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Ordine di allontanamento: Cassazione annulla condanna

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna penale per la violazione di un ordine di allontanamento. La sentenza di primo grado è stata ritenuta priva di motivazione, poiché il giudice non ha verificato la reale esistenza e legittimità dell’atto amministrativo (decreto prefettizio di espulsione e ordine del questore) che costituisce il presupposto del reato. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordine di Allontanamento: Perché la Cassazione Annulla la Condanna per Mancanza di Motivazione

Nel diritto penale dell’immigrazione, la validità degli atti amministrativi è fondamentale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12448/2019) lo ribadisce con forza, annullando una condanna per inosservanza di un ordine di allontanamento a causa di un grave vizio di motivazione del giudice di primo grado. Questa decisione sottolinea l’obbligo per il giudice penale di verificare scrupolosamente l’esistenza e la legittimità degli atti che costituiscono il presupposto del reato, prima di poter emettere una sentenza di condanna.

I Fatti del Caso

Un cittadino straniero era stato condannato dal Giudice di Pace di Belluno al pagamento di una multa di 10.000 euro. L’accusa era quella prevista dall’art. 14, comma 5-ter, del D.Lgs. 286/1998, per essersi trattenuto illegalmente nel territorio dello Stato dopo aver ricevuto un ordine di allontanamento emesso dal Questore di Belluno il 12 ottobre 2011. Tale ordine, secondo l’imputazione, era l’atto esecutivo di un coevo decreto di espulsione del Prefetto.

Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali: l’erronea applicazione della legge penale e un trattamento sanzionatorio sproporzionato.

I Motivi del Ricorso: un Ordine di Allontanamento Inesistente?

Il punto centrale della difesa era che l’atto notificato nel 2011 non era un vero e proprio ordine di allontanamento, ma un semplice avviso a lasciare il territorio entro quindici giorni. Tale avviso era contenuto in un provvedimento di revoca della carta di soggiorno. Secondo la difesa, mancava il presupposto fondamentale del reato: un valido decreto di espulsione del Prefetto seguito da un conseguente ordine del Questore. Il giudice di merito, secondo il ricorrente, non aveva tenuto conto di questa cruciale distinzione, fondando la condanna su basi documentali insufficienti e non correttamente analizzate.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la doglianza relativa al vizio di motivazione. Gli Ermellini hanno evidenziato come il Giudice di Pace si sia limitato a dare per provata l’accusa basandosi genericamente sulla testimonianza dell’agente verbalizzante e sui documenti acquisiti, senza però analizzarli nel dettaglio.

L’esame dell’unico provvedimento agli atti, datato 12 ottobre 2011, ha rivelato che non si trattava di un ordine esecutivo di espulsione, bensì di un atto di revoca della carta di soggiorno con l’avviso che, in caso di mancato allontanamento volontario, sarebbe stata proposta l’espulsione al Prefetto. Un atto, quindi, con natura e finalità completamente diverse da quello descritto nel capo d’imputazione.

La Corte ha specificato che il giudice penale ha il potere e il dovere di verificare la legittimità dell’atto amministrativo che costituisce il presupposto del reato. Se l’atto (in questo caso, il decreto di espulsione del Prefetto) è illegittimo, il giudice deve disapplicarlo. Nel caso di specie, il Giudice di Pace non solo non ha compiuto questa verifica, ma non ha nemmeno accertato se l’atto presupposto esistesse effettivamente. Questa omissione ha creato un vuoto motivazionale insanabile, rendendo la condanna del tutto priva di giustificazione giuridica.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato il caso al Giudice di Pace di Belluno per un nuovo giudizio. Il nuovo giudice dovrà affrontare la questione in modo approfondito, verificando l’intera catena degli atti amministrativi (decreto del Prefetto e ordine del Questore) e motivando adeguatamente sulla loro esistenza e conformità alla legge. Questa pronuncia è un monito importante: una condanna penale non può mai basarsi su presupposti non verificati. La tutela dei diritti individuali, anche nell’ambito del diritto dell’immigrazione, esige un controllo rigoroso e una motivazione completa da parte dell’autorità giudiziaria.

Può un giudice penale condannare per inosservanza di un ordine di allontanamento senza verificare l’atto amministrativo presupposto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice ha il dovere di verificare l’esistenza e la legittimità del decreto di espulsione del Prefetto e del conseguente ordine del Questore. Se questa verifica manca, la sentenza è viziata per mancanza di motivazione.

Qual è la differenza tra un avviso a lasciare il territorio e un ordine di allontanamento del Questore?
L’avviso a lasciare il territorio è un atto preliminare che intima allo straniero di allontanarsi volontariamente, avvertendolo che in caso contrario si procederà con l’espulsione. L’ordine di allontanamento del Questore è, invece, un atto esecutivo che segue un già emesso decreto di espulsione del Prefetto, e la sua inosservanza costituisce reato.

Cosa comporta il vizio di motivazione in una sentenza?
Il vizio di motivazione è un grave difetto della sentenza che si verifica quando il giudice non spiega in modo logico e completo le ragioni della sua decisione. Tale vizio può portare all’annullamento della sentenza da parte della Corte di Cassazione, con la necessità di celebrare un nuovo processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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