.Igs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1. Col primo motivo, il difensore del ricorrente deduce carenza di motivazione per essere stata ritenuta la proporzionalità tra l’esecuzione dell’ordine di demolizione e il sacrificio del diritto all’abitazione soltanto perché NOME COGNOME era consapevole fin dal novembre del 2021 di dover sgomberare l’immobile. In tesi difensiva il Giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare: che l’illecito edilizio non è stato realizzato in una zona sottoposta a vincol paesaggistici; che la demolizione è stata disposta con una sentenza irrevocabile emessa nei confronti di NOME COGNOME (deceduto il 3 ottobre 2010); che NOME COGNOME è estraneo all’abuso e ha acquistato l’immobile il 22 ottobre 2021, a titolo di successione dalla madre la quale, a sua volta, lo aveva acquistato a titolo di successione dal coniuge.
Col secondo motivo, il difensore deduce contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. La difesa osserva che l’ordinanza impugnata ha attribuito rilievo al tempo trascorso tra il passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena pronunciata nei confronti di NOME COGNOME e l’ordine di demolizione e ha sottolineato che, pur consapevole dell’ingiunzione demolitoria pendente a suo carico, egli non assunse nessuna iniziativa per rimediare alla situazione di illegittimità. Sostiene che, così argomentando, l’ordinanza impugnata avrebbe ignorato l’esistenza di una istanza di condono del 26 settembre 1986, presentata da NOME COGNOME dante causa di NOME COGNOME il quale, come 3.2
risulta dall’atto di compravendita, aveva anche pagato «gli oneri di concessione».
La difesa censura l’affermazione contenuta a pag. 5 dell’ordinanza impugnata ove si legge: «nella sentenza n. 1677/23 della Corte di cassazione si fa riferimento all’avvenuta presentazione di una domanda di condono da parte di Trentino, circostanza distonica rispetto alla prospettata situazione di completa indigenza, visto gli oneri che comporta». Sostiene che tale affermazione è frutto di travisamento della prova e sottolinea che, come emerge dall’atto di compravendita sottoscritto da NOME COGNOME gli oneri di concessione relativi alla istanza di condono erano stati pagati da NOME COGNOME dante causa di NOME COGNOME
3.3. Col terzo motivo, la difesa si duole che l’ordinanza impugnata abbia ritenuto irrilevante ai fini della sospensione dell’ordine di demolizione la richiest di assegnazione di un alloggio popolare avanzata da NOME Trentino senza aver compiuto alcuna verifica sull’effettiva sussistenza delle condizioni che consentono di ottenere tale assegnazione e senza neppure aver accertato se l’autorità amministrativa abbia provveduto ad assicurare una sistemazione al ricorrente, «la cui esigenza abitativa non può, in questo momento storico, essere altrimenti soddisfatta per la precarietà del suo reddito attestato dall’ISEE». Lamenta, inoltre, che il Giudice dell’esecuzione non abbia attribuito valore al certificato ISEE attestante la situazione patrimoniale di NOME COGNOME ed abbia affermato (pag. 7 dell’ordinanza impugnata) che si tratta «di un documento privo di oggettività. Giacché basato su una dichiarazione sostitutiva unica (DSU) compilata dallo stesso soggetto, che autocertifica la propria situazione reddituale senza riscontri obiettivi». Secondo la difesa, tale motivazione è manifestamente illogica atteso che l’attestazione ISEE «costituisce l’indicatore formale della situazione patrimoniale della persona e delle famiglie, cioè il documento di riferimento per accedere alle agevolazioni pubbliche e ai benefit di Stato» (pag. 5 dell’atto di ricorso). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo non superano il vaglio di ammissibilità. Il terzo motivo è infondato.
A differenza di quanto sostenuto col primo motivo di ricorso, l’ordinanza impugnata non ignora che l’abuso edilizio oggetto di imputazione fu realizzato dal padre di NOME e NOME COGNOME. Osserva, tuttavia, che in data 22 novembre 2021,
l’odierno ricorrente e suo fratello NOME chiesero la revoca o sospensione dell’ordine di sgombero senza addurre a fondamento di tale richiesta esigenze abitative connesse a una situazione di indigenza e sostiene che tale circostanza porta a dubitare della sussistenza di tale situazione di fatto. Rileva, inoltre che NOME COGNOME era consapevole della necessità di sgomberare l’abitazione almeno dal mese di novembre del 2021 e tuttavia ha presentato domanda per l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica soltanto il 7 settembre 2023 (dopo che la Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso contro il primo provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione dell’ordine di sgombero).
