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Ordinanza non tradotta: quando è valida?

Un cittadino straniero ricorre contro un’ordinanza di custodia cautelare non tradotta nella sua lingua. La Cassazione respinge il ricorso, affermando che un’ordinanza non tradotta causa una nullità solo se l’imputato dimostra un pregiudizio concreto al suo diritto di difesa. L’informazione orale tramite interprete durante l’interrogatorio è stata ritenuta sufficiente a garantire tale diritto.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordinanza non tradotta per stranieri: la Cassazione stabilisce i limiti della nullità

Il diritto di difesa è uno dei pilastri fondamentali del nostro ordinamento giuridico, specialmente nel processo penale. Ma cosa accade quando l’imputato non comprende la lingua italiana? La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 29330 del 2024, offre chiarimenti cruciali sul tema dell’ordinanza non tradotta, delineando quando la sua mancata traduzione comporta una nullità e quando, invece, la misura cautelare resta valida.

I Fatti del Caso

Un cittadino di nazionalità georgiana veniva arrestato in flagranza per il reato di furto aggravato e sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.), consapevole che l’indagato non comprendeva la lingua italiana, emetteva l’ordinanza applicativa della misura senza poterla tradurre contestualmente, a causa dell’impossibilità di reperire un interprete nei ristretti termini per la convalida dell’arresto.

Il giorno successivo, durante l’interrogatorio di garanzia, l’indagato veniva assistito da un interprete e il giudice gli illustrava oralmente i fatti e le ragioni che avevano portato all’applicazione della misura. In quella sede, l’indagato si avvaleva della facoltà di non rispondere. La difesa, successivamente, proponeva ricorso al Tribunale del Riesame, eccependo la nullità dell’ordinanza cautelare poiché, a distanza di giorni, non era stata ancora tradotta per iscritto nella lingua nota all’indagato. Il Tribunale del Riesame rigettava la richiesta, e la difesa ricorreva quindi in Cassazione.

L’importanza di una ordinanza non tradotta nel diritto di difesa

Il nucleo della questione giuridica ruota attorno all’interpretazione dell’art. 143 del codice di procedura penale, che garantisce all’imputato alloglotta il diritto di essere assistito da un interprete e di ottenere la traduzione degli atti fondamentali. Le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 15069/2023) avevano già stabilito un principio fondamentale: la mancata traduzione di un’ordinanza cautelare, quando è già emerso che l’indagato non conosce l’italiano, configura una nullità a regime intermedio.

Questo tipo di nullità, a differenza di quelle assolute, non può essere rilevata in ogni stato e grado del processo, ma deve essere eccepita dalla parte interessata. Inoltre, la sua declaratoria è subordinata alla dimostrazione di un interesse concreto, attuale e specifico. In altre parole, non basta lamentare la violazione formale della norma; è necessario dimostrare che tale violazione ha causato un pregiudizio effettivo al diritto di difesa.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha seguito proprio questo solco interpretativo. I giudici hanno sottolineato che, nel caso di specie, l’indagato aveva ricevuto tutte le informazioni necessarie per esercitare il proprio diritto di difesa durante l’interrogatorio di garanzia. Grazie alla presenza dell’interprete, il giudice aveva potuto illustrargli oralmente i fatti contestati e i motivi della misura cautelare.

Secondo la Corte, questa illustrazione orale è stata sufficiente a mettere l’indagato in condizione di comprendere le accuse a suo carico e di decidere la propria strategia difensiva (ad esempio, se rispondere o meno alle domande). La difesa, dal canto suo, non ha saputo indicare quale concreto pregiudizio fosse derivato dalla mancata traduzione scritta. Non è stato specificato, ad esempio, quali elementi difensivi non si siano potuti sviluppare a causa dell’assenza del testo tradotto al momento dell’udienza di riesame. L’eccezione di nullità si è quindi rivelata un’allegazione di un pregiudizio meramente astratto e potenziale, insufficiente a giustificare l’annullamento dell’atto.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un importante principio di diritto: la nullità per un’ordinanza non tradotta non è automatica. Sebbene la traduzione degli atti fondamentali per l’imputato alloglotta resti un obbligo, la sua omissione deve essere collegata a un danno concreto per la difesa. Un’informazione chiara e completa fornita oralmente tramite un interprete, specialmente durante l’interrogatorio di garanzia, può essere considerata sufficiente a sanare la mancanza, a meno che la difesa non dimostri specificamente come l’assenza del documento scritto abbia leso le proprie prerogative.

Questa decisione bilancia l’esigenza di garantire pienamente il diritto di difesa con quella di evitare formalismi processuali che potrebbero bloccare l’azione giudiziaria senza un reale beneficio per l’imputato. Per gli avvocati, ciò significa che l’eccezione di nullità per mancata traduzione deve essere supportata da argomentazioni solide che evidenzino il pregiudizio effettivo subito dal proprio assistito.

La mancata traduzione di un’ordinanza di custodia cautelare la rende sempre nulla?
No. Secondo la Corte, la mancata traduzione integra una ‘nullità a regime intermedio’. Per essere dichiarata, la difesa deve dimostrare l’esistenza di un interesse concreto e attuale, ossia un pregiudizio effettivo al diritto di difesa causato da tale omissione, non essendo sufficiente la mera violazione formale della norma.

Cosa deve fare l’imputato straniero per far valere la nullità di un’ordinanza non tradotta?
L’imputato, tramite il suo difensore, deve eccepire la nullità e, soprattutto, deve indicare quale interesse concreto, attuale e verificabile sia stato leso. Deve specificare in che modo l’assenza della traduzione scritta gli ha impedito di esercitare pienamente il suo diritto di difesa (ad esempio, contestando specifici elementi indiziari).

L’informazione orale dei fatti da parte del giudice tramite un interprete può sostituire la traduzione scritta dell’ordinanza?
Sì, in determinate circostanze. La sentenza stabilisce che se, durante l’interrogatorio di garanzia, il giudice illustra in modo completo i fatti e le ragioni della misura cautelare con l’ausilio di un interprete, questa comunicazione può essere ritenuta sufficiente a informare l’indagato e a garantire il suo diritto di difesa, sanando di fatto la mancata traduzione scritta, a meno che non venga provato un pregiudizio concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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