Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22529 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22529 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, NOME NOME, nato a Napoli in data DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 5;05/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostit Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi; letta la memoria di replica presentata dall’AVV_NOTAIO, il quale, nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, ha presentato conclusioni scritte, sollecitando l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5 maggio 2023, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli in data 10 maggio 2022 con la quale NOME e NOME erano stati condannati alla pena di 3 anni di reclusione in quanto riconosciuti colpevoli, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante prevista dall’art. 219 legge fall., di avere cagionato, ai sensi deg
artt. 110 cod. pen., 223, comma 2 e 219, comma 1, r.d. n. 267 del 1942, NOME COGNOME nella sua qualità di amministratore legale, dal 15 luglio 2008 al 20 settembre 2011 e poi sino alla dichiarazione del fallimento del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME, quale amministratore legale della società dal 16 gennaio 1997 al 2 settembre 2008, il fallimento della società dichiarato in data 29 maggio 2013 con sentenza dal Tribunale di Napoli, con operazioni dolose consistite nella sistematica omissione dei tributi sin dal 2002 con un’esposizione complessiva di 682.727,68 euro, passività tali da portare al dissesto la società (capo A); e di avere, ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, r.d. n. 267 del 1942, nelle qualità già indicate, distratto 86.000 euro dal 2005 al 2010 mediante prelievi con carte di credito appoggiate ai conti sociali e utilizzate pe spese personali; 429.223,46 euro dal 2005 al 2010 come restituzioni ai soci di presunti finanziamenti, non documentati in quanto effettuati in contanti (capo B);·in Napoli il 29 maggio 2013.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, i ricorsi lamentano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli elementi di prova contraria circa la perdita del capitale sociale sin dal 2005 per effetto della debitoria erariale.
La Corte territoriale dimenticherebbe di valorizzare la deposizione del AVV_NOTAIO COGNOME (sentito all’udienza del 10 marzo 2019), funzionario dell’Agenzia delle entrate, e di tenere conto della presenza di un immobile di proprietà della fallita, il cui elevato valore commerciale avrebbe potuto condurre, fino a una certa data, al salvataggio dell’azienda, sicché anche in punto di elemento psicologico, la solidità economica assicurata dal capannone industriale dimostrerebbe che gli imputati non avrebbero inteso causare il dissesto della società né pregiudicare le garanzie dei creditori, dovendo le loro condotto essere ricondotte alla bancarotta semplice. Nella sentenza impugnata non vi sarebbe traccia, inoltre, della consistenza e del valore del deposito “esterno”, su cui varrebbero le considerazioni espresse dal Tribunale di Napoli con la sentenza n. 5125/2016 del 17 marzo 2016. Infine, risulterebbero completamente trascurate le dichiarazioni rese all’udienza del 27 aprile 2021 da NOME NOME in ordine alle fonti di finanziamento anomale cui la società aveva dovuto fare ricorso e al sistema delle “restituzioni ai soci” riscontrate in contabilità, con il quale quei prestiti erano stati restituiti.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in
relazione alla riqualificazione del reato ai sensi dell’art. 217 legge fa evidenziandosi il difetto motivazionale generato dalla omessa considerazione di alcuni elementi di prova.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al giudizio di bilanciamento delle circostanze, avendo la Corte territoriale negato la prevalenza delle attenuanti in quanto gli imputati si sarebbero limitati a protestare la propria innocenza. In realtà, essi avrebbero contribuit all’istruzione dibattimentale, portando la loro versione della vicenda attraverso l’introduzione di specifiche fonti di prova a discarico, testi e consulenti tecnici sottoponendosi all’esame. Pretendere da essi la confessione equivarrebbe a sostenere che una condanna pronunciata all’esito di un dibattimento non possa mai contenere una simile statuizione.
In data 23 febbraio 2024 la difesa degli imputati ha fatto pervenire una memoria nella quale ha dedotto che la motivazione della sentenza non abbia “fatto i conti” con dati incontrovertibilmente acquisiti agli atti. Anche in tema individuazione dell’elemento psicologico del reato, la difesa avrebbe stigmatizzato la mancata valutazione di alcuni elementi di fatto al fine della corrett qualificazione giuridica delle condotte contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
La sentenza impugnata ha puntualmente ricostruito l’attività degli amministratori della società come consapevolmente connotata dalla omissione di pagamento dei debiti erariali e previdenziali, finalizzata non tanto a finanziare l’impresa, quanto a destinare le risorse societarie alla restituzione di finanziamenti asseritamente eseguiti dai soci in contanti.
Tale condotta è certamente idonea a configurare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il delitto di operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, le fall., quando dal sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali consegua, come nella specie’ il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n 24752 del 19/02/2018, De Mattia, Rv. 273337 – 01).
A fronte di tale ricostruzione in fatto, i ricorsi si rivelano del tutto aspec omettendo di confrontarsi con essa e limitandosi unicamente a prospettare l’omessa valutazione di taluni elementi di prova, che vengono semplicemente enunciati, ma senza argomentare, in alcun modo, in ordine alla loro decisività.
Parimenti inammissibile è la richiesta riqualificazione dei reati contestati nelle corrispondenti ipotesi colpose.
In proposito, a fronte di reiterati prelievi con carte di credito per complessivo ammontare di 86.000 euro e di operazioni per complessivi 420.000 euro, le due sentenze di merito hanno ritenuto inverosimile la giustificazione fornita dagli imputati, ovvero che si fosse al cospetto di una restituzione d finanziamenti ai soci. All’uopo, la motivazione dei due provvedimenti ha messo in luce come costoro fossero soggetti con redditi bassissimi e, soprattutto, come tali finanziamenti non fossero stati adeguatamente documentati in quanto operati in contanti; e, pertanto, ha concluso che gli imputati stessero realizzando, con tali operazioni, un interesse esclusivamente proprio, in alcun modo corrispondente a quello della società fallita.
A fronte di tale motivazione, congrua e pienamente logica, il ricorso finisce per sollecitare una sostanziale rivalutazione del materiale probatorio, pacificamente non consentita in sede di legittimità, donde, appunto, la sua palese inammissibilità.
Infine, deve ritenersi che anche il giudizio di bilanciamento tra circostanze sia stato motivato in modo non manifestamente illogico e, dunque, che anch’esso non possa essere sindacato nella presente sede.
Va ricordato, infatti, che il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838 – 01).
Nel caso di specie, peraltro, la motivazione ha evidenziato, accanto al non positivo contegno processuale degli imputati, anche la notevole entità del danno e la sussistenza di plurime condotte di bancarotta, sicché la relativa censura deve in ogni caso ritenersi manifestamente infondata.
Sulla base delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione GLYPH della GLYPH causa GLYPH di GLYPH inammissibilità», GLYPH alla GLYPH declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in data 5 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente