Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23567 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23567 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVEZZANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
upt-6′ il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
NOME
cha concluso chiedendo
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RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma, sul ricorso del Pubblico Ministero sull’appello incidentale dell’imputato, in riforma della sentenza di primo che aveva assolto quest’ultimo da tutte le imputazioni, ha ritenuto responsab ricorrente, n.q. di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dal 14 gennaio 20 13 maggio 2013, del solo reato di cui all’art. 223, commi 1 e 2, n.2, I.fa aver omesso, sistematicamente a far data dall’anno di imposta 2007 e c continuità, il pagamento di debiti tributari e previdenziali delle socie ponendo in essere operazioni dolose per effetto delle quali aveva cagionat fallimento della predetta società dichiarato il 22 febbraio 2018.
Avverso la sentenza propone ricorso per essazione l’imputa articolando quattro motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, proposto a norma dell’art. 606, comma 1, le b) ed e), cod. proc. pen., lamenta, reiterando un motivo già posto a fondame dell’appello incidentale, l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 12 proc. pen. in ordine all’omessa pronuncia di assoluzione per insussistenza fatto attesa l’insanabile nullità della procedura fallimentare culmina sentenza di fallimento. Deduce che la procedura fallimentare è iniziata e si svolta in epoca successiva al decesso dell’ultimo amministratore in caric quindi, quando la società era priva di un legale rappresentante. La notifi ricorso introduttivo sarebbe quindi da considerarsi inesistente (o radical nulla) e così anche, di conseguenza, la sentenza che ha definito un rapp processuale in realtà mai nato. Tale inesistenza, da ravvisarsi nel fatto società era priva di amministratore in quanto deceduto prima dell’inizio d procedura fallimentare, comporterebbe dunque l’insussistenza del rea fallimentare o quantomeno – si chiede in subordine – la sospensione del processo. Il difensore dell’imputato, nel replicare alle conclusioni del Procu generale formulate nella requisitoria scritta, precisa in ogni caso che non mai effettuata alcuna notifica tramite PEC alla società e ciò per il semplice che l’indirizzo PEC “EMAIL ” – che a pag. 5 dell’istanza di fallimento datata 9/10/2017 la banca afferma essere quello della soci interessata – in realtà era stato dichiarato “cessato” già nel gennaio 20 provvedimento del Giudice del Registro delle Imprese, come si evincerebbe dall’ultima pagina della visura camerale allegata dalla stessa banca Mediocre Italiano Spa acquisita nel corso del giudizio penale di primo grado. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo deduce l’erronea applicazione dell’articolo 4 cod. proc. pen. in ordine alla mancata sospensione del dibattimento atteso ch decisione sull’esistenza del reato dipenderebbe dalla risoluzione di
contro
versia civile, concerne la nullità della procedura fallimentare, di part complessità) in parte qua, la sentenza, ad avviso della ricorrente, sarebbe anche manifestamente illogica avendo ritenuto erroneamente il procedimento civile g definito nonostante questo sia ancora pendente presso la Corte d’appello Roma con udienza fissata al 26/10/2023. Sottolinea, in ultimo, l’inconfutab del fatto che la decisione sull’esistenza del reato imputato al COGNOME d dalla risoluzione di una controversia civile di particolare complessità e c tale motivo «il dibattimento andava – e va – sospeso ai sensi dell’ar c.p.p.».
2.3. Con il terzo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento d responsabilità dell’imputato non effettivo amministratore della società ma m prestanome (per il periodo 2010/2013) e non responsabile di alcuna del condotte imputate poste in essere in epoche nelle quali egli non rivestiva ruolo nella compagine societaria.
2.4. Con l’ultimo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà manifesta illogicità della motivazione nonché l’errore della legge pena relazione al riconoscimento dell’elemento psicologico in capo al ricorrente essendo possibile comprendere, dalla stringata motivazione della Corte d’appel per quale motivo sia stato ritenuto sussistente il dolo in capo all’imputato,
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestament infondato.
