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Ordinanza non tradotta: quando è valida? La Cassazione

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un cittadino straniero. La difesa sosteneva la nullità del provvedimento in quanto si trattava di un’ordinanza non tradotta nella lingua dell’indagato. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: l’ordinanza resta valida fino al momento in cui emerge formalmente nel procedimento la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato. Solo da quel momento scatta l’obbligo di traduzione, la cui violazione determina la nullità degli atti successivi. Nel caso specifico, l’obbligo era sorto con l’interrogatorio di garanzia e l’amministrazione della giustizia aveva già provveduto alla traduzione.

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Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordinanza Non Tradotta: La Cassazione Stabilisce i Limiti di Validità

Il diritto alla comprensione degli atti giudiziari è un pilastro fondamentale del giusto processo, specialmente per gli indagati stranieri che non parlano la lingua italiana. Ma cosa accade se una misura restrittiva della libertà personale, come un’ordinanza di custodia in carcere, non viene immediatamente tradotta? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45409/2024, interviene per chiarire un punto cruciale: la validità di un’ordinanza non tradotta e il momento esatto in cui scatta l’obbligo di metterla a disposizione dell’indagato nella sua lingua. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione sull’equilibrio tra esigenze di giustizia e garanzie difensive.

Il Caso: Tentato Furto e l’Arresto Casuale

I fatti risalgono a un tentativo di furto in un’abitazione in provincia di Udine. I ladri, dopo aver danneggiato un muro per raggiungere la cassaforte, sono stati messi in fuga dall’allarme e dal proprietario di casa. Mesi dopo, uno dei presunti responsabili, un cittadino albanese, è stato identificato e sottoposto a custodia cautelare in carcere. L’esecuzione dell’ordinanza è avvenuta a seguito di un casuale intervento della Polizia Stradale per un incidente in cui l’uomo era rimasto coinvolto.

La Questione della Lingua: La Difesa Sostiene la Nullità

Una volta in carcere, la difesa dell’indagato ha sollevato un’eccezione fondamentale davanti al Tribunale del Riesame: la nullità dell’ordinanza di custodia cautelare. Il motivo? Il provvedimento non era stato tradotto in lingua albanese, impedendo di fatto all’indagato di comprendere le accuse a suo carico e le ragioni della privazione della sua libertà. Secondo i legali, questa omissione violava sia le norme del codice di procedura penale sia i principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Il Tribunale del Riesame, tuttavia, ha respinto l’eccezione, ritenendo che la mancata conoscenza della lingua italiana fosse emersa solo dopo l’esecuzione della misura. Di conseguenza, il caso è approdato in Cassazione.

La Validità dell’Ordinanza non Tradotta secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha affrontato il nodo centrale della questione, richiamando un importante principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite (sent. n. 15069/2024). Secondo tale principio, la validità di un’ordinanza non tradotta segue una logica temporale precisa.

La Decisione della Corte

Il ricorso è stato respinto. La Cassazione ha chiarito che l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un indagato alloglotta è valida fino al momento in cui, all’interno del procedimento, emerge formalmente che l’interessato non comprende la lingua italiana. È solo da quel preciso istante che sorge per l’autorità giudiziaria l’obbligo di provvedere alla traduzione del provvedimento entro un termine congruo. La violazione di questo obbligo successivo determina la nullità degli atti compiuti da quel momento in poi, inclusa l’ordinanza stessa.

Le Motivazioni

Nel caso specifico, la mancata conoscenza dell’italiano da parte dell’indagato è emersa formalmente durante l’interrogatorio di garanzia, quando si è resa necessaria la presenza di un interprete. Tuttavia, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva già disposto la traduzione dell’ordinanza il giorno prima dell’interrogatorio, e il documento tradotto era stato depositato prima ancora che la difesa presentasse l’istanza di riesame. Pertanto, la procedura è stata ritenuta corretta e immune da vizi. La Corte ha inoltre giudicato infondate le altre censure, confermando la solidità del quadro indiziario (basato su impronte digitali su biglietti autostradali e altri elementi) e la sussistenza del pericolo concreto di recidiva, desunto dalla professionalità dimostrata nel tentativo di furto e da un precedente per rapina.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce che il diritto alla traduzione degli atti non è un automatismo che invalida a priori un provvedimento, ma un diritto che si attiva nel momento in cui la barriera linguistica diventa un fatto processualmente accertato. La decisione traccia una linea chiara: l’ordinanza è efficace al momento dell’emissione e dell’esecuzione, ma l’amministrazione della giustizia ha il dovere di agire tempestivamente per garantire la piena comprensione all’indagato non appena ne venga a conoscenza. Si tratta di un bilanciamento che tutela sia le garanzie difensive sia l’efficacia dell’azione penale, evitando che cavilli procedurali possano vanificare le esigenze cautelari.

Un’ordinanza di custodia cautelare non tradotta nella lingua dell’indagato straniero è sempre nulla?
No. Secondo la Corte, l’ordinanza è valida fino al momento in cui emerge che l’indagato non conosce la lingua italiana. Solo da quel momento scatta l’obbligo di traduzione, la cui violazione può causare la nullità degli atti successivi.

Quando sorge l’obbligo di tradurre un’ordinanza cautelare per un indagato che non parla italiano?
L’obbligo sorge nel momento in cui la mancata conoscenza della lingua italiana viene accertata o emerge formalmente nel procedimento, ad esempio durante l’interrogatorio di garanzia dove è necessaria la presenza di un interprete.

Quali elementi sono sufficienti per giustificare il pericolo di recidiva in una misura cautelare?
La Corte ha ritenuto sufficienti l’elevata professionalità dimostrata nell’esecuzione del reato, un precedente specifico per un reato grave (rapina) e lo stato di disoccupazione dell’indagato, considerandoli indicatori di un concreto pericolo che possa commettere altri reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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