Secondo l’ordinanza impugnata (pag. 5 e 6), pur non essendo l’autore dell’abuso, l’odierno ricorrente ha proseguito nell’atteggiamento mantenuto dal padre il quale, pur di completare l’immobile abusivo, violò i sigilli apposti all stesso (la sentenza definitiva, infatti, si riferisce anche a violazione dell’art. 3 cod. pen.) così dimostrando una «ferma volontà di usufruire dell’immobile illegale». Nel provvedimento impugnato si afferma che «di una tale ostinata condotta» NOME COGNOME non può oggi beneficiare atteso che anche lui ha «avuto a disposizione un tempo congruo per legalizzare la costruzione, laddove possibile, o trovare una diversa sistemazione».
L’argomentazione sviluppata è congrua, non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi di diritto ch regolano la materia. Come è stato più volte sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità – e come anche la sentenza rescindente ha ricordato – il rispetto del principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU, 21/04/2016, COGNOME e COGNOME c. Bulgaria, e della Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania, non consente di valutare a sostegno di una richiesta di sospensione dell’ordine di demolizione fatti che dipendono dall’inerzia di chi formula quella richiesta. L’ingiunzione a demolire, infatti, trova causa proprio nell’inerzia di chi ne è destinatario, sicché né condannato né i suoi aventi causa possono lucrare sul tempo inutilmente trascorso dalla data di irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, COGNOME, Rv. 284627; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280270).
Come è stato chiarito (Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, COGNOME, Rv. 282950), la Corte EDU ha individuato alcuni elementi che devono essere valutati per verificare il rispetto del principio di proporzionalità facendo riferimento, particolare: alla possibilità di far valere le proprie ragioni davanti ad un tribunal indipendente; alla disponibilità di un tempo sufficiente per “legalizzare” la situazione, se giuridicamente possibile, o per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative agendo con diligenza; all’esigenza di evitare l’esecuzione in
momenti in cui verrebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola. Ai medesimi fini, è stato attribuito un ruolo rilevante alla consapevolezza della illegalità della costruzione oltre che alla natura e al grado della illegalità realizzata.
In sintesi, il rapporto di proporzionalità valorizzato in sede convenzionale riguarda la relazione tra l’interesse pubblico alla tutela del territorio e l’interes all’utilizzo dell’opera abusiva da parte di chi l’abbia realizzata o di chi dovrebbe subire le conseguenze dell’ordine di demolizione ed è coerente con questa prospettiva che, ai fini del rispetto del principio di proporzionalità, sia valorizzat anche il tempo a disposizione del destinatario dell’ordine di demolizione per cercare una soluzione alternativa. Sul punto deve essere richiamata la sentenza Sez.3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280270 (già citata) nella quale si è affermato che, ai fini di una compiuta valutazione sulla legittimità dell’esecuzione dell’ordine di demolizione e sulla proporzionalità tra questo ordine e le esigenze abitative è necessario valutare: «se il ricorrente, nel momento in cui ha realizzato abusivamente l’attività edificatoria, avesse consapevolezza di agire illegalmente, ovvero, in caso contrario, quale fosse il grado della sua colpa; quali siano stati i tempi a disposizione del medesimo, dopo la definitività della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile, e comunque per trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative; quali siano le effettive condizioni di salute e socio-economiche del ricorrente e se le stesse, in concreto, esplichino rilevanza sul giudizio concernente il rispetto del principio di proporzionalità, eventualmente anche solo in relazione al profilo della valutazione della congruità del tempo concesso al ricorrente».
L’ordinanza impugnata ha fatto buon governo di tali principi di diritto. A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, infatti, non si è limitata, a far riferimento al tempo trascorso dalla definitività della sentenza contenente l’ordine di demolizione, ma ha sottolineato (pag. 5): che nel novembre 2021 il ricorrente ha chiesto la revoca o la sospensione di un ordine di sgombero (era dunque consapevole dell’ordine di demolizione e sapeva di dover liberare l’immobile); che nel proporre quella prima istanza, non ha dedotto insuperabili esigenze abitative; che non si è tempestivamente attivato per ricercare una diversa soluzione abitativa e la domanda di assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica è stata proposta soltanto il 7 settembre 2023, dopo due anni dall’ordine di sgombero; che NOME COGNOME è nato nel 1984 e non ha rappresentato problemi di salute; che, nella domanda di assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica, ha dichiarato di essere l’unico componente del proprio nucleo familiare e di non avere a carico figli minori né persone affette da disabilità. L’ordinanza impugnata osserva, inoltre (pag. 7 della motivazione), che l’odierno ricorrente non ha
documentato (e invero neppure prospettato) «inabilità al lavoro» né difficoltà nel reperire una occupazione sicché non può dirsi che egli si sia adoperato con diligenza per trovare un’altra soluzione alle proprie esigenze abitative.
