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Ordinanza cautelare: quando non serve motivazione autonoma

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza cautelare per ricettazione. L’imputato lamentava una motivazione “copia-incolla” da parte del Tribunale del riesame. La Corte ha chiarito che l’obbligo di valutazione autonoma è richiesto solo al primo giudice che emette la misura, non al collegio del riesame, confermando la validità del provvedimento.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ordinanza Cautelare: L’obbligo di Motivazione Autonoma Non Si Applica al Riesame

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 9413/2024) offre un importante chiarimento sui requisiti di motivazione di un’ordinanza cautelare. Il caso esaminato distingue nettamente gli obblighi del giudice che emette per primo la misura da quelli del Tribunale del riesame, stabilendo che per quest’ultimo non sussiste il dovere di una “autonoma valutazione” nei termini previsti dall’art. 292 c.p.p. Approfondiamo la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da un’indagine complessa che vedeva un soggetto indagato per vari reati contro il patrimonio, tra cui associazione per delinquere, riciclaggio, furto e ricettazione di automobili. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Milano aveva applicato la custodia cautelare in carcere per quasi tutti i capi d’imputazione, negandola però per uno specifico episodio di ricettazione di un’autovettura.

Il Pubblico Ministero aveva impugnato questa decisione e il Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’appello cautelare (riesame), aveva riformato l’ordinanza, applicando la misura detentiva anche per il reato di ricettazione inizialmente escluso. L’indagato ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso quest’ultima decisione.

Il Ricorso in Cassazione: La Tesi della Difesa

Il motivo centrale del ricorso si basava sulla presunta violazione dell’articolo 292 del codice di procedura penale. La difesa sosteneva che il Tribunale del riesame si fosse limitato a un mero “copia e incolla” della motivazione contenuta nell’ordinanza genetica, senza procedere a una propria e autonoma valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, come richiesto dalla legge.

In sostanza, secondo il ricorrente, il Tribunale non aveva svolto quel vaglio critico e indipendente che la norma imporrebbe a garanzia dell’indagato, rendendo di fatto il provvedimento nullo per vizio di motivazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte sull’ordinanza cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando completamente la tesi difensiva. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi distinti e complementari.

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno chiarito un punto fondamentale di diritto processuale. L’obbligo di “autonoma valutazione” dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, previsto dall’art. 292 c.p.p., è una garanzia posta a presidio dell’equidistanza del giudice rispetto alla richiesta formulata dall’organo dell’accusa. Questo requisito, specificano i giudici, si applica esclusivamente al giudice che emette la misura per la prima volta e inaudita altera parte (cioè senza aver ancora sentito la difesa). Non si estende, invece, al Tribunale del riesame. Quest’ultimo, decidendo su impugnazione, può legittimamente fare riferimento alle motivazioni di provvedimenti precedenti, senza che ciò costituisca un vizio. Pertanto, il motivo del ricorso si basava su una violazione di legge inesistente.

In secondo luogo, la Corte ha comunque osservato che, al di là di questo principio, l’ordinanza del Tribunale di Milano era tutt’altro che immotivata. Il provvedimento impugnato, infatti, offriva una motivazione idonea sia sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza – basati sul possesso, non contestato, di un’automobile di provenienza furtiva nell’ambito di una più ampia e organizzata attività illecita – sia sulle esigenze cautelari. Su questo punto, era stata sottolineata la necessità di impedire la reiterazione dei reati, dato il contesto delinquenziale organizzato e operativo in cui l’indagato risultava inserito.

Le Conclusioni

La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende. La sentenza ribadisce un principio cruciale: i requisiti formali di motivazione di un’ordinanza cautelare variano a seconda della fase processuale. Mentre al GIP è richiesta una valutazione autonoma e distinta dalla richiesta del PM, al Tribunale del riesame è consentito un rinvio motivazionale agli atti precedenti, purché la decisione finale sia logicamente fondata. Questa pronuncia conferma che i vizi che possono essere fatti valere contro le decisioni del riesame attengono alla motivazione assente o meramente apparente, non alla mancata riproposizione di un’analisi ex novo degli elementi già vagliati.

Il Tribunale del riesame deve sempre fornire una motivazione completamente autonoma quando decide su un’ordinanza cautelare?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’obbligo di “autonoma valutazione” previsto dall’art. 292 c.p.p. è un requisito specifico per il giudice che emette la misura per la prima volta. Il Tribunale del riesame, decidendo in sede di impugnazione, non è tenuto a redigere una motivazione ex novo e può fare riferimento a quella di provvedimenti precedenti.

Qual è stato il motivo principale dell’inammissibilità del ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché deduceva una violazione di legge inesistente. La difesa lamentava la mancata autonoma valutazione da parte del Tribunale del riesame, ma la Suprema Corte ha chiarito che tale obbligo non si applica a quel collegio giudicante.

Quali elementi ha comunque considerato la Corte per ritenere fondata la misura cautelare?
La Corte ha specificato che, ad ogni modo, l’ordinanza del Tribunale era sufficientemente motivata. Si basava su gravi indizi di colpevolezza (il possesso provato dell’automobile rubata) e su concrete esigenze cautelari (la necessità di interrompere i contatti del ricorrente con un contesto criminale organizzato e operativo).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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