Ed invero, per la consolidata giurisprudenza di questa Corte, fer all’esito della decisione delle Sezioni Unite del 28/2/2008, n. 19601, Nicc sentenza dichiarativa di fallimento è insindacabile in sede penale in qu trattasi di provvedimento giurisdizionale richiamato dalla fattispecie pe Essa, dunque, come si legge in motivazione, «vincola il giudice penale (pur esistente e non revocata) come elemento della fattispecie criminosa, e non qu decisione di una questione pregiudiziale implicata dalla fattispecie». Precisa Sezioni Unite che «quando un atto giuridico è assunto quale dato della fattisp penale (non importa se come elemento costitutivo del reato o come condizione d punibilità), esso è sindacabile dal giudice penale nei soli limiti e con gli mezzi previsti dalla legge». Ne deriva, che «se l’atto giuridico provvedimento legislativo, richiamato, come spesso accade, in una fattispe
penale, non potendo il giudice disapplicare la legge (art. 101 secondo com Cost.), esso può essere sindacato solo in quanto se ne ravvisi un poss contrasto con parametri costituzionali, abilitandosi in tal caso il giudice ( percorribilità di una interpretazione costituzionalmente orientata) a sol incidente di costituzionalità (art. 1 I. cost. 9 febbraio 1948, n. 1; art marzo 1953, n. 87). Se si tratta di un provvedimento amministrativo, esso essere incidentalmente sindacato dal giudice penale, in quanto illegittimo, quando è la sua inosservanza a costituire reato, esclusa ogni rivalu dei presupposti di fatto assunti a base del provvedimento . Se elemento fattispecie è un atto negoziale privato il giudice penale può es l’illiceità del fatto solo in presenza di un negozio nullo, ad esempio perché causa illecita, dato che in tal caso la relativa obbligazione non è ido assoluto, a produrre effetti giuridici, e quindi nemmeno una condo incriminabile, non bastando che esso sia solo annullabile, dovendo il nego ritenersi produttivo di effetti giuridici fino a che esso non sia annullato dal civile. Nel caso, poi, che, come nella specie, si tratti di un provv giudiziale, il giudice penale non ha alcun potere di sindacato, dovendo limita verificare l’esistenza dell’atto e la sua validità formale perché le s prescindere dalla loro definitività, hanno un valore erga omnes che può essere messo in discussione solo in via principale, con i rimedi previsti dall’ordina per gli errori giudiziari (e cioè con i mezzi ordinari o straordinari di impugn previsti dalla disciplina processuale)». La sentenza di fallimento, dunque, può essere sindacata dinanzi al giudice penale nemmeno per gli eventuali erro evidenziati nel ricorso per cui è causa, commessi nel procedimento che portato alla sua emanazione, errori da farsi valere nella sede loro pr costituita dal reclamo avverso la pronunzia del Tribunale fallimentare da prop dinanzi alla Corte d’appello, «ferma restando, una volta che sia interve sentenza definitiva di condanna, la facoltà del condannato di chiedern revisione ai sensi dell’art. 630, comma primo, lett. b) cod.proc.pen.» (Se Niccoli, Rv. 239399-01. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Ed invero, quando lo “status di fallito” sia sub iudice il giudice penale, pur non trattandosi propriamente di una questione pregiudiziale, ha la facolt disporre, ex art. 479 cod. proc. pen., la sospensione del dibattimento, a condizioni ivi previste, ma l’imputato è tenuto «a fornire allegazioni non s ordine alla esistenza della procedura in sede civile, ma anche in ordine serietà della questione sollevata, atteso che costituisce presupp normativamente postulato, della invocata sospensione la complessità del giudiz instaurato in sede civile o amministrativa.» (da ultimo ed ex multis, Sez. 5,
n. 8607 del 16/12/2011, dep. 2012, Tombini, Rv. 251950 – 01). Nella speci però, si osserva nella sentenza qui impugnata, sia che tale onere non era assolto avendo il giudice civile già definito la questione ritenendo che in m non si verteva in tema di inesistenza della sentenza, bensì al più di nulli stessa e che, quindi, la relativa domanda avrebbe dovuto essere formul dinanzi alla Corte d’appello ai sensi dell’articolo 18 I. fall., sia che ne proposto quindi dinanzi al giudice civile, il ricorrente aveva reiterato la me censura proposta in primo grado confondendo i concetti di inesistenza e nul della sentenza di fallimento e individuando inesattamente, nel le rappresentante e non nella società, il soggetto legittimato passivo del rappo processuale. Tale ragione della decisione non è stata contestata e il ricorr è limitato genericamente a ribadire l’opportunità della sospensione. La sent impugnata, dunque, fornisce un’argomentazione del tutto coerente e il relat motivo di censura deve dunque ritenersi manifestamente infondato.