Nel secondo motivo di ricorso, la difesa fa riferimento a una istanza di condono del 26 settembre 1986, presentata da NOME COGNOMEdante causa di NOME COGNOME. In tesi difensiva, l’ordinanza impugnata avrebbe travisato le emergenze probatorie considerando la presentazione da parte di NOME di una domanda di condono «circostanza distonica rispetto alla prospettata situazione di completa indigenza, visto gli oneri che comporta». Tale argomentazione (contenuta a pag. 5 del provvedimento impugnato) sembra, infatti, attribuire all’odierno ricorrente la presentazione di una istanza di condono che, invece, fu presentata da altri.
Il motivo di ricorso non è autosufficiente perché gli atti citati non vi sono allegati. A ciò deve aggiungersi che l’ordine di demolizione è stato emesso in esecuzione di una sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. emessa a carico di NOME COGNOME e non di NOME COGNOME sicché sarebbe stato necessario spiegare perché una istanza di condono presentata da NOME COGNOME (dante causa di NOME COGNOME) potrebbe avere ad oggetto gli illeciti edilizi in relazione ai quali NOME COGNOME ha chiesto l’applicazione di una pena.
L’ordinanza impugnata, peraltro, fa riferimento a una domanda di condono menzionata nella sentenza n. 1677/23 della Corte di cassazione e in questa sentenza (pag. 5 della motivazione) si legge: « La questione del condono (non riproposta in sede di ricorso in cassazione) è stata adeguatamente valutata dall’ordinanza impugnata che ha rilevato come lo stesso veniva presentato “per un immobile diverso rispetto a quello oggetto dell’ordine di demolizione”».
Col terzo motivo, la difesa si duole che l’ordinanza impugnata non abbia attribuito valore alla dichiarazione ISEE prodotta da NOME COGNOME al fine di documentare la propria situazione patrimoniale ed abbia sostenuto (pag. 7 della motivazione) che si tratta «di un documento privo di oggettività, giacché basato su una dichiarazione sostitutiva unica (DSU) compilata dallo stesso soggetto, che autocertifica la propria situazione reddituale senza riscontri obiettivi».
Si deve dare atto al ricorrente che la motivazione così sviluppata non tiene conto del DPCM 5 dicembre 2013, n. 159 (che individua i campi di applicazione dell’ISEE) in base al quale (art. 2) «L’ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate» dovendosi intendere per prestazioni sociali agevolate (ai sensi dell’art. 1 del citato DPCM) le « prestazioni sociali non destinate
alla generalità dei soggetti, ma limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica, ovvero prestazioni sociali non limitate dal possesso di tali requisiti, ma comunque collegate nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche, fermo restando il diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi assicurati a tutti dalla Costituzione e dalle altre disposizioni vigenti».
Fatta questa premessa, si deve tuttavia rilevare che, quando il convincimento del giudice poggia su più ragioni distinte, i vizi logici o giuridici relativi ad una s di tali ragioni non inficiano la decisione se essa trova adeguato sostegno negli altri motivi non affetti da quei vizi (sull’argomento di recente: Sez. 5, n. 37466 del 22/09/2021, COGNOME, Rv. 281877, ma l’indirizzo è risalente nel tempo e consolidato: Sez. 5, n. 2128 del 13/1/1978, COGNOME, Rv. 138077; Sez. 4, n. 216 del 02/05/1975, dep. 1976, Alba, Rv. 131797; Sez. 1, n. 604 del 02/05/1967, COGNOME, Rv. 105773).
Nel caso di specie, il Giudice ha sostenuto che l’esecuzione dell’ordine di demolizione non è sproporzionata e irragionevolmente lesiva del diritto all’abitazione anche sviluppando argomenti diversi da quello relativo alla pretesa inaffidabilità dell’ISEE. L’ordinanza impugnata osserva infatti: da un lato (pag. 5), che la domanda di assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale non è stata respinta, ma è ancora pendente, e la situazione avrebbe potuto essere diversa se il ricorrente avesse avanzato la richiesta nel novembre 2021 (quando gli fu notificato l’ordine di sgombero); dall’altro (pag. 7), che egli non ha documentato né prospettato di essere inabile al lavoro o di avere difficoltà nel reperire una occupazione; dall’altro ancora (pag. 5), che egli è l’unico componente del proprio nucleo familiare, è persona ancora giovane e non ha rappresentato problemi di salute. Si deve ricordare allora che, chi intende invocare il principio convenzionale di proporzionalità al fine di ottenere la sospensione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo costituente l’unica abitazione familiare, è tenuto ad allegare «in modo puntuale», i fatti addotti a sostegno del rispetto di tale principio (Sez. 3, n. 21198 del 15/02/2023, COGNOME, Rv. 284627) e la sola certificazione ISEE non può essere considerata idonea a tal fine. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente