Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25917 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25917 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nata a Nocera Inferiore il 16 maggio 1943 avverso l’ordinanza del Tribunale di Nocera Inferiore emessa il 10 dicembre 2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso si è dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 dicembre 2024, il Tribunale di Nocera Inferiore, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di NOME COGNOME con cui si chiedeva la sospensione dell’ordine del pubblico ministero del 1° agosto 2024, n. 38/1999, con cui si ingiungeva alla condannata la demolizione di opere edilizie abusive.
Avverso l’ordinanza la ricorrente, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, l’impossibilità di dare esecuzione alla misura sanzionatoria e alla conseguente intimazione del pubblico ministero, evidenziando come la sentenza disponesse la demolizione solo “se non altrimenti eseguita e salvo che le opere stesse non risultino acquisite al patrimonio del comune”.
Secondo la prospettazione difensiva, l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, avvenuta quale effetto automatico dell’inottemperanza della ricorrente, avrebbe compromesso qualsiasi ulteriore attività sanzionatoria, dal momento che la ricorrente, non più proprietaria dell’immobile, risulterebbe priva della titolarità e disponibilità del bene stesso, e, quindi, risulterebbe impossibilitata ad eseguire l’ordine giudiziale di demolizione, se non compiendo un atto di intervento su cosa altrui. L’esecuzione in danno determinerebbe l’assunzione delle spese per il ripristino a carico dell’interessata, con conseguenze recuperatorie in danno, in assenza di legittimazione ad opera della Procura, vista l’eseguibilità della demolizione nel solo caso di mancata acquisizione delle opere al patrimonio comunale.
2.2. La ricorrente ha presentato memoria difensiva in data 14 aprile 2025, con cui ribadisce quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Rileva la ricorrente che in sentenza il giudice aveva espressamente disposto la demolizione, se non già eseguita in via amministrativa e salvo che l’immobi.le non fosse stato acquisito al patrimonio pubblico; ne conseguirebbe l’impossibilità per il pubblico ministero di procedere alla demolizione.
Osserva il Collegio che la tesi di parte ricorrente è in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Al riguardo si è affermato, infatti, che sussiste incompatibilità tra l’acquisizione gratuita e l’ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna soltanto se, con delibera consiliare, l’ente locale stabilisce di non demolire l’opera acquisita ai sensi dell’art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede che «l’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico» (Sez. 3, n. 32976 del 06/07/2023). Qualora il
Consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento dell’opera, pertanto, il procedimento sanzionatorio amministrativo (per le opere realizzate in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali) ha come sbocco unico ed obbligato la demolizione a spese del responsabile dell’abuso. Ogni altra richiesta è pertanto priva di interesse (Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Rv. 268133).
Coerentemente con tale indirizzo, è stato altresì affermato (Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, Rv. 278090) che, dopo l’acquisizione dell’opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l’esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell’ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all’esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell’abuso (nello stesso senso, Sez. 3, n. 5536 del 16/01/2025; Sez. 3, n. 4758 del 20/12/2023, dep. 2024; Sez. 3, n. 7720 del 30/03/2023).
Dunque, l’acquisizione gratuita, in via amministrativa, è finalizzata essenzialmente alla demolizione, per cui non si ravvisa alcun contrasto con l’ordine demolitorio impartito dal giudice penale, che persegue lo stesso obiettivo: il destinatario di tale ordine, a fronte dell’ingiunzione del pubblico ministero, allorquando sia intervenuta l’acquisizione amministrativa a suo danno, non potrà ottemperare all’ingiunzione medesima solo allorquando il Consiglio Comunale abbia già ravvisato (ovvero sia sul punto di deliberare) l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive.
3.2. Tali principi trovano applicazione nel caso di specie, in cui non emerge dagli atti, né dalla prospettazione difensiva, che il Consiglio comunale abbia deliberato il mantenimento dell’opera; con la conseguenza che permane l’obbligo di demolizione a spese del responsabile dell’abuso. Ne può assumere rilevanza in senso contrario il tenore letterale della statuizione della sentenza di condanna, perché la stessa deve essere intesa nel senso sopra specificato; dunque, l’acquisizione dell’immobile al patrimonio del Comune è ostativa rispetto alla demolizione solo nel particolare caso in cui l’ente locale abbia deliberato il mantenimento dell’opera per fini pubblici.
Tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 30/04/2025