3. E’ invece infondato il terzo motivo di ricorso.
L’imputato, condannato per il reato di determinazione del fallimento p effetto di operazioni dolose, risulta avere ricoperto la carica di amminist unico della fallita dal 14 gennaio 2010 al 13 maggio 2013. Al medesimo vien addebitato di avere, sistematicamente, nel periodo in cui ha rivestito la c omesso di provvedere al pagamento dei debiti tributari e previdenziali fac capo alla società, così determinandone il fallimento.
Orbene, deve innanzitutto ricordarsi che la giurisprudenza di questa Cor ha da tempo chiarito che l’art. 223, comma 2, n. 2, L. fall. preved autonome fattispecie criminose: entrambe hanno riguardo alla condotta de soggetti qualificati che ha determinato il dissesto da cui è scaturito il fa ed esse, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze.
Le operazioni dolose devono comportare un depauperamento non giustificabile per l’impresa che dipende non direttamente dalla distraz dissipazione, occultamento, distruzione, ma da un fatto di maggiore complessi strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante una p di atti (appunto “un’operazione”), determinati il fallimento. Come chiarit questa Corte di legittimità le “operazioni dolose” possono anche non determina un’immediata diminuzione dell’attivo e possono ricomprendersi in esse anche mancato versamento, con carattere di sistematicità, dei debiti tributari contributi previdenziali che aumentando ingiustificatamente l’esposizione confronti dei creditori, rende prevedibile il conseguente dissesto della s fermo restando che «è sempre necessario, per l’integrazione della fattispe l’imputazione del reato, che dal comportamento abusivo, infedele o illegittimo titolare del potere sociale, si provi esser derivato un depauperamento
giustificabile in termini di interesse per l’impresa». (Sez. 5, n. 24 19/02/2018, COGNOME, Rv. 273337 – 01; Sez. 5, n. 12426 del 2014, Berett Rv. 259997 – 01; Sez. 5, n. 29586 del 2014, COGNOME, Rv. 260492 – 01; Sez n. 47621 del 2014, COGNOME, Rv. 261684 – 01; Sez. 5, n. 15281 del 20 Bottigliari, Rv. 270046 – 01; Sez. 5, n. 22765 del 18/02/2021, COGNOME, n.m.) fattispecie si realizza non solo quando la situazione di dissesto trovi la su nelle condotte o operazioni dolose, ma anche quando esse abbiano aggravato l situazione di dissesto che costituisce il presupposto oggettivo della dichiara di fallimento (in tal senso, Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv.2621 secondo cui sussiste il delitto previsto dall’art. 223, comma secondo, n. 2, L anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della so non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, m determinano comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa).
Orbene, nella vicenda per cui è causa, il ricorrente in primo luogo ass la propria estraneità rispetto alla condotta causativa del dissesto e deduce debito fiscale, iniziatosi a formare già nel 2009, era diminuito nel periodo egli aveva rivestito la carica di amministratore. Tale assunto, però, sottolineato anche dal Procuratore generale, non trova riscontro in qu evidenziato puntualmente nella sentenza impugnata che, in parte qua, viene contestata genericamente senza che risultino elementi contrari e specifici consentano di ritenere travisate le risultanze istruttorie poste a fondamento decisione. La Corte d’appello, infatti, ha sottolineato che «l’esatta let documenti dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate quale si ricava anche solamente dal d costituito dall’importo complessivo dei tributi della fallita non pagati dal 2017, pari a euro 5.556.212,25, rende corretto quanto evidenziato dal Pubbl Ministero ovvero che buona parte di tale somma si era formata nel periodo in c il COGNOME aveva ricoperto la carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE» e che rilevante importo dei tributi non pagati nel corso di due soli anni (oltre milioni di euro) rendeva evidente, a ben vedere sin dagli anni 2010 e 201 perfezionarsi e poi l’aggravarsi dell’irreversibile stato di dissesto della s ciò anche in considerazione che dalla relazione del curatore non risultan poste attive, né cespiti patrimoniali, né libri contabili. Inesatta – pre correttamente la Corte – è la doglianza secondo cui la responsabilità per il r per cui è causa dovrebbe ricadere esclusivamente sull’ultimo amministrato della fallita e ciò in quanto il reato addebitato all’imputato è reato d costituito dallo stato di dissesto determinativo del fallimento.
Tale motivazione non presenta alcuna manifesta illogicità e le doglianz proposte sono dirette a sollecitare una non consentita rivalutazione del merit
Parimenti meramente assertivo è l’assunto secondo cui l’imputato sarebb stato una mera “testa di legno” nei tre anni in cui ha coperto la ca amministratore formale ed esso viene peraltro smentito proprio da quan dedotto dal ricorrente a sua discolpa là dove evidenzia che nel periodo in c amministrato la società il debito si sarebbe ridotto. Tale affermazione, i mette in risalto la circostanza che l’imputato non era all’oscuro delle v societarie, ma pienamente consapevole di esse. In merito a siffatta cen corretto ed esaustivo è poi il rilievo della Corte d’appello in ordine alla ma di prova della natura meramente formale dell’incarico non avendo il ricorre neanche indicato chi sarebbe stato l’amministratore di fatto negli anni in c ha ricoperto il ruolo di amministratore formale.
3. Il quarto motivo di ricorso si appunta sull’elemento soggettivo reato.
Le due ipotesi criminose di cui all’ art. 223, comma 2, n. 2, L. fal non presentano, come si è visto, sostanziali differenze dal punto di oggettivo, divergono, invece, quanto all’ elemento soggettivo, perché, nell’ip di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente e il do specifico, mentre, nel fallimento conseguente a operazioni dolose (che è fattispecie criminosa per cui è causa) il fallimento è la conseguenza condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il disse fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il risc esso si verifichi. (Sez. I, n. 7136 del 25/04/1990, De Sena, Rv. 184359). Il dunque, è generico.
La Corte d’appello ha tenuto ben presente siffatta distinzione e sottolineato che l’entità dell’evasione fiscale, la sistematica omissi versamenti fiscali e previdenziali, l’accumularsi dei debiti contratti, il pr tale condotta per numerose annualità consecutive, la mancanza di poste attiv di cespiti patrimoniali rendevano evidente che il sistematico inadempimento del obbligazioni fiscali e previdenziali, che aveva condotto a un’esposiz fortissima, era stato il frutto di una consapevole scelta ges . tionale attuata sin dall’inizio dell’attività societaria e protratta fino al fallimento. Corretta alla luce dei principi dianzi riportati la qualificazione di dolosa data al p sistematico e esteso inadempimento delle obbligazioni tributarie e contribut che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti dell’erario e d enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società.
/ i , Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento de spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Roma, 2 febbraio 2024
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